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18 marzo 2019 1 18 /03 /marzo /2019 07:00

Allineamenti geometrici di luoghi sacri della Terra

L'osservazione dei luoghi sacri in tutto il mondo (megaliti, monumenti, opere in terra, luoghi di culto) rivela che essi non sono stati posti a caso, ma su precise linee geometriche. La Terra è tessuta da una rete di queste linee che sono le manifestazioni fisiche di flussi energetici. Sebbene non siano menzionati nella nostra educazione convenzionale, questi fatti sono stati documentati sin dagli anni 30 del XX secolo. I popoli antichi detenevano la conoscenza di questi flussi e l'hanno impressa nel paesaggio. Gli attuali indigeni dell'Australia e del Sud America non l'hanno dimenticato.

Dallo spazio, la Terra ci appare come una palla rotonda e liscia leggermente appiattita ai poli. Distinguiamo facilmente i mari e i continenti, ma a prima vista nessuna struttura regolare, nessuna rete, nessun reticolo sono visibili. Se esiste una rete di linee strutturate, si devono ricercare altri indizi.

Possiamo dapprima notare che poiché la Terra ruota intorno a un asse che attraversa i poli, questi punti si distinguono dagli altri perché non si muovono. Avranno quindi uno ruolo particolare in una rete.

A partire da questi 2 poli, possiamo costruire anche l'equatore, come un cerchio equidistante dai due poli. Tuttavia, si deduce attraverso riflessione, esso non è effettivamente evidenziabile da caratteristiche fisiche riconoscibili dal terreno. Allo stesso modo, attraverso la costruzione sul globo, si possono tracciare dei circoli che passano per i poli e ricoprono la Terra. Si tratta dei meridiani. Poi, si tracciano i circoli orizzontali, dunque perpendicolari ai meridiani, chiamati paralleli, si ottiene una griglia di posizione e geolocalizzazione per mezzo della quale possiamo designare qualsiasi punto della Terra attraverso le sue coordinate.

Sono queste coordinate, ad esempio, che vengono utilizzate dai satelliti geostazionari GPS (Global Positioning System o sistema mondiale di localizzazione). La geodesia è la scienza che ha per oggetto di misurare la superficie della Terra e di definire un sistema di riferimento come la longitudine e la latitudine. Tuttavia, questa griglia sembra essere una convenzione scelta arbitrariamente da alcuni specialisti che non corrisponde a una realtà fisica.

Esiste effettivamente un reticolo di linee intrecciate che sono rivelate dalle loro tracce fisiche sulla Terra. Questo reticolo è diverso dal sistema dei meridiani e dei paralleli, ma per certi aspetti presenta alcuni rapporti con esso. Dei pionieri l'hanno riscoperto a partire dalla fine del XIX secolo. Li seguiremo passo dopo passo nelle loro scoperte.

Gli allineamenti di siti antichi in Inghilterra o linee di ley

Durante il XIX secolo, quasi nello stesso periodo, molte persone in Europa sono incuriosite dalla disposizione di alcuni siti antichi o luoghi di culto e hanno cominciato a suscitare interesse e fare alcune indagini rudimentali. In Inghilterra, William black si interessava alla rete superstite delle antiche strade romane. Gradualmente si rese conto che esisteva una rete di linee rette che copriva la Gran Bretagna e oltre. Delle linee radiali e poligonali collegavano punti e edifici precisi del paesaggio, di cui alcuni costituivano dei confini di contee. Nel 1870, tenne una conferenza alla British Archaeological Association dove espose la sua teoria. Egli sostenne che tra i monumenti esiste una marcatura costituita da linee geometriche che coprono l'intera Europa occidentale".

Nel 1882, G. H. Piper tenne una conferenza in cui enunciò che se si traccia una linea dal monte Skirrid-fawr verso la Pietra d'Artù al nord, essa attraverso Hatterall Hill, e Oldcastle, Longtown Castle, Urishay Snodhill. Nella nostra cultura occidentale contemporanea, il concetto di allineamenti dei siti è generalmente attribuito all'inglese Alfred Watkins negli anni '20, sebbene alla stessa epoca altri avessero la stessa idea, come l'astronomo inglese Norman Lockyer. Nel 1921, mentre andava a cavallo sulle colline di Blackwardine situate nell'Hereforshire, Watkins notò che molti sentieri sembrano collegare una collina all'altra in linea retta.

Esaminando in seguito una mappa, ha un'improvvisa intuizione dell'allineamento dei siti preistorici. Ricercando delle prove visive di questa teoria, ha scoperto che dei siti come le pietre erette (menhir), o tumuli artificiali di colline tondeggianti (che pretende essere antiche strutture funerarie) si trovano dritte per chilometri attraverso la campagna. Effettua molte fotografie sul campo e crea un club di ricerca, il Straight Track Club. Watkins produce conferenze, articoli e libri (The Old Straight Track, 1925).

Watkins osserva che queste linee attraversano dei luoghi i cui nomi includono il suffisso di ley (o layleeleighlealy). Questa antica parola anglosassone significa spazio libero, come la radura, il prato o corridoio. È per questo che le chiama ley lines. Più tardi, abbandona questa terminologia per il termine vecchia traccia rettilinea (Old Straight Track). Ma il termine ley è stato ripreso tale e quale da altri ed è rimasto in uso.

Una linea di ley a Saintbury, Inghilterra. Essa segue una vecchia strada, passa attraverso una croce medievale, una chiesa sassone, e un tumulo

Le pietre miliari delle linee di ley

Quando rilevano una linea ley, Watkins e i suoi collaboratori lo notano con elementi del paesaggio identificabili fisicamente. In seguito, esaminandolo più da vicino nel campo, trovano altri elementi meno visibili, a volte sepolti. Tappe di queste linee sono degli elementi sia naturali, sia costruiti dalla mano dell'uomo: luoghi legati all'acqua (stagni, sorgenti, pozzi), tumuli, dolmen, menhir, cromlechs (circoli di pietra), circoli e opere in terra, castelli, chiese, colline di forma particolare.

Per Watkins, sembrava logico che queste linee fossero tracce di antiche rotte di trasporto esistenti prima dell'occupazione romana. I siti sarebbero quindi in grado di localizzare dei punti per i viaggiatori, punti di concentrazione e di sosta attraverso il paesaggio, da una collina all'altra. Senza più elementi, è stato difficile per lui immaginare le loro funzioni reali. Successivamente, questi luoghi furono usati per costruire templi e edifici sacri. Sappiamo effettivamente che i cristiani hanno costruito le loro chiese, le grandi cattedrali e altri siti sacri sui luoghi di culto antichi preesistenti. Le linee di ley esistevano innegabilmente in tempi preistorici.

John Michell e la linea St-Michel

Dopo un periodo di oblio dell'esistenza delle linee di ley, John Michell dà loro un contributo importante nel suo libro The View Over Atlantis (1969). In esso egli fa conoscere le osservazioni di Watkins, e le colloca in un contesto più ampio che fa riferimento alle conoscenze antiche, all'energia, la rabdomanzia, e dà così impulso ad altre indagini.

Il St-Michael's Mount in Cornovaglia

Pone in evidenza una linea che attraversa tutto il sud dell'Inghilterra per 600 km che inizia dalla punta sud-occidentale, in Cornovaglia, a St. Michael's Mount , un'isola piramidale situata nella Mount Bay. La linea attraversa dei siti famosi come Glastonbury e Avebury, e passa per numerosi edifici religiosi dedicati a San Michele. Ecco perché è chiamata la linea St-Michel. Naturalmente, questo è soltanto un nome relativamente recente, perché esisteva molto prima della cristianizzazione e il suo nome era linea Atlas.

La linea St-Michael

La linea St-Michael è orientata sul raggio del sole nascente dell'8 maggio che è appunto la data della festa di primavera di San Michele.

Avebury

Triangoli e poligoni

Molte linee vengono gradualmente scoperte e, incrociandosi, formano un tessuto geometrico. Come lo segnalava sin dal 1939 il maggiore H. Tyler nel suo libro The Geometric arrangement of Ancient Sites, molte linee si irradiano a partire da un'intersezione comune. Così 8 linee divergono dalla chiesa di Wooburn (Buckinghamshire).

Il tessuto geometrico è composto da triangoli, quadrilateri e altri poligoni. I triangoli hanno spesso i lati uguali: isosceli o equilateri. Sir Norman Lockyer (1836-1920), un astronomo reale, nota che Stonehenge , il castello di Grovely (Grove-ley) e Old Sarum (Salisbury) formano un triangolo equilatero di 10 km.

In altri casi sono triangoli con un angolo retto (triangolorettangolo). GlastonburyStonehenge e Avebury formano un perfetto triangolo rettangolo, orientato approssimativamente verso il nord. Il lato di Glastonbury / Avebury si trova sulla linea St-Michel.

Il lato di Glastonbury / Stonehenge di questo triangolo è anche uno dei lati di un decagono (poligono a 10 lati) evidenziato da John Michell.

Un triangolo risultante dall'intersezione di 3 linee, delimitato da Avebury, Stonehenge e Glastonbury

In alcuni casi, dei siti si trovano su dei cerchi concentrici intorno a un centro di irradiazione.

In altri luoghi, dei leys sono paralleli per diversi chilometri. Questo solleva delle domande sulla loro interpretazione in quanto vecchie tracce. Dove porterebbero? Per Tyler, gli allineamenti erano presenti prima delle piste e segnavano una divisione geometrica rettangolare del terreno.

Nel suo libro Megalithic Sites in Britain (1967), il professor Alexander Thom osserva: È notevole che 1000 anni prima dei primi matematici dell'antica Grecia, la gente da queste isole aveva non soltanto una conoscenza pratica della geometria ed era  stati in grado di eseguire dei disegni geometrici elaborati, ma sapevano anche effettuare delle ellissi basate su triangoli pitagorici.

Allineamenti di siti sacri in tutta Europa

I membri del Straight Track Club di Watkins erano molto attivi e alcuni di loro hanno ricercato l'esistenza di "ley lines" in altri paesi. D'altronde, durante lo stesso periodo, in questi stessi paesi, dei ricercatori locali erano interessati allo stesso argomento.

Nel corso degli anni e fino ai giorni nostri, più si sono ricercate queste linee, più attenzione si è dato ad esse e più se ne sono scoperte ovunque in Europa. Inoltre l'evoluzione tecnologica ha fornito ulteriori mezzi di rilevamento di questi allineamenti con le foto aeree e ancora meglio con le foto satellitari che hanno reso questo compito molto più facile.

Di fatto, ci si è resi conto che alcune linee visibili dall'alto sono difficilmente reperibili sul terreno. A volte, esse sono indicate soltanto da un diverso colore delle piante, o evidenziate dai bordi di campo, una strada di campagna, una strada antica.

Le scoperte dei Romani

I cronisti romani riferiscono che al tempo delle loro conquiste, essi trovarono delle linee rette in quasi tutti i paesi d'Europa, a Creta, nella regione di Babilonia e nel Nord Africa. Questi tracciati esistevano dunque prima di loro.

Essi hanno anche constatato la presenza di menhir allineati nella campagna toscana in Italia, una regione occupata dagli Etruschi.

In Germania

Nel 1929, Wilhelm Teudt, un prete tedesco, pubblicò un libro intitolato Germanische Heiligtümer (Santuari germanici) in cui riportava l'esistenza di linee sacre nella Germania centrale. Queste linee collegano dei siti antichi per centinaia di chilometri in linea retta e formano figure geometriche.

Sempre alla stessa epoca, il geografo tedesco Joseph Heinsch era affascinato dalla Cattedrale di Xanten e dal suo pavimento a mosaico che rappresentava una mappa orientata delle chiese della regione. Nel 1939, in una conferenza intitolata Principles of Prehistoric Cult-Geografy (Principi del culto geografico preistorico) spiegò che i centri sacri erano situati su delle figure geometriche collegate con le costellazioni. Alcune linee rivolte ad occidente collegavano centri dedicati al culto della luna ad altri orientati verso est, che collegavano centri dedicati al sole. Le unità di misura utilizzate erano semplici frazioni delle dimensioni terrestri.

In Francia, Xavier Guichard

In Francia intorno al 1910, Xavier Guichard (1870 - 1947) studiò l'origine dei nomi di luoghi (toponimi). Si concentrò in particolare sul toponimo alesia che ricorreva in tutto il territorio francese (più di 400 siti). Le sue deduzioni sono riportate nel suo libro Eleusis Alesia, Enquête sur les origines de la civilisation européenne (1936).

Secondo lui, troviamo il nome alesia nelle forme indo-europee Alaise , Alès , Alis o Alles. Il suo significato è punto d'incontroluogo di sosta durante i viaggi. È sorprendente notare la consonanza fonetica tra alaise e ley. Ma Guichard probabilmente non aveva conoscenza del lavoro di Watkins.

Alesia è legata alla parola greca Eleusis. Eleusi era una città in Grecia a 20 chilometri da Atene, famosa per il suo culto dedicato a Demetra e alla figlia Persefone. Nella religione antica greca, i misteri di Eleusi celebravano queste dee-madri e sono all'origine dei culti legati alle vergini nere che si sono diffuse in Europa.

Una ricostruzione di Eleusi

Questi luoghi sono quasi sempre sistematicamente associati a una collina poco distante da un fiume, a un pozzo o alla presenza del sale. Secondo Guichard: Questi villaggi sono stati fondati in tempi antichi secondo linee astronomiche immutabili, determinate prima nel cielo, poi trasferite sulla Terra a intervalli regolari, ciascuno del valore di un 360esimo del globo.

Essi sono disposti lungo linee parallele nord-sud che si estendono in tutta Europa, equidistanti 1° d'arco. Ciò implica che gli antichi costruttori di questi villaggi conoscevano i poli e l'equatore, i movimenti delle stelle, la divisione del circolo in 360°, la lunghezza del grado terrestre, infine le coordinate geografiche, longitudine e latitudine.

I siti sono anche distribuiti su 24 linee geodetiche che si irradiano da un centro, Alaise, presso Besançon. Questo centro sarebbe il centro rituale e mitico dell'Europa per il culto delle vergini nere.

La carta dei toponimi di Alesia, Alaise e loro derivati in Francia

Grecia, Jean Richer e l'asse Saint-Michel Apollon

Negli anni '50, il francese Jean Richer residente in Grecia compì delle ricerche sui templi greci, che pubblicò nel suo libro Géographie sacrée du monde grec (Geografia sacra del mondo greco). Egli osservò che i templi e gli Oracoli sono spesso stati edificati in luoghi difficilmente accessibili, il che non era compatibile con l'obiettivo di una frequentazione popolare. Si chiese quale ne fosse la ragione e intuì che questi centri erano collegati, ma non ne capiva il perché.

È in sogno che ottenne la risposta. Una statua di Apollo gli mostrò la connessione tra i santuari che lo rappresentavano a Delfi e Atene. A Delfi si trova l'antico Oracolo della Madre Terra e Atene ospita il tempio dell'Acropoli dedicato ad Atena. Una volta sveglio, prese una mappa, tracciò la linea Delfi-Atene, e constatò che si prolungava sull'isola di Delo, il luogo di nascita di Apollo, e sul tempio di Apollo di Kamiros sull'isola di Rodi. La linea attraversava altri siti sacri dedicati ad Artemide, come il Tempio di Agra.

Un po 'più tardi, Lucien Richer, fratello di Jean, continua questa ricerca, prolunga la linea verso il nord-ovest e verso il sud-est dove trova molte altre corrispondenze. In un articolo del 1977 intitolato L'axe Saint-Michel Apollon, descrive questo allineamento che si estende sino all'estremità dell'Irlanda, all'isola sacra di Skellig Michael, attraversa numerosi siti celebri dedicati a San Michele come Saint Michael's mount già nominato sulla punta della Cornovaglia in Inghilterra; il Mont Saint-Michel in Normandia; La Sacra di San Michele nelle Alpi italiane e Monte Sant'Angelo nella penisola italiana del Gargano, antico santuario dedicato a San Michele; il tempio di Artemide a Corfù; Delphi; Delos, e si prolunga sino al Monte Carmelo in Israele, coprendo una distanza di circa 4000 km. Là, si divide in Israele e in Egitto, poi si ricongiunge alla Mecca in Arabia Saudita.

Un linea dritta dall'Irlanda ad Israele attraversa dei siti dedicati a san Michele e Apollo

Se il nome di San Michele è cristiano, i siti a lui dedicati sono di origine precristiana. In precedenza erano dedicati dai druidi agli dei del sole e alle dee madri della terra. Furono poi assorbiti dai cristiani e rinominati.

Jean Richer scopre anche, attraverso l'esame di monete antiche, che le linee segnate dai templi si irradiano da Delfi, Delos e Sardi, e formano la ruota di uno zodiaco.

Evora in Portogallo

Dagli anni 30 del XX secolo, la divulgazione del concetto di allineamenti di siti sacri ha permesso di attirare l'attenzione su questo fenomeno in altri paesi e molti altri sono stati identificati. Ad esempio, in Portogallo, il doppio cromlech di Almendres, nel complesso di Evora, è allineato con altri due siti antichi su 50 km: il dolmen di Anta Grande nel sito di Zambujeiro; il cromlech di Xuarez di forma rettangolare vicino a Monsaraz.

L'azimut di 110° di questa linea è quello della luna piena di primavera.

Il doppio cromlech di Almendres in Portogallo

Allineamenti astronomici

Evora in Portogallo, Xanten in Germania, Delfi in Grecia, la linea inglese St-Michel, diventa chiaro che l'astronomia svolge un ruolo importante nella progettazione di alcuni siti. Più cerchiamo di capire queste relazioni, più collegamenti troviamo.

Stiamo entrando nel campo dell'archeoastronomia. L'archeoastronomia risulta dall'associazione di astronomia e archeologia per determinare le conoscenze e le rappresentazioni degli antichi, a partire dalle iscrizioni che hanno lasciato sui loro monumenti. Questa disciplina è nata negli anni 60 del XX secolo con ricercatori sul campo che ne intuivano l'evidenza. Ma era rifiutata allora dagli accademici. Questa situazione cambiò a poco a poco quando al contempo si formarono nuove generazioni più aperte e materiale archeologico più abbondante per attestarlo. Ora essa è riconosciuto dall'università con prudenza, cautela e persino studiata.

Si può constatare che numerosi siti archeologici presentano uno o più assi orientati in direzioni precise. Queste direzioni sono in genere in rapporto con il sole o la luna. Ad esempio con il loro sorgere al momento dell'equinozio o del solstizio o in un'altra data significativa.

In Francia

L'apertura della grotta di Lascaux in Dordogna è orientata di fronte al sole al tramonto del solstizio d'estate. Nel castello cataro di Montségur, il primo raggio di sole all'orizzonte del solstizio d'inverno percorre il castello nella sua lunghezza attraverso una piccola apertura. Al solstizio estivo, attraversa i quattro arcieri del doccione a nord-ovest con precisione millimetrica. A Carnac, in Bretagna (Francia), l'orientamento degli allineamenti dei menhir corrisponde al sorgere del solstizio estivo. In altre parole, il raggio solare attraversa in quel momento tutto l'allineamento sino al cromlech all'estremità sud-ovest.

Allineamenti di dolmen a Carnac (Francia)

Cerchio di Goloring (Germania)

In Germania

La Germania possiede anch'essa dei centri preistorici come il cerchio di Goseck e il cerchio di Goloring. Il cerchio di Goloring, situato nella Renania Palatinato vicino a Coblenza, fu studiato già nel 1948 dal Dr. Röder. Esso è costituito da un fossato circolare di 175 metri di diametro, 80 centimetri di profondità e una larghezza massima di 6 metri. Intorno si trova un terrapieno circolare di 190 metri di diametro, 7 metri di larghezza e 80 centimetri di altezza. Le sue proporzioni sono simili a quelle di Stonehenge. In studi recenti, il dott. Zack sostiene che Goloring è un gigantesco orologio solare.

Il cerchio di Gosek, è situato nella Sassonia-Anhalt, è stato scoperto nell'agosto del 2003 per sorvolo aereo e studiato da Wolfhard Schlosser. Non abbiamo a che fare qui con costruzioni in pietra, ma argini di terra e palizzate di legno che sono appena sopravvissute al tempo. Ha un diametro di 75 metri, comprende 3 cerchi concentrici di terra e punte di legno, ciascuno con 3 aperture che coincidono con le albe e i tramonti dei solstizi d'inverno e d'estate. Può essere collegato al disco di Nebra ritrovato a meno di 30 chilometri di distanza, e con il cerchio di Grasdorf che è stato scoperto nel 1991 vicino a Hildesheim 150 chilometri più a nord-ovest.

Il disco di Nebra (Germania)
In Inghilterra e in Scozia

All'inizio del XIX secolo, Norman Lockyer, individua una linea di importanza astronomica a Stonehenge, lunga 35 chilometri, che traccia il corso del sorgere del sole di mezza estate. Nel 1965, il professor Gerald Hawkins ipotizzò che i costruttori di Stonehenge avevano una conoscenza astronomica avanzata.

Nel 1967, un professore di tecnologia in pensione, Alexander Thom, pubblicò Megalithic Sites in Britain (Siti megalitici in Gran Bretagna) che ebbe un grande impatto. In esso riporta le sue misurazioni su più di 500 pietre che ha studiato sul suolo scozzese e britannico. Egli affermava che i monumenti megalitici come Stonehenge, Avebury, Long Meg, ma anche molti altri di pietre più piccole che sembrano disposti a caso, in realtà seguono un piano specifico al millesimo, basato sulle forme geometriche (cerchi, ellissi o altre figure). La geometria dei cerchi di pietra deriva dalle posizioni estreme del sole, della luna e delle stelle mentre sorgono all'orizzonte.

Il sito di Calanais o Callanish in Scozia è un vasto campo di pietre levigate. Secondo Alexander Thom, le sue pietre formano un calendario basato sulla posizione della Luna. Suggerisce inoltre che l'allineamento delle pietre, quando si guarda a sud, indica la luna piena di mezza estate dietro una montagna lontana chiamata Clisham. Anche delle chiese, costruite in epoche più recenti, hanno degli orientamenti collegati all'astronomia. In una certa data, avevano luogo dei riti per celebrare il flusso di energia che scorre lungo le linee che li attraversano, allo scopo di distribuire questa energia nei dintorni e di farne beneficiare le coltivazioni.

Il sito di Calanais in Scozia

In Irlanda

Negli anni '80, Martin Brennan (vedi il suo libro The Star and the Stones) spese molte energie per far accettare la sua teoria del rapporto tra l'orientamento dei corridoi del tumulo (i dolmen coperti di terra) e il calendario (solstizi, equinozi e il giorno in mezzo alle due precedenti date). Successivamente, molti seguirono le sue deduzioni sul collegamento astronomico. Un esempio meraviglioso è l'ingrasso sud di Newgrange, in linea con un menhir e un tumulo, il cui ingresso è illuminato dai primi raggi del solstizio d'inverno. Altri corridoi sono nell'asse di una linea di ley.

L'ingresso del tumulo di Newgrange in Irlanda al levar del sole il giorno del solstizio invernale

In America Latina

Teotihuacan è un sito archeologico in Messico che era una vera città, strutturata dal lungo rettilineo "Alley of the Dead" (Viale dei morti) che lo attraversa per circa 4 km lungo un asse quasi nord-sud, con una deviazione di 15° 50' verso est. Ci sono molte piramidi a gradoni, tra cui la "Piramide della Luna" a nord e la "Piramide del Sole" al centro. L'orientamento corrisponde all'alba del 13 agosto. Nel suo libro Cycles of the Sun, Mysteries of the Moon: The Calendar in Mesoamerican Civilization (1987), il dr. Vincent Malmström fa osservare che questa data rappresenta l'inizio del mondo nella mitologia Maya.

Messico: Teotihuacan - il Viale dei morti e sullo sfondo a sinistra la piramide del sole

Più a sud, in Bolivia , vicino al lago Titicaca, ci sono le rovine della città di Tiahuanaco. Include anche piramidi a gradoni e altri monumenti come la porta del sole. Il suo orientamento astronomico è preciso. Tuttavia, può essere compreso solo (secondo Posnansky) se si riferisce al cielo com'era nel 15.000 a. C. Altri elementi sono a favore di questa data, ad esempio l'esistenza di pontili a distanza del lago attuale che stava coprendo in quel momento.

Il sito di Tiahuanaco in Bolivia

 

ALAIN BOUDET

 

[Traduzione di Ario Libert]

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13 febbraio 2019 3 13 /02 /febbraio /2019 11:12

Storia sconosciuta di Pyotr Nikolayevich Krasnov. Un’esperienza di Roberto Giammanco.

Pyotr Nikolayevich Krasnov, nella veste francesizzata o italianizzata di P. N. Krassnoff, è probabilmente noto a tutti coloro che frequentano bancarelle di libri usati, dove raramente mancano i due volumi della sua opera, Dall'aquila imperiale alla bandiera rossa. Qualcuno conosce anche le vicende di suo nipote, Miguel Krassnoff Martchenko, che divenne uno dei comandanti dei famigerati servizi segreti di Pinochet nel lontano Cile.

Ma P. N. Krasnov – le possibili traslitterazioni del suo nome sono tante – ebbe molte vite. Cosacco, fu nominato comandante dell’intero esercito russo da Kerenskij; fu uno dei principali ufficiali dell’esercito antisovietico di Denikin; in esilio, divenne romanziere; durante la Seconda guerra mondiale, guidò l’epica marcia dei cosacchi in Friuli – con tanto di dromedari -, fu consegnato dagli inglesi ai sovietici, che lo impiccarono.

Difficile capire come una carriera del genere si sia potuta conciliare con la scrittura di un’opera come Dall'aquila imperiale alla bandiera rossa. Che è un quadro straordinario del crollo dell’impero russo, della follia della guerra, dove un gran numero di personaggi incarna i ruoli e le idee più diverse. E in cui l’autore invita sempre a mettersi nel panno dell’altro. Mi avevano colpito in particolare i dialoghi in cui induceva i lettori a non accusare indiscriminatamente gli ebrei per aver scatenato la rivoluzione.

Dall'aquila imperiale a Chicago passando per la Carnia

Chicago, anni '60. Dopo il 1963, anno dell’assassinio del presidente J. F. Kennedy, si moltiplicavano le grandi manifestazioni contro la guerra del Vietnam che portava con sé anche la leva obbligatoria. Gli studenti cantavano: “Hey Hey, L. B. J., how many kids did you kill today?” (L.B.J., Lyndon B. Johnson, quanti bambini hai ucciso oggi?).

A Detroit le manifestazioni degli studenti contro la guerra nel Vietnam erano spesso fronteggiate da centinaia di operai della Ford e della General Motors, che levavano cartelli con la scritta “more bombs, more overtime” (più bombe, più ore di straordinario). E ancora: “Let’s bomb them into the Stone Age, WITH BOMBS MADE IN DETROIT” (Rimandiamoli all’età della pietra con le bombe fatte qui a Detroit!). Esplicite testimonianze della scomoda verità che le crisi economiche si risolvono meglio con le guerre. Magari si rimandano a guerre successive, che sono implicitamente contenute nei risultati di quelle in corso.

Nel 1963 Malcolm X era stato sospeso dalla Nation of Islam per aver commentato l’assassinio di Kennedy con un secco e lucido “Chicken going home to roost”; una espressione del passato delle piantagioni che, in sostanza, stava ad indicare l'accoppiamento dei polli. Nella traduzione della sua Autobiografia, io mi dovetti limitare a renderla come “chi la fa, l’aspetti”. Quel suo commento scandalizzò più i “neri con la testa di bianco”, i Niggers with White Man’s head, che gli stessi bianchi liberal impegnati nella lotta per i diritti civili.

Uscito dalla Nation of Islam, Malcolm aveva fatto il pellegrinaggio alla Mecca, ed era stato ricevuto da diversi capi delle nazioni africane in cerca dei consensi per denunziare alle Nazioni Unite gli Stati Uniti per “crimini contro i diritti umani” contro gli afro-americani e le altre minoranze. Fu per quel progetto di internazionalizzare le lotte degli afro-americani che Malcolm fu assassinato il 22 febbraio 1965. Esecutori materiali: alcuni Black Muslims della Nation of Islam. Mandanti: ben riconoscibili, anche se mai riconosciuti, come era stato per Kennedy due anni prima.

Durante una di quelle entusiasmanti manifestazioni fui assalito da un forte mal di denti. Una collega mi dette un autorevole consiglio: “Il dentista su chiama Krassnov, ed è uno dei migliori… È ebreo”. “Perché me lo dici? – mi pare di averle risposto. – Che differenza fa se è ebreo o no?”. “Beh – ribatté lei – era solo un’informazione. Avrei fatto lo stesso se si fosse trattato di un italo-americano, di un ispano-americano, o magari di un cinese… Krassnov è un nome ebreo russo: tutto qui”.

Nella sala d’aspetto del dottor Krassnov ripensai a quella risposta, che sottintendeva il quadro esatto della società americana. Gli Stati Uniti sono il paese dei ghetti, delle svariate etnie disciolte nella cultura di massa e nella divisione di classe e del lavoro. Ognuna di quelle etnie e minoranze si è arroccata in zone in cui impera il folklore gastronomico, religioso, linguistico: tutto all'ombra del melting pot, il patriottismo oligarchico della Nazione sotto Dio.

Il dottor Krassnov era una persona gentile e, dopo l’estrazione del dente, ci fermammo a parlare del più e del meno. Fu allora che gli domandai se era di origine russa: lui rispose che i suoi genitori erano immigrati, non sapeva esattamente quando, ma certamente prima della Rivoluzione bolscevica.

La cosa cominciò a incuriosirmi. Mi ricordai di un Pyotr Nicolayevic Krassnov autore di un libro che, quando io ero ragazzo, ai tempi del fascismo, era considerato un testo canonico dell’anticomunismo: Dall’Aquila Imperiale alla Bandiera Rossa. Restava però un ragionevole dubbio. Pyotr Nicolayevic Krassnov era un capo cosacco, Ataman, e un generale dell’esercito zarista: cosa poteva avere in comune con un ebreo? Quel cognome mi incuriosiva, anche perché i miei studi erano tutti orientati ad analizzare i conflitti e le mescolanze di etnie sradicate, sottomesse, espropriate o assimilate nei deliri secolari della schiavitù, dei genocidi dei nativi americani e nel razzismo sanguinario, istituzionalizzato o strisciante.

Dal 1945, subito dopo la fine della seconda guerra mondiale il melting pot, mitico crogiolo dell’immaginario americano, si era arricchito di ondate di profughi e criminali di guerra: nazisti, collaborazionisti russi, ucraini, tartari e cosacchi, lettoni, croci frecciate ungheresi, ustascia croati. Come è noto, tutti quei criminali erano stati convogliati attraverso il “corridoio italiano” gestito dal clero cattolico e avevano tutti trovato un posto nella galassia della mobilitazione anticomunista. Tra di essi c’erano scienziati e tecnici equamente distribuiti nei laboratori di ricerca e nella produzione militare. Gli altri, i non qualificati, ebbero la funzione di stemperare l’odio di classe sulle catene di montaggio delle industrie automobilistiche del Midwest. Innocenti e criminali insieme, all'ombra del corporativismo della nuova patria, nelle nuove trincee della Guerra Fredda.

Restava l’interrogativo: cosa ci poteva essere in comune tra i cosacchi e gli ebrei? La risposta la poteva dare soltanto la storia, e in biblioteca cercai di scoprire qualcosa attraverso le vicende dei popoli della Confederazione polacco-lituana, a partire dei secoli XVI e XVII. In quei tempi, Russia e Ucraina erano un vero e proprio mosaico etnico-religioso. Lituani e polacchi erano cattolici, gli ucraini greco-ortodossi, i tedeschi luterani. Le comunità ebraiche si estendevano a macchia di leopardo su quegli immensi territori.

Tra il XVI e il XVII secolo l'ungherese Stefano Batory, l'acerrimo nemico di Ivan il Terribile, aprì le porte ad uno stuolo di missionari della Compagnia di Gesù che imposero i dettami della Controriforma scatenando ondate ricorrenti di repressione contro i greco-ortodossi e, naturalmente, contro gli ebrei. Nel 1596, dopo una lunga serie di rivolte cosacche represse nel sangue dai re cattolici polacchi, fu costituita la Chiesa Uniate che pur conservando gran parte del rituale bizantino riconosceva ed esaltava il primato del papa. Fu sotto la guida dei Gesuiti che questa Chiesa funzionale praticò discriminazioni e repressioni sanguinose nei confronti dei greco-ortodossi e, sempre, degli ebrei. Sarà proprio la Chiesa Uniate, nel 1941, a collaborare con i nazisti contribuendo all'arruolamento di decine di migliaia di combattenti e di kapò per i campi di sterminio.

Nel XVII secolo la monarchia permise agli ebrei immigrati nei territori polacchi, per un certo tempo, di esercitare attività produttive e mantenere scuole e tribunali rabbinici. In cambio, li assoldò come esattori e funzionari di medio livello per limitare i soprusi dei nobili e garantirsi la riscossione delle tasse. Ma, nel corso del tempo, i membri della Confederazione polacco-lituana tolsero agli ebrei tutte le franchigie, appoggiandosi ai Gesuiti che avevano aperto una vasta rete di collegi ed esercitavano grande influenza sui monarchi dei quali erano confessori e consiglieri spirituali. Accusati di furto di ostie e di omicidi rituali nei confronti dei bambini cristiani, gran parte degli ebrei dovettero emigrare nelle campagne dove si scontravano con l’odio dei contadini, dai quali dovevano riscuotere le tasse per conto del re e dei nobili.

I cosacchi vennero in conflitto con i polacchi quando questi invasero l’Ucraina spingendosi fino al Kanato tartaro della Crimea. Erano coltivatori guerrieri, e si definivano “liberi cavalieri”. Per due secoli erano stati al servizio della Confederazione polacco-lituana e dei russi, e avevano difeso i confini dei tartari dalle invasioni della steppa. Storia affascinante e insieme terribile, questa dei cosacchi. Un popolo-esercito amministrato da una Assemblea generale che eleggeva gli Ataman, i giudici e i tesorieri, tutti con poteri di vita e di morte di cui erano passibili loro stessi, se accusati di viltà o tradimento.

Il 1648 fu l’anno della grande svolta. Bohdan Chmelnyzky, nome improbabile per noi ma fondamentale per la storia di queste mescolanze sanguinose di popoli, fu eletto Ataman. Era figlio di un nobile polacco e di una cosacca che era stata allieva dei Gesuiti, ed era imbevuta della violenta propaganda anti-ebraica e antigreco-ortodossa che la Compagnia di Gesù insegnava da sempre. Il nuovo Ataman era un sangue misto, e non avrebbe mai potuto essere accettato dai nobili polacchi.

Si mise perciò alla testa di tutti i cosacchi che si erano ribellati, e fu allora che venne perpetrato il più grande massacro nella storia dell’Ucraina, della Bielorussia e della stessa Polonia. Ci furono centinaio di migliaia di morti e intere comunità vennero cancellate dalla faccia della terra. Per spregio, i polacchi costringevano gli ebrei a battezzarsi secondo il rito greco-ortodosso; poi li uccidevano e profanavano i loro cimiteri. Un gran numero di ebrei furono venduti come schiavi a Costantinopoli. In quei traffici di carne umana slava ebbe una parte rilevante la Repubblica di Venezia, la Serenissima.

Negli anni seguiti al grande massacro del 1648 molti ebrei delle comunità distrutte si unirono ai combattenti e, in seguito ad un continuo rovesciamento di fronti, finirono per unirsi anche ai cosacchi, individualmente e a piccoli gruppi. Nel corso del tempo, la comunità cosacca si integrò anche con i tartari della Crimea e con gli ebrei superstiti dei continui pogrom. Dopo varie generazioni, gli ebrei cosacchi erano diventati greco-ortodossi.

Queste tormentate vicende testimoniano dell’immensa potenza dell’immaginario razzista che, in contesti diversi, crea identità esclusive. Per dirla con Primo Levi, la comunità dei “salvati”, e quella dei “sommersi”, ambedue funzionali ai rapporti di potere.

* * *

Sulla sua origine russa, il dottor Krassnov aveva ricordi incerti. Sembrava che suo padre fosse arrivato negli Stati Uniti dopo aver vagato in un imprecisato paese europeo, mentre lui era nato e vissuto sempre a Chicago. Il padre gli aveva insegnato un po' di yiddish, e da ragazzo avevo frequentato saltuariamente la sinagoga. Della famiglia originaria sapeva solo che lo zio era stato ufficiale dell'esercito dello Zar, e che era morto durante la guerra civile in Russia.

Nel corso di un'altra visita gli dissi che quel suo zio poteva – o avrebbe potuto – essere il generale Pyotr Nicolayevic Krassnov, uno dei capi della Armata Bianca che aveva combattuto contro i bolscevichi fino al 1921-22, e poi era stato esule in Germania. Nel 1941, al seguito dell'offensiva tedesca, era ritornato in Russia e aveva radunato un grosso contingente di cosacchi che vennero arruolati in due divisioni agli ordini del generale tedesco Helmuth Von Pannwitz. L'amico dentista non mostrò grande interesse per queste vicende: quasi quasi non ci voleva credere, e soprattutto si mostrò infastidito dal seguito della mia ricerca.

Il massimo teorico nazista Alfred Rosenberg, autore del Mito del secolo XX e commissario per i territori orientali, aveva fatto condurre approfondite ricerche per arrivare a dimostrare che i cosacchi non erano slavi, ma un popolo ariano di origine tedesca, discendente dagli Ostrogoti che sarebbero arrivati fino al Caucaso dopo aver occupato l'Ucraina. Un altro esempio di come procede l'ideologia razzista: trova sempre le prove prima ancora di cercarle.

Nell'ottobre del 1944 più di quarantamila cosacchi e tartari caucasici agli ordini dell'Ataman Pyotr Nicolayevic Krassnov, in ritirata con i tedeschi dalla Russia, furono trasportati con mogli, figli, masserizie e diecimila cavalli nell'Alto Friuli e nella Carnia. I nazisti chiamarono quella regione Kosakenland, la nuova patria cosacca, destinata a svolgere il ruolo di fascia protettiva contro i partigiani italiani e quelli di Tito.

Le cronache di allora ci dicono che l'Ataman Krassnov aveva costituito il suo quartier generale e, insieme alla giovane e bella moglie Lidia Feodorovna, riceveva i visitatori con rigorosa etichetta perché “riteneva suo compito far rivivere il mondo aristocratico russo, da troppi anni in esilio”. Al quartier generale di Krassnov si godeva di un lusso imperiale che contrastava con le miserevoli condizioni in cui erano ridotti i suoi cosacchi: una sorta di danza macabra sull'orlo dell’abisso. Per ispezionare i distaccamenti, l'Ataman si muoveva da un paese all'altro su di una grande carrozza nera con gli sportelli decorati da stemmi, tirata da due cavalli bianchi e scortata da due cavalieri che la precedevano, e due che la seguivano. Al suo fianco sedeva la giovane moglie, coperta di gioielli e vestita con un abito alla cosacca, con tanto di alamari d'oro e alti stivali arabescati.

L'illusione della Kosakenland durò non più di otto mesi. Nell'aprile del 1945 Krassnov e i suoi cosacchi dovettero ritirarsi in Austria nei pressi di Lienz dove erano già arrivati gli inglesi. Questi, in ossequio agli accordi stipulati a Yalta che li impegnavano a consegnare ai sovietici i collaborazionisti con il nazismo, li disarmarono e li consegnarono nelle mani della Armata Rossa. Dopo la resa molti cosacchi trovarono la morte gettandosi nel fiume Drava, alcuni con tutte le loro famiglie, in rifiuto del rimpatrio nell'URSS: la loro patria che, comunque si giudichi, avevano tradito e combattuto. L'Ataman Krassnov fu giustiziato a Mosca nel 1947, mentre gran parte dei tartari e dei cosacchi vennero deportati in Siberia.

Malgrado il suo quasi smarrito disinteresse per queste vicende, l'amico dentista mi mostrò alcune fotografie che suo padre aveva lasciato. In una si vedeva un gruppo di cosacchi e ufficiali zaristi, al centro dei quali spiccava un supergallonato comandante. Sul retro la data: 1918. Nell'altra foto, databile ai primi del Novecento, si vedeva una comunità ebraica ucraina ghettizzata: il padre del dentista era cresciuto in quella comunità.

Al figlio queste “connessioni” storiche che io cercavo di stabilire non interessavano un granché: lui era nato e cresciuto in una società che, nel suo immaginario collettivo, ha sempre rifiutato la storia reale sostituendola con premesse astratte e rassicuranti per definire il “diverso”, considerato una minaccia alle sue sef-evident truths, verità evidenti di per sé. In questa prospettiva delle due storie parallele – storia reale e storia dell'immaginario – quello che succede non avrebbe mai potuto succedere, né a livello collettivo si saprà mai perché è successo. La storia dell'immaginario collettivo è unilaterale e fuori di ogni vera discussione. Quella reale può e deve essere coperta da segreti e manipolazioni, da quella pia frode tipica del Dominio assoluto in tutte le sue forme.

* * *

Per congedarmi dal mio amico Krassnov, dentista di Chicago, non trovo modo migliore che citare una pagina da quella grande riflessione sulla “vita offesa” che è I sommersi e i salvati di Primo Levi (Torino, Einaudi, 1985, p. 134).

NICHT SEIN KANN, WAS NICHT SEIN DARF”

Famoso e densissimo verso di Christian Morgenstern, bizzarro poeta bavarese, non ebreo nonostante il suo cognome. Un verso talmente pregnante che è passato in proverbio e che non può essere tradotto in italiano se non attraverso una goffa perifrasi. È il sigillo di una poesiola emblematica scritta nel 1910, Phalaström.

Un cittadino tedesco ligio ad oltranza viene investito da un’auto dove la circolazione è vietata. Si rialza malconcio, e ci pensa su. Se la circolazione è vietata, i veicoli non possono circolare, cioè non circolano. Ergo, l'investimento non può essere avvenuto: è una realtà impossibile, una unmögliche Tatsache. Lui deve averlo solo sognato, perché appunto non possono esistere le cose di cui non è moralmente lecita l'esistenza”.

Il presente del ligio cittadino tedesco Phalaström era la sua storia, unica “storia oggettiva”. Non troppo diversa da quella del mio dentista di Chicago, presunto nipote dell'Ataman Pyotr Nicolayevic Krassnov (1869-1947), persona reale, presente nel suo tempo con un importante ruolo storico. Ma completamente assente dall'immaginario americano del suo discendente.

Roberto Giammanco

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23 gennaio 2019 3 23 /01 /gennaio /2019 11:35

Heidegger: Il Dasein è ariano

Che cos'è l'"università hitleriana" a cui Heidegger avendovi partecipato, con ostentazione e entusiasmo, non soltanto con il suo rettorato ma anche attraverso l'insieme della sua produzione testuale?
E' un dispositivo istituzionale che spinge sino in fondo i vantaggi della combinazione - precisamente disposizionale - tra un simulacro di universalismo e una strategia mirante a dispiegare ("historialmente") il principio della sovranità assoluta di un gruppo particolare, chiamato all'occorrenza in modo fantasmatico "ariano". L'ariano è supposto essere la quintessenza dell'uomo bianco.
Tanto peggio per il gioco di parole: ma l'università hitleriana è università-città nel senso in cui la città è, in questo caso, esclusivamente quella dei membri della comunità detta ariana.
La tesi è allora che il dispositivo UH - universitario hitleriano - ha prodotto un vocabolario che si può approssimativamente chiamare ideologico-pratico, nel caso specifico del motivo dell'ariano e dell'arianità essa ha anche, per via di Heidedegger, sviluppato una terminologia ideologico-teorica. E' il caso, secondo noi, con Dasein e, di conseguenza, con Daseinanalyse.
Quest'ultima permette di tenere un discorso universitario di apparenza universale mentre Dasein nomina, dandosi a pensare come esser-ci, ideologico-teoricamente il che corrisponde ad Ariano.
L'universale heideggeriano - heideggerico-hitleriano - non è un universale né facile né difficile (per riprendere questi termini a Jean-Claude Milner) ma uno pseudo universale, un universale da simulacro.
La rifondazione hitlero-heideggeriana dell'universalità aveva bisogno di un tale dispositivo in cui ciò che si presenta in modo pseudo universale non è che la facciata di una ricomposizione dei saperi destinata a riunire delle collaborazioni su scala europea addirittura mondiale.
E' proprio esattamente il doppione "speculativo" di ciò che è avvenuto ed è designato con il nome di Auschwitz.
Dasein E' ariano nel senso in cui, fondandosi suilla dinamica della differenza ontologica il Dasein, nella sua dimensione istoriale, genera un gruppo separato da ogni universale o, per dirlo alla maniera dell'ultimo Heidegger, separato (e protetto) dalla metafisica e dalla filosofia stessa.
La mia analisi sfocia così nel considerare che la Lettera sull'umanesimo ha sopratutto avuto come obiettivo di "fondare" il fatto che Goring e i suoi, a Norimberga, sarebbero state delle vittime della filosofia metafisica.

Dasein E' Goring per Heidegger!

E "l'umanesimo" heideggeriano consiste nel dire - Daseinanalyse aiutando - che sono stati degli uomini veri ad essere stati giudicati e condannati a Norimberga. Essi furono condannati da dei subumani, dei "bulli metafisici"!

Alcuni autori riconoscono che Heidegger fu un nazista ordinario. Che egli abbia pensato ciò che gli attribuisco non sarebbe dunque che nell'ordine delle cose.

Il problema è che questo nazista ordinario ha avuto un modo straordinario di formulare la sua rabbia mortifera. E un modo non meno straordinario di ingannare il lettore proponendogli una filosofia che, sin dall'inizio, è divorata dal rifiuto (antifilosofico, antimetafisico) di accordare una qualunque legittimità e dignità a ciò che non si presta al gioco della sovranità assoluta del popolo (del popolo ariano).

 

[Traduzione di Ario Libert]

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20 gennaio 2019 7 20 /01 /gennaio /2019 07:00

Civiltà di Harappa nella valle dell'Indo

La civiltà dell'Indo è stata preceduta dalle prime culture agricole dell'Asia del Sud apparse sulle colline del Belucistan, a ovest della valle dell'Indo. Il sito meglio noto di questa cultura è Mehrgarh, che data al 6.500 a. C. Queste prime fattorie coltivarono il grano e addomesticarono una gran varietà di animali, in particolare quelli che costituivano il bestiame., Il vasellame era utilizzata verso il 5.500 a. C. La civiltà dell'Indo si è sviluppata a partire da questa base tecnologica, espandendosi nella piana alluvionale di quelle che ai nostri giorni sono le province pakistane del Sindh e del Punjab.

La civiltà dell'Indo, tra il 5.000 e il 1.900 a. C. fu preceduta da un popolo di agricoltori e di fattori che praticavano l'artigianato e il commercio.

Il popolo apparso verso l'8.000 a. C. prima della nostra era sulle colline del Belucistan a ovest della valle dell'Indo; per diffondersi nelle regioni del Sindth e del Punjab e formare la civiltà della valle dell'Indo, chiamata anche civiltà Harappeana.

Dimenticata dalla Storia sino alla scoperta negli anni 20 del XX secolo della città di Harappa poi quella di Mohenjo-Daro, la civiltà harappeana costituisce un vero mistero per gli archeologi che avrebbero giurato che nessuna vera civiltà avesse potuto esistere nella valle dell'Indo, in Pakistan, circa 4.500 anni fa.

Essa si colloca tra i suoi contemporanei, la Mesopotamia e l'Egitto antico, come una delle primissime civiltà, quest'ultime essendo definite dall'apparizione delle città, dell'agricoltura, della scrittura, ecc.

Dopo quasi 100 anni di ricerche, si comincia a capire meglio l'evoluzione di questa civiltà. Schematicamente, i periodi sono i seguenti:

- Tra gli 8.000 e i 5.000 anni prima della nostra era: le tecniche della metallurgia si diffondono in tutta l'Eurasia. L'agricoltura e il commercio apportano ricchezza. I villaggi crescono e diventano delle vere città.

- Tra i 4.000 e i 2.600 anni prima della nostra era: gli archeologi parlano di un'«epoca di razionalizzazione». Le regioni del bacino dell'Indo cominciano a costituire un'identità culturale specifica. Durante quest'epoca appare un nuovo modello di urbanesimo. Gli agglomerati sono divisi in due settori. E' probabile che i settori erano abitati da classi sociali distinte.

- Tra i 2.600 e 1.900 anni prima della nostra era: è «l'epoca dell'integrazione». Questo periodo designa il modo in cui le culture regionali sono confluite in una sola grande civiltà. Tutte le città disperse in un raggio di migliaia di chilometri utilizzano la stessa scrittura e gli stessi sigilli in steatite. Decorano i loro vasi con gli stessi disegni e i pesi utilizzati sono gli stessi ovunque.Questo processo di unificazione su un territorio così vasto resta inspiegato.
- Tra i 1.900 e 1.600 anni prima della nostra era: è l'"epoca della localizzazione", Nel corso di questi due secoli, le città vengono progressivamente abbandonate, la scrittura è trascurata e delle tecniche vengono abbandonate.

Oggi, sui 1.052 siti scoperti, più di 140 si trovano sulle rive del corso d'acqua stagionale Ghaggar-Hakra. Secondo alcune ipotesi, questo sistema idrografico, un tempo permanente, irrigava la principale zona di produzione agricola della civiltà dell'Indo.

La maggior parte degli altri siti sono ubicati lungo la valle dell'Indo e dei suoi affluenti ma ne esistono anche all'ovest sino alla frontiera dell'Iran all'est sino a Delhi, a sud sino nel Maharashtra e a nord sino all'Himalaya. Tra questi siti, si contano numerose città come Dholavira, Ganweriwala, Harappa, Lothal, Mohenjo-daro e Rakhigarhi. Al suo apogeo, la sua popolazione potrebbe aver superato i cinque milioni di abitanti.
La denominazione civiltà dell'indo-Sarasvatî è a volte utilizzata, più particolarmente nel mondo anglo-sassone; essa fa riferimento e identifica la civiltà descritta nei Veda, che prosperò lungo il fiume Sarasvatî, di cui si ignora attualmente la localizzazione. Questa identificazione resta tuttavia ipotetica.
Quell'altro grande fiume che scorreva parallelamente e a ovest dell'Indo durante il terzo e il quarto millennio prima della nostra era sembrerebbe essere l'antico Sarasvati-Ghaggar-Hakra River.

Le rive perdute vengono lentamente rintracciate dai ricercatori. Il che permette agli archeologi di scoprire nuove città lungo il suo letto inaridito.

Non essendo riusciti a decifrare la sua scritture costituita da 400 pittogrammi, non disponiamo di nessuna informazione reale sulle sue origini.

Questa civiltà doveva avere una forte autorità centrale che si è esercitata su di uno spazio molto vasto come lo lasciano capire gli elementi straordinariamente moderni per una società di quest'epoca, come la standardizzazione dei pesi e misure, la dimensione dei mattoni, la protezione dalle inondazioni attraverso un importante sistema di dighe. E, soprattutto la rapidità con la quale le città furono organizzate, pianificate in uno sforzo deliberato di unificazione.

Infatti, tra gli attributi di questa cultura, si rileverà un urbanesimo notevolmente coordinato. Queste città fortificate, il cui materiale è il mattone crudo rivestito di mattone cotto, sono edificate sullo stesso modello di pianificazione urbana.

I due più vasti siti Harappa e Mohenjo-daro che contavano sino a 30.000 abitanti, hanno un perimetro di cinque chilometri, e coprono ognuno almeno sessanta ettari. In modo tipico, le città sono divise in due zone: una prima caratterizzata da una piattaforma di terra sopraelevata che i primi archeologi chiamarono la cittadella e una seconda, chiamata città bassa, composta da case e da magazzini strettamente intrecciati, separati da una rete di strade e viali, ben definiti, secondo un piano preciso, di larghezze fisse e in uso nella quasi totalità dei siti. Ma non vi sono tracce di palazzi, il che lascia supporre un'organizzazione politica affidata a dei collegi di amministratori o a una élite sacerdotale. Si conoscono inoltre poche cose dell'organizzazione politica e sociale della civiltà dell'Indo e delle sue credenze religiose. Le opere statuarie suscettibili di rappresentare dei sovrani sono pochissime, e nessun edificio può essere considerato come palazzo, anche se il «Grande Bagno» di Mohenjo-daro e gli edifici annessi sono potute essere riservate a una élite sacerdotale.

Ne sappiamo in compenso molto più sulla civiltà materiale che non è priva di raffinatezze. Le più grandi case di Mohenjo-daro sono fatte di ambienti disposti intorno a una o più corti aperte, con delle scale che portano ai piani superiori, coperti da un tetto piatto. Queste case comportavano numerose stanze, delle vasche e dei bagni, con un sistema di distribuzione delle acque, di evacuazione in un tombino di ceramica, o nella fogna della strada adiacente. Infatti, la maggior parte delle strade hanno delle fogne coperte, in mattoni, con delle botole per l'ispezione poste a intervalli regolari.

Una delle caratteristiche di questa civiltà risiede nella sua evidente non-violenza. Contrariamente alle altre civiltà dell'Antichità, le ricerche archeologiche non pongono in evidenza la presenza di dirigenti potenti, di vasti eserciti, di schiavi, di conflitti sociali, di prigioni e altri aspetti classicamente associati alle prime civiltà. Tuttavia queste mancanze possono derivare anche dalla nostra conoscenza molto parziale di questa civiltà. In quanto alla religione, non ne rimangono che tracce labili: statuine assimilate spesso a delle dee madri, amuleti, rappresentazioni di sacrificio di un bufalo d'acqua. Ma anche degli alberi sacri e di un «proto-shiva», un uomo dalle molte teste in posizione yoga. Alcuni specialisti vi vedono delle premesse della religione indù.

L'ipotesi dell'esistenza di un'autorità sacerdotale è dovuta alla rappresentazione in statuetta, di un uomo i cui occhi semichiusi fanno pensare che stia in meditazione. Il suo abito da cerimonia, disseminato da disegni a trifoglio (valore simbolico?), e i gioielli che ornano la testa e il braccio del personaggio rafforzano l'ipotesi di una figura importante della società harappeana, forse un «re-sacerdote».

Mohenjo-daro fu un grande centro di commercio e di artigianato, con dei laboratori di vasai, di tintori, di metallurghi, di operai che lavoravano le conchiglie e le perle. Questi popoli hanno elaborato un'arte brillante, come testimoniano i sigilli in steatite, ornati da pittogrammi e da figure animali. D'altronde, una statuaria molto elegante, delle pitture ornamentali, dei gioielli di perle in steatite e in vetro attestano l'alto grado di civiltà a cui queste società erano giunte. L'artigianato produce una ceramica molto bella, finemente decorata, soprattutto delle giare.

La tecnologia dei trasporti come il carro tirato dai buoi e il battello hanno permesso degli scambi commerciali con una zona immensa, includendo delle zone dell'attuale Afghanistan, del Nord e del centro dell'attuale India e che si estendevano dalle regioni costiere della Persia alla Mesopotamia. I trasporti attraverso battelli erano fluviali e marittimi. Gli archeologi avevano scoperto a Lothal un canale collegato al mare e un bacino artificiale di attracco.

A partire dal secondo millennio a. C., degli scambi tra la valle dell'Indo e il golfo Persico sono attestati attraverso le tavolette sumeriche che fanno riferimento a un commercio orientale importante con la lontana contrada di Meluhha (da rapportare alla parola sanscrita mleccha, non ariana) che sembra riferirsi agli indusiani, il solo indizio che ci permetta di pensare che il suo popolo utilizzava questa parola per chiamare se stesso. Numerosi oggetti di tipo indù (giare, sigilli, pesi in pietra) sono stati scoperti nei siti del Golfo, regione identificata con Dilmun che, nei testi mesopotamici, serve da intermediario con Meluhha.

Verso il 1900 a. C. la civiltà dell'Indo entrò in declino rapidamente così come essa era apparsa. Gli abitanti delle grandi città cominciano ad abbandonarle e coloro che vi rimangono, sembrano avere difficoltà a nutrirsi. Intorno al 1800 a. C., la maggior parte delle città sono state abbandonate. L'età dell'oro del commercio interiraniano, segnato dalla presenza di numerosi "tesori" e ricche metropoli, sembra terminare tra il 1800 e il 1700 a. C., nel momento stesso in cui i testi mesopotamici cessano di parlare del commercio orientale. Un processo di regionalizzazione si accentua con la scomparsa degli elementi più caratteristici dell'unità harappeana: la scrittura, i sigilli o i pesi.

Durante i secoli successivi e contrariamente ai suoi contemporanei, la Mesopotamia e l'Egitto antico, la civiltà dell'Indo scompare dalla memoria dell'umanità. Contrariamente agli antichi Egiziani e Mesopotamici, gli indusiani non hanno costruito imponenti monumenti di pietra le cui vestigia ne perpetuino il ricordo.

Infatti, il popolo indusiano non è scomparso. All'indomani dell'affondamento della civiltà dell'Indo, emergono delle culture regionali che dimostrano che la sua influenza si prolunga, con gradi diversi. Vi è stata anche probabilmente un'emigrazione di una parte della sua popolazione verso est, verso la pianura gangetica. Ciò che è scomparso, non è un popolo ma una civiltà, le sue città, il suo sistema di scrittura, la sua rete commerciale che ne era il suo fondamento intellettuale.

Tuttavia, la civiltà dell'Indo non è stata cancellata poiché si stima che una parte della faccia "oscura" dell'induismo non sarebbe che una risorgenza delle concezioni di questa civiltà dell'Indo.

 

[Traduzione di Ario Libert]

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14 agosto 2018 2 14 /08 /agosto /2018 07:00

L'oscuramento dell'Egitto e la nascita del modello ariano

Martin Bernal

Il nucleo del mio progetto, recante il titolo generale di Atena nera. Le radici afroasiatiche della civiltà classica [Black Athena] è formato dall'origine dell'antica civiltà greca. In primo luogo, su un piano euristico, è utile concepire l'antico Egitto come una civiltà africana; in secondo luogo, di accettare il punto di vista degli antichi Greci secondo il quale l'Egitto e la Fenicia hanno svolto un ruolo centrale nella formazione della loro alta cultura; e in terzo luogo, che il rifiuto di questi due punti da parte dei ricercatori europei e nord americani dall'inizio del XIX secolo si spiega meglio in termini ideologici piuttosto che puramente accademici.

Due modelli storici della fondazione dell'antica Grecia

La struttura di Atena nera poggia sulla distinzione tra due versioni della storia primitiva della Grecia che io chiamo il modello antico e il modello ariano. Secondo il modello ariano, generalmente ancora quello più insegnato, la civiltà classica greca fu il risultato della conquista della Grecia dal nord da parte degli "Elleni". Erano degli Indo-Europei o "Ariani". La popolazione indigena dell'Egeo che essi hanno conquistato è etichettata semplicemente come "Pre-ellenica" dai ricercatori moderni.

Tutto ciò che "sanno" i sostenitori del modello ariano sui "pre-ellenici" è che essi erano Caucasici - essi non parlavano nessuna lingua semitica né l'egizio - e non parlavano nessuna lingua indoeuropea. Il modello ariano non è nato che verso il 1830-40.

Ciò che io chiamo modello antico sostiene che gli antenati dei Greci sono vissuti in una semplicità idilliaca sino all'arrivo dei capi egiziani e fenici. Quest'ultimi sono stati i fondatori delle città e hanno introdotto l'arte della civiltà; soprattutto l'irrigazione, diversi tipi di armi e l'alfabeto.

Ho effettuato delle ricerche per sapere come il modello antico si era trasmesso dall'epoca classica sino al 1800. Qui, il punto centrale è costituito dall'origine egiziana della religione greca. Erodoto sostiene che gli Egiziani avevano insegnato ai Greci i nomi di quasi tutte le divinità e molto di ciò che era religioso. Nello stesso spirito, gli antichi Greci disponevano di equivalenti completi delle divinità egiziane e greche. Il loro Zeus corrispondeva al dio Ammone degli Egiziani e Atena a Neit. Durante l'epoca ellenistica e romana, è evidente che i Greci consideravano le forme egiziane come più antiche e superiori alle loro. Il che spiega che i Greci e i Romani di quell'epoca abbiano spesso sostituito i loro culti con dei culti egiziani.

La situazione cambia con il trionfo del cristianesimo. Sotto la nuova amministrazione, molte divinità egizio-greco-romane sono incorporate nella nuova religione sotto forma di santi. Thot, il dio egiziano della saggezza e il suo omologo greco Hermes rimangono fuori dall'orbita religiosa. Hermes, con il titolo di Trismegisto, fu associato ad alcuni testi mistici, filosofici e magici che sono circolati in Egitto dal II al VI secolo della nostra era, benché alcuni tra di essi potrebbero essere più antichi di alcuni secoli.

I testi ermetici con il loro accento sulle possibilità umane hanno avuto un ruolo importante nella nascita dell'umanesimo del Rinascimento. Essi erano anche il centro di un profondo rispetto per l'Egitto. L'interesse per questi testi diminuì verso la fine del XVII secolo. Tuttavia, ciò non ebbe alcun effetto negativo sulla reputazione dell'antico Egitto. Infatti, l'ammirazione per questo paese conobbe dei nuovi apici durante il XVIII secolo che ha visto la diffusione dei massoni verso la metà dell'età dei Lumi. Ora, i massoni si consideravano come i sacerdoti egiziani idealizzati dell'età moderna.

I Tedeschi e i Greci

Con gli inizi della Riforma in Germania, un interesse positivo per la Grecia è aumentato da quando Martin Lutero e i suoi discepoli si sono volti verso il Nuovo Testamento in Greco come mezzo per soppiantare la Vulgata, la Bibbia in Latino, e le pretese del papato di risalire all'antichità. Con la secolarizzazione del XVIII secolo, gli intellettuali tedeschi cominciarono a identificarsi con gli antichi Greci per un'altra ragione. Vedendo che non vi era speranza che la Germania diventasse una "nuova Roma" unificata politicamente e potente militarmente, hanno creduto che la loro nazione, composta da stati indipendenti che si combattevano tra loro, ma dotati di un alto livello culturale, sarebbe potuta diventare la nuova Grecia, la "nuova Hellas".

L'attaccamento della Germania per l'antica Grecia è nettamente cresciuto dopo la Rivoluzione francese. Gli intellettuali dell'alta società tedesca che avevano dapprima ben accolto la Rivoluzione le hanno voltato le spalle dopo il Terrore e realizzando che anche la Germania avrebbe potuto esserne colpita. E' in questa atmosfera che nel 1793 Wilhelm von Humboldt ha fornito le grandi linee di un nuovo sistema educativo in Germania. Al suo centro si trovava lo studio della "Antichità in generale e della Grecia in particolare". Analizzando ciò che egli pensava essere il popolo più armonioso della Storia, Humboldt prevedeva che la Germania avrebbe evitato gli estremi della rivoluzione e della reazione.

Quattro fattori, cause dell'abbandono del modello antico

Sullo sfondo del cambiamento accademico, la forza acceleratrice fu la guerra d'indipendenza della Grecia contro l'Impero Ottomano nel 1821. Essa fu percepita come una lotta tra il cristianesimo e l'Islam. Il movimento filoellenico degli anni 20 dell'Ottocento con i suoi eroi, i poeti bianchi Byron e Shelley e la loro morte hanno provocato un aumento di simpatia per la Grecia in Europa occidentale e nell'America del Nord. In quest'atmosfera tesa, diventava sempre più intollerabile agli Europei "progressisti" che la Grecia, quest'emblema bianco dell'europa, avesse provenire da una civiltà originaria di continenti "scuri".

Vi erano anche delle ragioni più profonde per abbandonare il modello antico. Dopo le sconfitte della Rivoluzione francese e di Napoleone nel 1815, un grande rinnovamento cristiano sorse attraverso l'Europa e l'America del Nord. Nelle classi elevate, nuovamente cristiane, molte persone odiavano l'antico Egitto che essi consideravano come il centro della massoneria che essa, a sua volta, è stata considerata come una cospirazione all'interno di un Secolo dei Lumi e lo sfondo della Rivoluzione.

Gli antichi Egiziani come neri e come fondatori della civiltà occidentale

Alla fine del XVIII secolo, una terza visione cominciò a essere difesa. Se, gli antichi Egiziani erano al contempo Africani e fondatori della civiltà europea. All'origine di questa tendenza intellettuale si trovano le opere di un viaggiatore scozzese, James Bruce. Tra gli anni 1760-1770 Bruce ha attraversato l'Egitto e ha trascorso alcuni anni in Etiopia. Ha constatato delle relazioni tra le civiltà etiopi e egiziane e era convinto che la forma etiope era la più antica. Per Bruce, la sorgente del Nilo (blu) era la sorgente della civiltà.

Charles-François Dupuis, in quanto a lui, era un ricercatore erudito dell'Antichità e un brillante inventore. Aveva aderito alla Rivoluzione e organizzato  una "Religione della ragione" anti-cristiana, sostenuta dai Giacobini della Rivoluzione, e utilizzando numerosi simboli egiziani. Dupuis sosteneva che l'astronomia egiziana, che egli considerava come la scienza fondamentale, era giunta in Egitto dal Sud. Il suo amico, Constantin Chasseboeuf de Volney, ha reso ancora più esplicito il legame tra i "negri" e le origini della civiltà occidentale. La sua opera ha fornito un'arma potente agli abolizionisti.

In Francia, il grande abolizionista l'Abate Grégoire ha dedicato nella sua opera di ricerca sulle "facoltà morali e la letteratura dei negri" il primo capitolo agli argomenti di Volney ponendo in evidenza che gli antichi Egiziani  erano dei "negri" e conclude: "Senza imputare all'Egitto il più alto grado di sapere umano tutta l'Antichità decide in favore di coloro che la considerano come una scuola celebre da cui provengono la maggior parte degli uomini istruiti e venerabili della Grecia".

L'opera di Grégoire fu tradotta in inglese nel 1810 e, molto presto, dette fiducia agli Afro-Americani colti. Questo tema degli Egiziani neri che avevano fondato una civiltà fu ripreso in due libelli virulenti, pubblicati nel 1829, The Ethiopian Manifesto, Issued in Defense of the Black Man's Rights in the Scale of universal Freedom di Robert Alexander Young e Appeal to the Coloured Citizens of the World di David Walker, che ebbe ancor più influenza.

Non vi è modo di sapere se i ricercatori europei che hanno creato la nuova disciplina Altertumswissenschaft / Scienza dell'Antichità abbiano avuto modo di conoscere questi scritti. Ma essi conoscevano indubbiamente Bruce, Dupuis, Volney e Grégoire.

L'idea che gli Egiziani fossero neri e, di conseguenza, che dei Neri erano stati all'origina delle civiltà occidentali non era soltanto deplorevole ma priva di ogni scientificità per i ricercatori "progressisti" europei. Durante il XIX secolo, la "scienza" delle razze ha non soltanto dimostrato che i "Bianchi" erano superiori ai "Neri" ma, conformemente ai caratteri permanenti delle razze, che era sempre stato così. Dunque gli storici greci si sono dovuti sbagliare oppure a quei tempi soffrivano di quelle misteriose malattie come la "barbarofilia" o ancora la "egittomania" quando essi affermavano che dei Fenici "semitici" e degli Egiziani africani avevano civilizzato la Grecia.

Il primo colpo portato al modello antico fu inferto nel 1820 da Karl Otfried Müller, uno dei prodotti del sistema educativo di Humboldt. L'argomento di Müller consisteva nel sostenere che le leggende sulle quali poggiava questo modello non avevano alcuna consistenza  e che non esisteva nessuna prova che una colonizzazione egiziana o fenicia avesse avuto luogo.

A volte, si afferma che i grandi progressi del XIX secolo nella conoscenza delle lingue antiche e dell'archeologia hanno portato a questo cambiamento. Ora, la metà egiziana del modello antico fu distrutta prima che le lingue mesopotamiche scritte in cuneiforme, siano state comprese e molto prima che Heinrich Schliemann abbia scoperto la cultura materiale micenea. Benché sia vero che Champollion abbia decifrato sin dal 1820 gli geroglifici, i ricercatori tedeschi non hanno accettato questo sapere per i 30 anni successivi.

Per contro, vi era un'importante ragione "interna" dietro l'instaurazione del modello ariano, e cioè l'elaborazione di una famiglia linguistica indo-europea nella quale fu incluso il greco. Se si suppone, come ciò sembrerebbe plausibile, che i popoli che parlavano un proto-indo-europeo vivevano in qualche parte a Nord e a Est dei Balcani si deve postulare che il bacino egeo abbia ricevuto un'influenza sostanziale proveniente dal Nord. Ciò è potuto avvenire sotto diverse forme, ma, essendo data la predisposizione etnica della metà del XIX secolo, la si è considerata immediatamente come una conquista della "razza dei padroni" degli Elleni il cui vigore sarebbe stato come quello dell'acciaio attraverso una formazione etnica nel freddo dell'Asia Centrale o della steppa.

Per decenni, la nuova immagine delle origini del Greci è coesistita con la credenza tradizionale secondo la quale i Fenici - e non gli Egiziani - avrebbero svolto un ruolo primario. Questo punto di vista fu attaccato negli anni 90 del XIX secolo ma è sopravvissuto sino al 1920. In quanto a me, associo il declino dei Fenici - gli Ebrei dell'Antichità" - all'ascesa dell'antisemitismo razzista opposto a quello religioso alla metà del XIX secolo. Collego anche la recrudescenza d'interesse per i Fenici dopo il 1950 all'aumento di fiducia in sé degli Ebrei dopo la creazione dello Stato d'Israele. La restaurazione della sfaccettatura egiziana del modello antico fu più lenta. I difensori degli antichi Egiziani furono i Neri americani che furono più distanti dall'"establishment" accademico dei professionisti ebrei.

Per tornare all'impatto di Dupuis, Volney e Grégoire, gli abolizionisti neri e bianchi hanno continuato a far uso dei loro argomenti dopo che gli accademici avevano abbandonato il modello antico. Ad esempio, il celebre filosofo e teologo John Stuart Mill ha scritto nel 1849: "E' molto curioso che la prima civiltà di cui abbiamo conoscenza sia stata una civiltà nera, e abbiamo tutte le ragioni di crederlo. Gli Egiziani originari, a causa dell'evidenza delle loro sculture, suppongono di essere stati una razza nera: dunque i Greci hanno appreso le loro prime lezioni di civiltà da questi Negri e i filosofi greci, alla fine della loro carriera, hanno fatto ricorso alle tradizioni e ai documenti di questi Negri (non dirò con molto frutto) come al tesoro di una saggezza misteriosa".

Tali punti di vista sono diminuiti presso gli Euro-americani dopo l'abolizione della schiavitù. Hanno tuttavia persistito presso gli Afro-americani. Degli intellettuali come Frederick Douglas e dei ricercatori come W.E.B. Dubois e St. Clair Drake non erano sicuri della nerezza o della "fisionomia negra" degli antichi Egiziani ma non avevano alcun dubbio circa "l'africanità" dell'antico Egitto o alla quantità del contributo degli Egiziani alla civiltà greca.

Nel gruppo conosciuto come quello degli "Afrocentristi", vi sono pochi dubbi o nessuno sulle origini afro-asiatiche della civiltà europea dell'Antichità. In questo senso, sono gli accademici e i difensori europei del modello ariano e non gli Afrocentristi che hanno rotto fondamentalmente con la tradizione. Sino a tempi recenti, le idee dei ricercatori neri non sono state conosciute dai non-neri. Anche attualmente, i loro punti di vista sono considerati come una "dichiarazione speciale" o una "terapia piuttosto che storia".  E non è un aiuto consultare gli scrittori afrocentristi su quest'argomento unicamente in termini di socio-patologia. Il modello ariano stesso serve alla stessa funzione terapeutica per i razzisti europei.

Anche se si descrive il modello ariano come "concepito nel peccato o anche nell'errore", non credo che ciò lo renda invalido in quanto strumento storico. Propongo, in quanto a me, un modello antico riveduto" che afferma che la Grecia abbia subito in molte riprese delle influenze esterne sia dal Mediterraneo orientale sia dai Balcani e che è questo intreccio stravagante che ha prodotto questa cultura attraente e feconda, la gloria che è la Grecia.

 

©Martin Bernal (New York)

 

[Traduzione di Ario Libert]

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1 giugno 2018 5 01 /06 /giugno /2018 07:00

Civiltà fastidiose: la Cultura Vinca

Quando si parla della cultura di Vinca, si deve sapere che si parla anche di cultura di Turdas o cultura di Turdas-Vinca, e anche di quella chiamata da molti specialisti come "Antica Europa".

Si tratta di una civiltà della fine della preistoria ufficiale, del calcolitico, datata tra i 7000 e i 3000 anni a. C., e preceduta o accompagnata ai suoi inizi da una più antica cultura ancora, la poco conosciuta cultura di Starcevo, che costruiva già delle case rettangolari. E' nel 1908 che un gruppo di archeologi diretto da Miloje Vasic effettua degli scavi nella località serva di Vinca, che hanno permesso di mettere in luce importanti testimonianze.

La cultura di Vinca copre una vasta regione includente la maggior parte dei paesi e regioni dell'ex Iugoslavia (Serbia, nord-est della Bosnia e una parte del Montenegro e della Croazia), il sud-est dell'Ungheria, il nord-ovest della Bulgaria e una parte della Romania (Banat, Transilvania e sud-ovest della Oltenia), e quella che sorge lungo il corso del Danubio. Si ritrovano delle propaggini della sua cultura in tutti i Balcani, sia nell'Europa Centrale e Occidentale sia in Asia Minore.

Areale della cultura di Vinca

Sfortunatamente, poche persone conoscono questa favolosa civiltà, e ciò è dovuto soprattutto, secondo l'archeologo Philip Coppens, al lavoro inibitore del grande ma molto dogmatico archeologo Vere Gordon Childe (1892-1957), che per molto tempo è stato un'autorità sulla fine della preistoria in Europa. Infatti, e con errori ora verificati, grazie a nuove datazioni, quest'ultimo aveva considerato la cultura di Vinca come un'entità culturale periferica influenzata da forze più "civilizzate" (anche sumeriche). La sua posizione dogmatica e la sua influenza hanno fatto sì che la cultura di Vinca abbia ricevuto poca attenzione sino alla sua morte.

E' in gran parte una nuova scoperta fatta nel 1961, dal N. Vlassa, durante gli scavi di un sito transilvano di Tartaria [*], che fa parte della cultura di Vinca, che ridesta un certo interesse presso i ricercatori verso questa cultura. Tra i diversi reperti recuperati, tre tavolette d'argilla, che egli ha analizzato con il radiocarbonio. I reperti furono datati a circa il 4000 a. C., il che scatenò all'epoca una vasta controversia: diretta dai detrattori del nuovo metodo del C14, per far valere il fatto che il radiocarbonio fosse erroneo. Come potrebbe essere "tanto" antico, dal momento che Uruk dei sumeri e la sua scrittura cuneiforme erano meno datate?

Vlassa aveva inizialmente (prima dei risultati della datazione al carbonio) confermato che la "Cultura Vinca" presentava delle forti similitudini con Sumer. Tutti avevano convenuto che i Sumeri avevano influenzato la cultura di Vinca (e il sito di Tartaria), che si era dunque visto attribuito d'ufficio una data tra 2900-2600 a. C. (il tradizionale metodo comparativo, che poggia sulla logica degli archeologi, invece che su prove scientifiche solide). Sinclair Hood ha suggerito che i ricercatori sumeri si erano stabiliti nelle vicinanze dei depositi auriferi nella regione della Transilvania, generando questa cultura-figlia locale.

Ma se i risultati della datazione al carbonio sono corretti, poiché Tartaria data al 4000 a. C., ciò significa che la cultura di Vinca è più antica di Sumer, o che Sumer aveva almeno un millennio in più di quanto pensavano gli archeologi. Sia qual che sia, l'archeologia era in uno stato di completa confusione e alcuni o tutti gli archeologi avevano torto. Ecco la ragione per la quale la datazione al radio carbonio veniva attaccata, invece di revisionare semplicemente le cronologie e le opinioni errate.

Dama di Vinca, 5000-4000 a. C., Museo di Belgrado

Non vi è dibattito reale a questo proposito: gli oggetti della cultura di Vinca e quelli di Sumer sono molto simili. E non vi è soltanto il vasellame e gli oggetti: essi condividono una scrittura che sembra identica.Infatti, il poco interesse che aveva suscitato la cultura di Vinca negli anni 60 proviene da questo, dalla loro scrittura. La scoperta di Vlassa sembrava soltanto confermare questa conclusione, che, egli stesso, ha fatto immediatamente: la scrittura doveva essere stata influenzata dal Vicino Oriente. Tutti, compreso Sinclair Hood e Adam Falkenstein, convenivano che le due scritture erano legate e Hood vi ha visto anche un legame con Creta. Infine, l'erudito ungherese Janos Makkay ha dichiarato che "l'origine mesopotamica [dei pittogrammi di Tartaria] non può essere posta in dubbio".

Ma quando la cultura di Vinca ha di colpo preceduto Sumer, questa tesi non poteva essere mantenuta (sarebbe stato come spezzare il quadro archeologico, messo in gran  parte a punto da Childe e i suoi pari), e dunque, oggi, la teoria è che le due scritture si sono sviluppate indipendentemente. Naturalmente, dovremmo domandarci se si tratta semplicemente di un altro tentativo per salvare delle reputazioni e se nei decenni che verranno la posizione sarà finalmente rovesciata, il che potrebbe significare che la cultura di Vinca è effettivamente all'origine della civiltà sumerica.

Ma torniamo agli scavi. Dopo la scoperta del 1908, Vinca è stata esplorata tra 1918 e 1934 e si è rivelata essere una vera civiltà: una civiltà dimenticata, che Marija Gimbutas più tardi chiamerà "Antica Europa". Infatti, sin dal VI millennio a. C., tre millenni prima dell'Egitto dinastico, la cultura di Vinca era già un'autentica civiltà. Sì, era una civiltà: una città tipica composta da case con dei piani architettonici complessi e numerose camere, costruite in legno poi coperte di fango. Le case si estendevano lungo le strade, facendo così di Vinca il primo insediamento urbano in Europa, ma anche la più antica rispetto alle città della Mesopotamia e dell'Egitto. E la città di Vinca non era che una delle metropoli, ve ne sono altre a Divostin, Potporany, Selevac, Plocnik e Predionica. Marija Gimbutas ha concluso che "nel corso del V millennio e sino all'inizio del IV a. C., sino alla sua sparizione in Europa centrale e orientale, gli Antichi Europei avevano delle città con una forte concentrazione di popolazione, dei templi con più piani, una scrittura sacra, delle case spaziose di quattro o cinque stanze, dei ceramisti professionisti, dei tessitori, dei metallurghi del rame e dell'oro, e altri artigiani producevano una gamma di prodotti sofisticati. Una rete di strade commerciali fiorenti esisteva affinché degli articoli come l'ossidiana, le conchiglie, il marmo, il rame e il sale fossero distribuiti per centinaia di chilometri".

Tutto nella Antica Europa è infatti più antico di ogni altra cosa in Europa o nel Vicino Oriente. Per tornare  alla loro scrittura, Gimbutas ha tentato di tradurla e l'ha chiamata il "linguaggio della dea". Fonda il suo lavoro su quello di Shan Winn, che ha portato a termine il più grande catalogo di segni Vinca sino ad oggi. Riduce il numero di segni a 210, indicando che la maggior parte dei segni erano composti di linee diritte e hanno una forma rettilinea. Soltanto una minoranza ha delle curve, il che può essere dovuto alla difficoltà di incidere delle curve sulla superficie dell'argilla. In una sintesi finale, egli ha concluso che tutti i segni Vinca sono stati considerati come costruiti su cinque segni di base: una linea diritta, due linee che si incrociano al centro, due linee che si incrociano a un'estremità, un punto, una linea curva.

Una tomba molto antica (Lepenski-Vir, Serbia), del 7.000 a. C., cranio grosso, mascella forte, posizione del loto, tomba a forma trapezoidale

La cultura di Vinca ha avuto dei millenni di anticipo sulla data ammessa dello sfruttamento minerario. All'epoca, si pensava che lo sfruttamento minerario non era anteriore al 4000 a. C., benché questi ultimi anni, degli esempi risalenti sino a 7000 anni siano stati scoperti. La miniera di rame a Rudna Glava, a 140 km a est di Belgrado, ha almeno 7000 anni e aveva dei pozzi verticali che giungevano sino a 20 metri di profondità e al momento della sua scoperta, è stata molto controversa.

Altri modelli della "Antica Europa" hanno visto la luce nel novembre 2017, quando è stato dato l'annuncio che gli scavi di un'antica colonia nel sud della Serbia avevano rivelato la presenza di un forno, utilizzato per la fusione del metallo. Il forno conteneva degli utensili: un bulino di rame e un martello a due teste e un'ascia. Più importante ancora, molti oggetti metallici che sono stati fabbricati, sono stati ritrovati.

Scavi di Starcevo

 

Gli scavi hanno anche riportato alla luce una serie di statue. L'archeologa Julka Kuzmanovic-Cvetkovic ha osservato che "secondo le figurine che abbiamo studiato le giovani donne erano vestite magnificamente vestite, come le ragazze di oggi con delle mezze magliette e delle minigonne, e indossavano dei braccialetti intorno alle braccia".

Coloro che sono vissuti tra il 5400 e il 4700 a. C. sul sito di 120 ettari di ciò che è ora Plocnik conoscevano il commercio, l'artigianato, l'arte e la metallurgia. Lo scavo ha permesso anche di capire meglio l'"Antica Europa": ad esempio, vicino alla colonia, un pozzo termico, può essere la prova della più antica stazione termale d'Europa. Le case avevano delle stufe e vi erano dei buchi speciali per i rifiuti, mentre i defunti venivano sotterrati in una necropoli molto ordinata. Le persone dormivano su delle stuoie di lana e di pelo, essi fabbricavano degli indumenti di lana, di lino e di cuoio, e allevavano degli animali. La comunità amava anche particolarmente i loro bambini: i manufatti che sono stati recuperati comprendevano dei giocattoli a forma di animali e dei sonagli, e dei piccoli vasi, malaccortamente concepiti apparentemente fabbricati da dei bambini per divertimento.

Degno di nota lo strano essere dalle lunghe braccia disegnato su uno dei vasi

Non sono che due esempi che evidenziano che la "Antica Europa" era una civiltà con una anticipo di millenni rispetto ai suoi vicini. L'"Antica Europa" è una cultura dimenticata, come pone in risalto Richard Rudgeley: "L'Antica Europa" è stata la precorritrice di molte evoluzioni culturali più tardive e [...] la civiltà ancestrale, piuttosto che essere perduta tra i flutti di qualche cataclisma geologico, è stata persa dalle ondate di invasioni delle tribù dell'Est". Infatti, Rudgeley fa valere che quando ci si trova di fronte all'improvviso sorgere della civiltà a Sumer o altrove, non dobbiamo guardare verso una civiltà extraterrestre, né Atlantide, ma piuttosto verso l'"Antica Europa", una civiltà che il mondo sembra voler ignorare... e non possiamo che chiedercene il perché.

Probabilmente perché si pone la questione di capire come una civiltà ancora più antica e datante alla preistoria potrebbe avere tali conoscenze, uscite anch'esse da... nessun posto. Di fatto, ciò addita ancor più una possibilità "esotica" in questo caso preciso, il che è evidentemente inaccettabile per i dogmi pazientemente edificati. E questi dogmi sono stati, curiosamente, in qualche modo protetti dalle affermazioni dei "protocronisti", e cioè dei ricercati pagati durante un'epoca dai governi comunisti (o fascisti) per raccontare una storia locale imperniata sul fatto che le loro civiltà provenivano esclusivamente da queste regioni, senza influenze esterne, e con l'aiuto di oggetti realmente mostrati ma non analizzabili da altri ricercatori, quest'atteggiamento ha permesso dunque l'occultazione di molte culture ben reali nella realtà storica, il che sembra aver sistemato tutti infine, compresi alla fine europei e americani, i cui propri dogmi e teorie (imperniate storicamente sullo schiavismo poi il colonialismo e un dominio occidentale) erano preferibili e più facili da ammettere delle teorie dei protocronisti.

Ma i fatti sono cocciuti e la storia, la verità, torna sempre da un lato, compreso quello dell'insolito. Dapprima, se si seguono i lavori di Marija Gimbutas, membro scientifico della UCLA sin dal 1963, prima di Sumer, vi furono altre civiltà. Questa civiltà gilanica praticava il culto della grande dea e si situava intorno al Danubio sino in Ucraina alla frontiera del Dniepr. La si è chiamata la cultura di Vinca. Marija Gimbutas ha dimostrato che questo centro era altamente avanzato su tutti i piani, è in seguito emigrato verso l'Europa sotto l'avanzata degli Indo-europei. Si tratta dunque dei Proto-indo-europei prima dell'arrivo dei "kurgan". Questa società europea primitiva era di tipo gilanico, e si articolava intorno al culto di una Grande dea madre, essa fu alla fine soppiantata durante l'Età del Bronzo dalla nuova cultura androcratica e patriarcale dei Kurgan che portarono con essi il cavallo e la gerarchia guerriera (Dumézil).

Statuina di dea dagli scavi di Karanovo

L'"Antica Europa" è definita come la regione che si estende dall'Italia meridionale all'ovest, al litorale della Turchia a est, Creta e Malta a sud e la Cecoslovacchia, la Polonia meridionale e l'Ucraina occidentale a nord. Questo termine fa riferimento al nome di una civiltà europea autoctona, esistita dal 7000 al 3500 a. C. Il suo apogeo data dal 5000 a. C., ma sin dal VI millennio, questo popolo utilizzava delle navi. Utilizzava il rame e l'oro per degli ornamenti così come degli utensili e sembra anche aver concepito una scrittura rudimentale.

Figurina seduta in argilla (4500-4000 a. C.) da Vinca-Belo brdo, conservata al British Museum

Di fatto, notiamo immediatamente che queste strane statue devono, in effetti, rappresentare le divinità di questa cultura antica, la cui scrittura simbolica non lascia un messaggio storico identificabile per la nostra cultura. Inoltre, notiamo che l'identificazione di queste statuine sarebbe in relazione con la "cultura di Vinca". Infatti, gli scavi effettuati su siti sempre più numerosi rivelano una netta identità culturale, con delle ceramiche ben identificabili, ma anche delle strutture urbane molto riconoscibili e uniche, a forma di trapezio. E i numerosi simboli che accompagnano questi oggetti, ma anche la presenza nelle tombe di corpi dai crani allungati (detti dolicocefali) e di forti mascelle, un po' come quelli ritrovati in Ungheria ad esempio.

 

Ma quel che dà fastidio alla scienza ufficiale, sono gli evidenti legami tra la cultura di Vinca o "Antica Europa" e gli inizi della civiltà sumerica, con Eridu e il periodo Ubaid, la sua misteriosa comparsa con le sue conoscenze così molto sofisticate e le statuine dai volti serpentiformi.

E di recente è in Francia che degli scavi hanno portato alla luce la conferma che questa cultura "Antica Europa" ha raggiunto (commercialmente) ben prima di quanto supposto, dei luoghi remoti dal suo luogo di apparizione.

Molte statue sono state scoperte a Périllos, Pirenei Orientali, nella regione dell'Occitania francese, nel corso degli anni. Gli oggetti sono stati scoperti nel settore della grotta della Caune che è una caverna impressionante e profonda nella valle tra Opoul e Périllos, ai piedi di Montalhou Perillou, la più alta montagna della regione (circa 800 metri). Fortunatamente si è avuta la fortuna di poterne recuperare alcune, tutte di forme, di rappresentazioni e senza dubbio di epoche differenti.

Due sono quasi integre, benché la più impressionante sia stata ritrovata spezzata e di cui, sfortunatamente, mancano due o tre pezzi per completarla.

Quest'ultima, la più alta, misura quasi 20 centimetri e sembra molto somigliante alle statue serpentine scoperte a Eridu in Mesopotamia, datante del periodo di Ubaid (4500-4000 a. C.).

E poi vi è anche questa famosa scrittura, una scoperta accettata in un primo tempo, poi respinta con timore da parte della scienza occidentale perché quando i primi segni grafici sono stati trovati nella regione balcanica, i ricercatori hanno logicamente supposto che essi erano stati portati in origina da coloni provenienti da Babilonia. I sistemi di scrittura sembravano dello stesso tipo e molte lettere identiche. Di fatto, si è scoperto più tardi che la vecchia scrittura europea poteva essere datata a -5500 anni a. C. e cioè 2000 anni più antica dei più antichi segni mesopotamici. Di fatto, la nascita della scrittura tra la Mesopotamia e l'Egitto ha fatto dibattere per lungo tempo, e non è ancora finita, tanto più che una scrittura scoperta nelle zone della civiltà (ancora più antica secondo le datazioni) dell'Indo turba ora lo stato di cose. Ma l'archeologo tedesco Guenther Dreyer ha studiato le prime scritture egiziane e ha provato l'esistenza verso il 3400 a. c. di un completo sistema di scrittura fonetica il che rende la scrittura egiziana più antica della scrittura sumerica, secondo lui.

Le tre tavolette sono anche un po' contestate poiché le tavolette giacevano sul fondo di ciò che sembrava essere un pozzo sacrificale in compagnia di alcune ossa umane. Esse recavano dei simboli pittorici che ricordavano al contempo le scrittura delle tavolette sumeriche e quelle delle vestigia della civiltà minoica di Creta. Il problema consiste nel fatto che se la scrittura a comparsa in Europa durante l'Età della pietra e non a Sumer durante l'età del bronzo, i ricercatori si domandavano come essa avrebbe raggiunto la lontana Sumer 1000 anni prima dell'isola cretese (ma questi interrogativi datano prima delle scoperte che provano la grande mobilità e l'estensione commerciale reale dei cacciatori-raccoglitori poi delle prime civiltà, tra cui quella di Vinca e le scoperte in Francia).

Degli studiosi di preistoria pensano che la datazione al carbonio delle tavolette di Tartaria sia sbagliata. Per altri, non sarebbe impossibile che, essendo state spostate all'interno di tumuli, le tavolette riflettono in realtà un'epoca della cultura vinca ben ulteriore alla scrittura sumera. Detto altrimenti, i ricercatori non sono d'accordo tra di loro, come accade spesso. E tuttavia, è proprio un ricercatore americano, e non un protocronista dell'est, che propone delle interpretazioni a proposito della scrittura della Antica Europa.

Un ricercatore americano sostiene dunque di aver decifrato la più antica scrittura, detta di Vinca, su dei cocci vecchi di 7000 anni e ritrovati presso Belgrado. "La dea orsa e la dea uccello sono proprio la dea orsa". Ecco ciò che dice la frase più antica conosciuta di una lingua umana. Essa è stata grafita su due fusaiole in terracotta (la fusaiola serve da peso al fuso durante la filatura) portate alla luce durante degli scavi a Jela, a ovest di Belgrado, sulla riva sud della Save.

La scrittura di Vinca è stata ritrovata su molti siti di scavi archeologici nei Balcani e in Pannonia (ovest dell'Ungheria e della Croazia). Sono stati recensiti diverse decine di simboli differenti, che compongono la scrittura di una cultura detta "Antica-europea" presente nell'Europa del sud-est durante il neolitico, tra 6000 e 4000 a. C., e che sarebbe stata spazzata via da un'invasione, mentre le più antiche tavolette, recanti dei caratteri cuneiformi riesumate in Siria e considerate sino ad ora come le prime forme di scrittura, datano al 3300 prima della nostra era.

La frase avanzata dal ricercatore americano Toby Griffen: "La dea orsa e la dea uccello sono proprio la dea orsa" significherebbe: "Le due sono una stessa dea". Per mostrare che questa frase, a prima vista incomprensibile, contiene un senso logico, Griffen è ricorso alla mitologia greca. Artemide, dea cacciatrice, risale a più antiche divinità legate all'orsa e all'uccello, la sua essenza di orsa domina quella dell'uccello. Si è dunque all'interno della matrice di ciò che si chiama ora "l'Antica Europa", concetto sviluppato dall'archeologa Marija Gimbutas, considerata come un'autorità nella ricerca sulla cultura neolitica dell'Europa del sud-est. La Baltica [Marija Gimbutas] descriveva quest'ultima come una società matriarcale venerante una dea-madre universale; gli studi del linguista americano confermano questa visione delle cose. E si può concludere, se ciò è vero, che i più antichi documenti linguistici scritti dall'umanità che ci sono pervenuti sono originari dell'Europa del sud-est.

I Balcani erano dunque una culla della civiltà, ben prima della Mesopotamia. Questa conclusione rivoluzionaria, per non dire revisionista, sarà beninteso combattuta dall'archeologia ufficiale. Non è certo che le conclusioni di Griffen siano esatte ma ciò che è sicuro, è che non tenerne conto per paura ideologica è antiscientifica. La sua procedura, come si vede, si iscrive nell'apporto di Dumézil, fondato su una lingua primordiale e le similitudini dei culti degli Indo-Europei.

Le discussioni rimangono vive sull'esistenza e la localizzazione di una culla originaria delle grandi migrazioni e conquiste degli "iperborei". Non si sanno ancora grandi cose sulla cultura della più antica Europa precedente alla stessa epopea indo-europea, ma a poco a poco, si progredisce. Dall'Austria alla Slovacchia sono stati portati alla luce più di 150 templi edificati tra il 4800 e il 4600 prima della nostra era. Ciò ci porta a 7000 anni, ossia 2000 anni prima di Stonehenge e le piramidi d'Egitto. Questi complessi di terra e di legno sono stati progressivamente abbandonati. Il più notevole è nel cuore stesso di Dresda. E' stata riportata alla luce una città nella città, con centinaia di case di forme allungate, apparentemente a vocazione monastica. Questa civiltà senza nome si ricollega curiosamente allo spazio serbo, come la scrittura di Vinca. Essa è scomparsa e, in seguito, si dovrà aspettare sembra 3000 anni per veder apparire delle costruzioni così strutturate durante l'età del bronzo.

Da notare anche che nella stessa regione, in Serbia, esiste il sito di Lepenski Vir, datato al mesolitico (7000 anni a. C.), che possiede alcune particolarità, tra cui quelle famose case (o casolari) il cui suolo è sistematicamente a forma di trapezio matematicamente rigoroso.

 

Il sito di Lepenski Vir con resti di case a forma di trapezio

 

Questa cultura, anch'essa collegata alla Antica Europa, possiede anche l'originalità di aver un dio-pesce, di cui si sono ritrovate diverse rappresentazioni le quali non mancano di ricordare quanto è stato scoperto in Francia a Glozel.

 

Urne, incisioni e tavolette trovate in Francia a Glozel

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NOTE

 

[*] Le tavolette di Tartaria sono tre reperti archeologici rinvenuti a Salistea, in Romania. Esse recano incisi dei simboli che sono stati oggetto di notevoli controversie tra gli archeologi, alcuni dei quali sostengono essere trattarsi della prima forma conosciuta di scrittura al mondo.

 

[Traduzione di Ario Libert]

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27 maggio 2018 7 27 /05 /maggio /2018 14:08

28 LA MACCHINA DEL CIELO

Ma il lettore moderno, che non si aspetta uno stile da ninna-nanna da un testo di meccanica celeste, insiste, insiste sulla sua capacità di comprensione immediata delle «immagini» mitiche, perché egli rispetta come « scientifiche» soltanto le formule di approssimazione lunghe una pagina e cose simili.
Non gli vien fatto di pensare che in passato una conoscenza altrettanto importante potesse venir espressa nella lingua di tutti i giorni. È una possibilità che nemmeno sospetta, anche se le realizzazioni delle civiltà antiche - basti pensare alle piramidi o alla metallurgia - dovrebbero esser motivo probante per concludere che dietro le quinte lavorava gente seria e intelligente, che non poteva servirsi di una terminologia tecnica... [1].

Il passo citato è del compianto Giorgio de Santillana, professore di Storia della Scienza presso il Massachusetts Institute of Technology. Nei capitoli seguenti ci accosteremo alle sue rivoluzionarie ricerche sulla mitologia antica. A ogni modo, in poche parole, la sua teoria è questa: un'infinità di secoli fa, persone serie e intelligenti misero a punto un sistema per velare la terminologia tecnica di un'avanzata scienza astronomica dietro la lingua comune del mito.
Ha ragione de Santillana? E se sì, chi erano quelle persone serie e intelligenti - quegli astronomi, quegli antichi scienziati — che lavorarono dietro le quinte della preistoria?
Iniziamo con qualche rudimento.

La sfrenata danza celeste

La terra compie un giro completo intorno al proprio asse ogni ventiquattro ore e ha una circonferenza all'equatore di 40.076 chilometri. Quindi, di conseguenza, un uomo che stia in piedi immobile sull'equatore in realtà si muove, girando insieme al pianeta a poco più di milleseicento chilometri all'ora [2]. Visto dallo spazio, guardando verso il Polo Nord, il verso della rotazione è antiorario.
Durante la sua rotazione giornaliera intorno al proprio asse, la terra gira anche intorno al sole (sempre in verso antiorario) descrivendo una traiettoria che non è perfettamente circolare, bensì leggermente ellittica. Segue questa orbita a una velocità davvero folle, visto che in un'ora percorre ben 106.500 chilometri, quanti un automobilista medio ne fa in sei anni. Per riportare questi calcoli in scala, ciò significa che precipitiamo attraverso lo spazio a una velocità molto maggiore di qualsiasi pallottola, ben trenta chilometri al secondo. Nel tempo che avete impiegato a leggere questo paragrafo, siamo avanzati di circa ottocentottanta chilometri lungo l'orbita della terra intorno al sole [3].
Poiché ci vuole un anno per compiere un giro completo, l'unica prova che abbiamo di questa portentosa corsa orbitale a cui partecipiamo è il lento passare delle stagioni. E proprio nell'avvicendamento delle stagioni è possibile vedere all'opera un meccanismo mirabile e imparziale, che distribuisce equamente la primavera, l'estate, l'autunno e l'inverno su tutto il globo, sull'emisfero boreale e su quello australe, anno dopo anno, con regolarità assoluta.
L'asse di rotazione della terra è inclinato rispetto al piano della sua orbita (di circa 23,5° rispetto alla verticale). Questa inclinazione, che determina le stagioni, « punta » il Polo Nord e l'intero emisfero boreale lontano dal sole per sei mesi all'anno (mentre nell'emisfero australe è estate), e punta il Polo Sud e l'emisfero australe lontano dal sole per i rimanenti sei mesi (mentre nell'emisfero boreale è estate). Le stagioni sono il risultato della variazione annuale dell'angolazione con cui i raggi del sole colpiscono un qualsiasi punto dato della superficie terrestre e della variazione annuale del numero di ore di luce solare che quel punto riceve in periodi diversi dell'anno.

L'inclinazione della terra si chiama in linguaggio tecnico «obliquità», e il piano della sua orbita, prolungato a formare un grande cerchio nella sfera celeste, è noto con il nome di «eclittica». Gli astronomi parlano anche dell'«equatore celeste», che è un'estensione dell'equatore della terra nella sfera celeste. L'equatore celeste è attualmente inclinato di circa 23,5° rispetto all'eclittica, poiché l'asse della terra è inclinato di 23,5° rispetto alla verticale. Questo angolo, chiamato «obliquità dell'eclittica», non rimane sempre fisso e immutabile. Al contrario, (come abbiamo visto nell'undicesimo capitolo, a proposito della datazione della città andina di Tiahuanaco) è soggetto a costanti, seppur lentissime, oscillazioni. Queste sono comprese entro un raggio leggermente inferiore a 3° e raggiungono rispettivamente la vicinanza massima alla verticale a 22,1° e la distanza massima a 24,5°. Un ciclo completo, da 24,5° a 22,1°, e di nuovo indietro fino a 24,5° si compie in circa 41.000 anni [4].

Quindi, il nostro fragile pianeta s'inclina e ruota mentre si libra lungo la sua traiettoria orbitale. L'orbita si compie in un anno e la rotazione in un giorno, mentre l'inclinazione ha un ciclo di 41.000 anni. Una sfrenata danza celeste sembra impazzare mentre balziamo, ci lanciamo e piombiamo attraverso l'eternità, e ci sentiamo in balìa di spinte contraddittorie che da una parte ci precipitano contro il sole, e dall'altra ci mettono in corsa verso le tenebre dello spazio esterno.

Influenze recondite

Oggi si sa che il dominio gravitazionale del sole, nei cui cerchi interni la terra è tenuta prigioniera, si estende per più di ventiquattro quintilioni di chilometri nello spazio, quasi a metà strada dalla stella più vicina [5]. Perciò la forza di attrazione che esercita sulla terra è immensa. Ma siamo anche sottoposti all'influenza della forza di gravita degli altri pianeti con cui dividiamo il sistema solare. Ciascuno di questi esercita una forza di attrazione che tende a far uscire la terra dalla sua regolare orbita intorno al sole.

 

 

 

Tuttavia, i pianeti hanno dimensioni diverse e ruotano intorno al sole a velocità diverse. Così l'influsso gravitazionale combinato che riescono a esercitare varia nel tempo secondo modalità complesse ma prevedibili, e per reazione a esso l'orbita cambia costantemente forma. Poiché l'orbita è un'ellissi, questi cambiamenti influiscono sul suo grado di elongazione, conosciuta tecnicamente con il nome di «eccentricità». Questa varia tra un valore basso prossimo allo zero (quando l'orbita si avvicina alla forma di un cerchio.perfetto) e un valore alto intorno al 6% quando è al massimo dell'elongazione e della forma ellittica [6].

Ma ci sono anche altre forme di influsso esercitate dai pianeti. Così, sebbene il fenomeno non abbia ancora trovato una spiegazione, si sa che le frequenze radio a onde corte risultano disturbate quando Giove, Saturno e Marte si trovano allineati [7]. E a questo riguardo sono emerse anche prove: "...di una strana e inaspettata correlazione tra le posizioni di Giove, Saturno e Marte nelle loro orbite intorno al sole, e la presenza di forti disturbi elettrici nell'atmosfera superiore della terra. Questo fatto sembrerebbe indicare che i pianeti e il sole fanno parte di un meccanismo di equilibrio cosmico-elettrico che si estende per trillioni di chilometri dal centro del nostro sistema solare. Un siffatto equilibrio elettrico non è spiegato dalle teorie astrofisiche esistenti [8].

Il New York Times, da cui è tratto il succitato brano, non tenta di chiarire ulteriormente la questione. Probabilmente i suoi autori ignorano quanto riecheggino Berosso, lo storico, astronomo e veggente caldeo del terzo secolo a.C., il quale fece un approfondito studio dei segni che a suo avviso predicevano la distruzione finale del mondo. Così concludeva: «Io Berosso, interprete di Bello, affermo che tutto ciò che la terra ha ereditato verrà consegnato alle fiamme quando i cinque pianeti si riuniranno in Cancro, disponendosi in un'unica fila sicché una retta potrebbe trapassare le loro sfere» [9].

Una congiunzione di cinque pianeti che con ogni probabilità potrebbe avere marcati effetti gravitazionali avrà luogo il 5 maggio dell'anno 2000, quando Nettuno, Urano, Venere, Mercurio e
Marte si allineeranno con la terra dalla parte opposta del sole, causando una sorta di tiro alla fune cosmico [10]. È anche il caso di rilevare che gli astrologi moderni che hanno elaborato la data indicata dai maya per la fine del Quinto Sole, calcolano che a quel tempo si verificherà una disposizione dei pianeti assai singolare, addirittura una disposizione talmente singolare che «si può verificare solo una volta ogni 45.200 anni... Da questo assetto straordinario ci possiamo ben aspettare un effetto straordinario» [11].

Nessuna persona assennata accetterebbe a occhi chiusi un'affermazione come questa. Tuttavia, non si può negare che apparentemente all'interno del nostro sistema solare agiscono vari influssi, molti dei quali non comprendiamo appieno. Tra questi influssi, è particolarmente forte quello del nostro stesso satellite, la luna. I terremoti, per esempio, si verificano con maggiore frequenza quando la luna è piena oppure quando la terra si trova tra il sole e la luna; quando la luna è nuova o si trova tra il sole e la terra; quando la luna attraversa il meridiano della località colpita; e quando la luna tocca il punto di massima vicinanza con la terra della sua orbita.12 Invero, quando la luna raggiunge quest'ultimo punto (tecnicamente denominato «perigeo»), la sua forza di attrazione gravitazionale aumenta di circa il sei per cento. Questo accade ogni ventisette giorni e un terzo. L'attrazione di marea che esercita in queste situazioni non solo influisce sui grandi movimenti dei nostri oceani ma anche sui bacini di magma bollente chiusi all'interno della sottile crosta terrestre (che è stata paragonata a «un sacchetto di carta pieno di miele o di melassa che si muova girando su se stesso a una velocità di oltre milleseicento chilometri orari nella rotazione equatoriale, e più di centomila chilometri orari nell'orbita» [13]).

L'oscillazione di un pianeta deforme

Tutto questo moto circolare, ovviamente, genera delle immense forze centrifughe e queste, come dimostrò Newton nel diciassettesimo secolo, fanno sì che il «sacchetto di carta» della terra si gonfi all'altezza dell'equatore, con il risultato di provocare un appiattimento in corrispondenza dei poli. Di conseguenza, il nostro pianeta si discosta leggermente dalla forma di una sfera perfetta ed è definito con maggiore precisione come un «elissoide schiacciato». Il suo raggio equatoriale (6378,4 chilometri) è più lungo del suo raggio polare di ventuno chilometri e mezzo (6356,9 chilometri) [14].

Per trilioni di anni i poli appiattiti e l'equatore rigonfio si sono cimentati in un'interazione matematica velata con l'influsso recondito della forza di gravita. «Poiché la terra è appiattita», spiega un'autorità, «la forza di gravita della luna tende a inclinare l'asse terrestre in modo che diventi perpendicolare all'orbita lunare, e in misura minore lo stesso vale per il sole» [15].

Contemporaneamente il rigonfiamento equatoriale - la massa in eccesso distribuita intorno all'equatore - agisce come il bordo di un giroscopio per tenere la terra ferma sul suo asse [16]. Anno dopo anno, su scala planetaria, questo effetto giroscopico impedisce alla forza di attrazione del sole e della luna di alterare radicalmente l'asse di rotazione della terra. La forza di attrazione che questi due corpi esercitano unitamente è, comunque, abbastanza forte da costringere l'asse a «precessare», cioè a oscillare lentamente in senso orario, contrario a quello della rivoluzione della terra.

Questo importante moto è il marchio di riconoscimento del nostro pianeta all'interno del sistema solare. Chiunque abbia fatto girare una volta una trottola dovrebbe essere in grado di capirlo senza tante difficoltà; in fondo, una trottola non è altro che un tipo di giroscopio. Quando gira a velocità piena e continua sta in piedi. Ma appena il suo asse viene deviato dalla verticale, comincia a manifestare un secondo comportamento: una lenta e ostinata oscillazione contraria che descrive un grande cerchio. Questa oscillazione, che è la precessione, cambia la direzione verso cui punta l'asse mentre mantiene costante il suo angolo di inclinazione appena raggiunto.

Un'altra analogia, per certi versi differente per approccio, forse potrà contribuire a chiarire un po' di più le cose:

1 Immaginate la terra librata nello spazio, inclinata approssimativamente di 23,5° rispetto alla verticale mentre compie una rotazione intorno al proprio asse ogni ventiquattro ore.
2 Immaginate quest'asse come un perno fortissimo che passi per il centro della terra ed esca dal Polo Nord e dal Polo Sud prolungandosi in entrambe le direzioni.
3 Immaginate di essere un gigante, che attraversi a grandi passi il sistema solare, con l'ordine di eseguire un compito speciale.
4 Immaginate di avvicinarvi alla terra inclinata (la quale, a causa delle vostre dimensioni, ora non vi appare più grande di una ruota di mulino).
5 Immaginate di tendere le mani e di afferrare le due estremità del prolungamento dell'asse.
6 E immaginate di cominciare a farle girare in direzioni opposte, spingendo una estremità e tirando l'altra.
7 Quando siete arrivati la terra già girava.
8 I vostri ordini, perciò, non sono di agire sulla sua rotazione assiale, ma piuttosto di impartirle l'altro suo movimento: quel la lenta oscillazione in senso orario detta precessione.
9 Per eseguire questa commissione dovrete spingere la punta settentrionale del prolungamento dell'asse verso l'alto e descrivere un grande cerchio nell'emisfero celeste settentrionale mentre contemporaneamente tirate la punta meridionale descrivendo un cerchio della stessa ampiezza nell'emisfero celeste meridionale. Per farlo dovrete compiere con le mani e le spalle un lento movimento rotatorio, come se agiste su due pedali.
10 State attenti, però. La «ruota di mulino» della terra è più pesante di quanto non sembri, tanto più pesante, infatti, che vi ci vorranno 25.776 anni [17] per far compiere alle due punte del suo asse un ciclo di precessione completo (alla fine del quale saranno rivolte verso gli stessi punti della sfera celeste di quando siete arrivati).
11 Oh, e a proposito, giacché avete cominciato possiamo anche dirvi che non potrete mai più andarvene. Appena un ciclo di precessione si conclude, deve iniziarne un altro. E poi un altro... e un altro... e un altro... e così via, all'infinito, per sempre.
12 Se volete, potete considerarlo uno dei meccanismi basilari del sistema solare o, se preferite, uno dei comandamenti fonda mentali della volontà divina.

A poco a poco, in questo processo, mentre fate scorrere pian piano il prolungamento dell'asse per i cieli, le sue due estremità punteranno ora in direzione di una stella ora di un'altra alle latitudini polari dell'emisfero celeste australe (e a volte, naturalmente, in direzione del vuoto), e ora in direzione di una stella ora di un'altra nelle latitudini polari dell'emisfero celeste australe. Stiamo parlando, qui, di una sorta di gioco della bottiglia tra le stelle circumpolari. E a tenere tutto in movimento è la precessione assiale della terra, un movimento impresso da immense forze gravitazionali e giroscopiche, regolare, prevedibile e relativamente facile da calcolare con l'ausilio di attrezzature moderne. Così, per esempio, la stella del polo nord attualmente è alfa Ursae Minoris (che noi conosciamo come la Stella Polare). Ma i calcoli con il computer ci permettono di affermare con certezza che nel 3000 a.C. la posizione polare era occupata da alfa Draconis; all'epoca degli antichi greci la stella del Polo Nord era beta Ursae Minoris, e nel 14.000 d.C. sarà Vega [18].

Un grande segreto del passato

Non ci farà male ripassare alcuni dati fondamentali riguardanti i movimenti della terra e il suo orientamento nello spazio:

• La sua inclinazione è di circa 23,5° rispetto alla verticale, un angolo che può variare fino a uri grado e mezzo su entrambi i lati nell'arco di periodi di quarantunomila anni.
• Compie un ciclo di precessione completo ogni 25.776 anni [19].
• Compie una rotazione intorno al proprio asse ogni ventiquattro ore.
• Compie un'orbita intorno al sole ogni trecentosessantacinque giorni (per la precisione 365,2422).
• "L'influsso più importante sulle sue stagioni è costituito dal l'angolazione con cui i raggi del sole la colpiscono in vari punti del suo percorso orbitale.

E anche il caso di osservare che durante l'anno ci sono quattro momenti astronomici cruciali, che segnano l'inizio ufficiale di ciascuna delle quattro stagioni. Questi momenti (o punti cardinali), che avevano un'importanza enorme per gli antichi, sono i solstizi d'inverno e d'estate, e gli equinozi di primavera e d'autunno. Nell'emisfero boreale il solstizio d'inverno, il giorno più breve, cade il 21 dicembre, e il solstizio d'estate, il giorno più lungo, il 21 giugno. Nell'emisfero australe, invece, tutto è letteralmente rovesciato: l'inverno inizia il 21 giugno e l'estate il 21 dicembre.

Per contro, gli equinozi sono i due momenti dell'anno in cui la notte e il giorno hanno uguale durata su tutto il pianeta. Tuttavia, anche qui, come nel caso dei solstizi, la data che segna l'inizio della primavera nell'emisfero boreale (il 20 marzo) segna quello dell'autunno nell'emisfero australe, e la data dell'inizio dell'autunno nell'emisfero boreale (22 settembre) segna l'inizio della primavera in quello australe.

Come le più sottili variazioni delle stagioni, tutto questo è causato dalla benefica obliquità del pianeta! Il solstizio d'estate dell'emisfero boreale cade nel punto dell'orbita in cui il Polo Nord è orientato al massimo verso il sole; sei mesi dopo il solstizio d'inverno segna il punto in cui il Polo Nord è orientato al massimo in direzione opposta al sole. E, com'è logico, il motivo per cui il giorno e la notte hanno esattamente la stessa durata in tutto il pianeta in corrispondenza degli equinozi di primavera e d'autunno è che questi segnano i due "punti in cui l'asse di rotazione della terra si trova di lato rispetto al sole.

E ora diamo un'occhiata a uno strano e bellissimo fenomeno di meccanica celeste.

Questo fenomeno è noto con il nome di «precessione degli equinozi». Ha delle caratteristiche matematiche severe e ripetitive che possono essere analizzate e previste con precisione. Tuttavia, è estremamente difficile da osservare, e ancora più difficile da misurare esattamente senza una strumentazione sofisticata.

Forse cela una traccia che porta a uno dei grandi misteri del passato.

 

NOTE

1. G. de Santillana e H. von Dechend, II Mulino di Amleto, Adelphi, Milano 1983/1990, p. 88.
2. Dati tratti dall'Encyclopaedia Britannica, 1991, 27:530.
3. Ibid.
4. J. D. Hays, John Imbrie, N. J. Shackleton, «Variations in the Earth's Orbit, Pacemaker of the Ice Ages», Science, volume 194, N. 4270,10 dicembre 1976, p. 1125.
5. The Biblical Flood and the Ice Epoch, dt, pp. 288-289. Ventiquattro quintilioni di chilometri equivalgono a ventiquattro miliardi di miliardi di chilometri.
6. Ice Ages, cit, pp. 80-81.
7. Earth in Upheaval, cit., p. 266.
8. New York Times, 15 aprile 1951.
9. Berosso, Frammenti. 10. Skyglobe 3.6.
11. Roberta S. Sklower, «Predicting Planetary Positions», appendice a Frank Waters, Mexico Mystique, Sage Books, Chicago, 1975, pp. 28 e segg.
12. Earth in Upheaval, cit., p. 138.
13. Biblical Flood and the Ice Epoch, cit., p. 49.
14. Numeri tratti dall'Encyclopaedia Britannica, 1991, 27:530.
15. Ibid.
16. Path of the Fole, cit., p. 3
17. Jahe B. Sellers, The Death of Gods in Ancient Egypt, Penguin, London, 1992, p. 205.
18. Skyglobe 3.6.
19. Numero esatto tratto da The Deat of Gods in Ancient Egypt, cit., p. 2O5.

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1 marzo 2018 4 01 /03 /marzo /2018 07:00

Il cambiamento climatico avrebbe portato al collasso della civiltà di Harappa

 

Un nuovo studio combinante gli ultimi elementi archeologici e le conoscenze geoscientifiche hanno dimostrato che il cambiamento climatico è stato un fattore chiave nel collasso della grande civiltà della valle dell'Indo o civiltà harappeana, circa 4.000 anni fa.

Gli Harappeani si sono affidati alle inondazioni del fiume per alimentare le loro eccedenze agricole. Oggi, numerose vestigia delle colonie harappeane sono situate in una vasta regione desertica, distanti da ogni fiume.

Questo studio risolve anche un dibattito di lunga data sulla fonte e la sorte del fiume Saravasti, fiume sacro della mitologia indiana.

Estendendosi per più di 1 milione di chilometri quadrati attraverso le pianure dell'Indo, dal mare Arabico sino all'Himalaya e il Gange (su ciò che è ora il Pakistan, l'India e a nord-ovest è dell'Afghanistan), la civiltà fu la più importante, ma la meno nota, delle prime grandi civiltà urbane come quelle dell'Egitto e della Mesopotamia.

Come loro contemporanei, gli Harappeani vivevano presso dei fiumi che fertilizzavano le terre ogni anno. "Abbiamo ricostruito il paesaggio dinamico della pianura in cui la civiltà dell'Indo si è sviluppata, 5.200 anni fa, ha costruito le sue città, poi si è lentamente disintegrata tra il 3.000 e 3.900 anni fa", ha dichiarato Liviu Giosan, un geologo della Woods Hole Oceanographic Institution (WHOI) e principale autore dello studio. "Sino ad ora, le speculazioni hanno abbondato sui legami tra questa antica cultura e i suoi misteriosi fiumi potenti e vivificanti".

Oggi, numerose vestigia delle colonie harappeane sono situate in una vasta regione desertica, distanti da ogni fiume

Questa cultura straordinariamente complessa dell'Asia meridionale ha avuto una popolazione che al suo apogeo ha potuto raggiungere il 10% degli abitanti del pianeta.

Un'ondata di ricerche archeologiche in Pakistan e in India ha permesso di scoprire una cultura urbana sofisticata con una miriade di strade commerciali interne e dei legami marittimi ben consolidati con la Mesopotamia. Vi si trovano anche delle norme per la costruzione degli edifici, dei sistemi di igiene, arti e artigianato et un sistema di scrittura in corso di decifrazione.

"Abbiamo valutato che era tempo per un gruppo di ricercatori scientifici interdisciplinari di contribuire al dibattito  sulla sorte enigmatica di questi abitanti", ha detto Giosan.

La ricerca è stata condotta tra 2003 e 2008 in Pakistan, dalla costa del mar arabico sino alle fertili valli irrigue del Punjab e del nord del deserto di Thar.

Il gruppo internazionale comprende dei ricercatori degli Stati uniti, del Regno Unito, del Pakistan, dell'India e della Romania con degli specialisti in geologia, geomorfologia, archeologia e matematica.

Combinando delle fotografie satellitari e dei dati topografici raccolti dallo Shuttle Radar Topography Mission (SRTM), i ricercatori hanno creato e analizzato delle carte digitalizzate dei rilievi costruiti dall'Indo e dai fiumi vicini. Dei sondaggi sono stati in seguito effettuati attraverso perforazione, carotaggio e anche manualmente scavando delle trincee.

Dei campioni raccolti sono stati utilizzati per determinare l'origine dei sedimenti (sono stati portati e modellati dai fiumi o dai venti?) e la loro età allo scopo di sviluppare una cronologia dei mutamenti nel paesaggio.

"Una volta che abbiamo ottenuto delle nuove informazioni sulla storia geologica, abbiamo potuto riesaminare ciò che sappiamo sulle zone di popolamento: ciò che era coltivato dagli abitanti e in quale momento, e come l'agricoltura e i modi di vivere si sono evoluti", ha dichiarato Dorian Fuller, archeologa della University College London e co-autrice dello studio, "Ciò ha dato delle nuove prospettive nei processi di spostamento della popolazione verso l'est, la riduzione delle dimensioni delle comunità agricole e il declino delle città durante i periodi harappeani tardivi".

Il nuovo studio suggerisce che la diminuzione delle piogge monsoniche ha portato a un indebolimento della dinamica fluviale e ha svolto un ruolo essenziale sia nello sviluppo sia nel collasso della cultura harappeana.

Infatti, la civiltà dell'Indo si basava sulle inondazioni del fiume per produrre le sue eccedenze agricole. Questo nuovo studio ha fornito un quadro convincente di 10.000 anni di cambiamenti nei paesaggi.

Prima che la pianura venisse massicciamente occupata, il selvaggio e potente fiume Indo e i suoi affluenti, scorrevano dalle valle dell'Himalaya nei loro letti e lasciavano delle fasce di terre interfluviali tra di loro.

Nell'est, le piogge monsoniche hanno sostenuto la perennizzazione dei fiumi solcando il deserto e lasciando dietro di loro dei depositi sedimentari attraverso una vasta regione.

Tra le caratteristiche più notevoli i ricercatori hanno identificato una pianura a forma di monticello dai 10 ai 20 metri di altezza, di più di 100 chilometri di larghezza e lungo circa 1000 chilometri lungo l'Indo, che essi chiamano la "mega-cresta Indo". Essa è stata costruita dal fiume che depositava dei sedimenti lungo il suo corso inferiore.

"Su questa scala, nulla di simile è mai stato descritto nella letteratura geomorfologica", ha dichiarato Giosan, "la mega-cresta è un indicatore sorprendente della stabilità del paesaggio della pianura dell'Indo dei quattro ultimi millenni. Dei resti di colonie harappeane giacciono ancora sulla superficie della cresta, invece di essere sepolte nel suolo".

Cartografate al di sopra della vasta pianura indo-gangetica, i dati archeologici e geologici mostrano che le colonie sono fiorite lungo l'Indo della costa verso le colline che puntano sull'Himalaya.

Un'altra grande scoperta: i ricercatori pensano di aver risolto una lunga controversia riguardante la sorte del fiume Sarasvati.

I Veda, le antiche scritture indiane composte in sanscrito più di 3.000 anni fa, descrivono la regione ovest del Gange come "la terra dei sette fiumi". L'Indo e i suoi affluenti attuale sono facilmente riconoscibili, ma la Sarasvati, descritta come "superante in maestà tutte le altre acque" e "nel suo corso dalla montagna all'oceano" è stato perduto.

Basata sulle descrizioni bibliche, si è creduto che la Sarasvati era alimentata dai ghiacciai dell'Himalaya. Oggi, la Ghaggar, un fiume intermittente che si gonfia di acque soltanto durante i forti monsoni e che si dissipa nel deserto durante il percorso arido della valle Hakra, potrebbe essere il miglior sostituto della mitica Sarasvati. Ma la sua origine himalayana, se è stata attiva ai tempi vedici, resta controversa.

Delle prove archeologiche sostengono che vi è stato un popolamento intensivo durante i periodi harappeani lungo il Ghaggar-Hakra. I nuovi elementi geologici (i sedimenti, la topografia) mostrano che i fiumi erano infatti importanti e molto attivi in questa regione, ma più probabilmente a motivo dei forti monsoni.

Tuttavia, non esiste nessun indizio di ampie vallate incassate come lungo l'Indo e i suo affluenti e i ricercatori non hanno trovato connessioni con uno dei due fiumi vicini, Sutlej e Yamuna, provenienti dall'Himalaya.

Il nuovo studio fa valere che queste differenze cruciali provano che la Saravasti (Ghaggar-Hakra) non era alimentato dall'Himalaya, ma un corso d'acqua alimentato in permanenza dai monsoni, e che l'aridità l'ha ridotto a bervi flussi stagionali.

E così, 3900 anni fa, con il prosciugamento dei fiumi, gli Harappeani avevano uno sbocco a est del bacino del Gange, dove le piogge dovute ai monsoni rimasero sostenute. "Possiamo immaginare che questa evoluzione ha comportato un cambiamento verso forme di economia più localizzate: piccole comunità locali basate su un'agricoltura pluviale e la diminuzione dei corsi d'acqua", sostiene Fuller, "ciò può aver prodotto una diminuzione delle eccedenze, insufficienti per le grandi città".

Un tale sistema non era favorevole alla civiltà delll'Indo, che si era formata sulle eccedenze di raccolti eccezionali lungo l'Indo e i fiumi Ghaggar-Hakra.

"Così le città sono crollate, ma le piccole comunità agricole hanno potuto prosperare. La maggior parte delle arti urbane, come la scrittura, sono sparite, ma l'agricoltura ha continuato e si è diversificata", aggiunge ancora Fuller.

Secondo Giosa: "Una quantità incredibile di lavoro archeologico è stato accumulato nel corso degli ultimi decenni, ma ciò non era mai stato legato correttamente all'evoluzione del paesaggio fluviale. Vediamo ora che la dinamica dei paesaggi aveva un legame cruciale tra il cambiamento climatico e le popolazioni".

[Traduzione di Ario Libert]

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21 febbraio 2018 3 21 /02 /febbraio /2018 07:00

Nair: la casta guerriera del dio-serpente fertile, compagno della dea-madre

Una elite economica e intellettuale

"Di continuo, il re piangeva di non avere figli. Propose anche a Kunti di fare l'amore con un altro, cosa questa che si praticava nei tempi antichi, quando le donne non erano legate a un solo e stesso uomo"- Mahabharata.

I Nair, o Nayar, sono un gruppo di caste indiane includenti numerose suddivisioni claniche. Esse vivono sulla costa nello Stato di Kerala (sud-ovest dell'India). Le loro usanze differiscono molto dall'India del nord. Durante l'amministrazione britannica, i Nāyār, che comprendevano le famiglie nobili e reali di piccoli regni feudali della regione, occuparono dei posti importanti in diversi ambiti professionali: funzione pubblica, medicina, insegnamento e diritto. Molti furono influenti all'interno del partito del Congresso, che ottenne l'indipendenza dell'India nel 1947. Nel 1968, il centro di sorveglianza socio-economica del governo del Kerala registra che la comunità Nair rappresentava approssimativamente il 14,5% (2,9 milioni) della popolazione dello Stato.

Clan e antenati matrilineari

Sino agli anni 60, i Nair vivevano in famiglie allargate matrilineari chiamate tharavad, in cui tutta la famiglia di una stessa antenata femmina viveva sotto lo stesso tetto. Soltanto le donne vivevano nella casa comune. Gli uomini vivevano in case separate. Queste unità famigliari con le loro usanze matrimoniali insolite, che non sono più di attualità oggi, sono state lungamente studiate. Queste usanze variano da una regione all'altra. Alcune regioni praticavano la poligamia e la poliginia, e in altre, sulla costa di Mahalabar, le donne praticavano l'ipergamia (matrimonio con una casta superiore) con i bramani, la casta dei sacerdoti.

I guerrieri vinti del dio-serpente

Storicamente, i Naga erano un'antica razza indiana,  di cui si sa molto poco a parte quanto ci è stato trasmesso attraverso il culto dei serpenti. I Naga sono stati menzionati in quanto tribù non ariana, adoratori di serpenti dell'India antica. Un'iscrizione su una placca di bronzo del periodo Gupta (VI secolo d. C.) riferisce che i Naga sono stati innalzati al rango della casta degli Kshatriya. I Naga sarebbero stati vinti dai Gupta, le loro donne sarebbero in seguito state sposate dai vincitori. Un esempio è quello del re Chandragupta II che sposò la regina Kuber Naga.

La casta delle guardie degli invasori ariani

Una teoria è stata proposto per spiegare l'origine del sistema delle caste nel Kerala. Gli Ariani Giainisti avrebbero introdotto queste distinzioni verso l'VIII secolo della nostra era. I Giainisti avrebbero avuto bisogno di guardie quando essi giunsero nella regione, e hanno reclutato tra le popolazioni locali. Queste popolazioni guardiane sarebbero state allora ricompensate distinguendole dagli altri autoctoni, che furono esclusi dal sistema delle caste. Cyrica Pullapilly afferma "che essi hanno assolto alla funzione di casta guerriera (kshatriya), ma sono stati mantenuti nello status di casta dei serventi (shudra). Ecco l'origine dei Nair". Essi sono generalmente considerati come una varietà dravidica degli Kshatriya ariani (casta dei guerrieri). I Nair sono stati così descritti da James Hastings: "Questa razza-casta di comunità era in origine delle tribù, ma entrando nel girone dell'induismo, essi imitavano l'organizzazione sociale indù, e si sono così progressivamente induriti verso questo sistema di caste".

I bramani impongono il patriarcato attraverso la guerra e la corruzione

I Bramani Nambudiri, sono dei bramani indù dello Stato indiano del Kerala. I Nambudiri sono associati da alcuni con lo sviluppo del sistema delle caste nel Kerala. Vi era un afflusso importante di queste genti da ovunque durante l'VIII secolo, quando hanno agito in quanto sacerdoti, consiglieri e ministri dei re locali e invasori dei principi ariani. I bramani hanno utilizzato le loro relazioni sacerdotali e di consiglieri, con le forze d'invasione ariane, per far valere le loro credenze e la loro posizione sociale. La quasi totalità di coloro che hanno accettato il loro status sacerdotale, i bramani li hanno elevati allo status di Shudra (servitore). Hanno permesso soltanto a un piccolo numero di loro di essere riconosciuti come Kshatriya (casta dei guerrieri), che erano alcuni dirigenti locali che avevano collaborato con loro (i Nair ad esempio). La loro influenza era importante in tutti i campi: la religione, la politica, la società, l'economia e la cultura.

I Nair durante l'impero delle Indie britanniche

Il termine "Nair" stesso in Malayalam è un sinonimo di guerriero: I Nair sono stati coinvolti in numerosi conflitti militari della regione, con e contro i portoghesi sin dal XVI secolo, o contro gli olandesi durante il XVIII. In conseguenza delle ostilità tra i Nair e i Britannici nel 1809, quest'ultimi hanno limitati gli effettivi Nair nell'esercito britannico indiano. Dopo l'indipendenza dell'India, la brigata Nair delle forze militari di Travancore, è stato integrato nell'esercito indiano e divenne una componente del 9° Battaglione del Reggimento di Madras, il più antico dell'esercito indiano.

Kalarippayatt, l'arte marziale dei Nair

Il Kalaripa, è un'arte marziale originaria del Kerala nell'India del Sud. Kalaripayatt significa, in malayalam, "il luogo degli esercizi". Le forme ancestrali del Kalarippayatt si codificano durante il XII secolo. Fondamentalmente legato con la storia del Sud dell'India, la disciplina conosce un'età dell'oro tra il XV e il XVII secolo. Durante questo periodo, il kalaripayatt è un pilastro istituzionale della società keralesew. I guerrieri Nayar o  "Nair" sono i garanti dell'ordine sociale. La costa del Mahalabar è allora il luogo di numerosi scambi commerciali con l'estremo oriente e l'occidente. E' citato negli scritti di viaggiatori portoghesi che le coste del Mahalabar sono allora le più sicure del mondo. L'ordine regna nella vita quotidiana e i conflitti tra reami vicini si regolano con combattimenti individuali e mortali tra i migliori guerrieri. Alla fine del XVII secolo la corona inglese prende il potere nella regione. Essa proibisce la pratica del kalaripayatt, requisisce e distrugge le armi. I Padroni sono posti sotto alta sorveglianza. Alcuni tuttavia continueranno a insegnare clandestinamente; il che permette al kalaripayatt di sopravvivere sino al 1947, data dell'indipendenza riconquistata.

Gli Ezhava, dei maestri in arti marziali

Gli Ezhava sono una comunità con delle origini nella regione dell'India attualmente conosciuta come il Kerala. I Chekavar, una sezione di guerrieri all'interno della comunità, hanno fatto parte delle milizie dei capi e re locali. Vi erano anche degli esperti di fama nel Kalaripayattu, l'arte marziale del Kerala. Le organizzazioni famigliari del nord di Malabar erano matrilineari, con delle organizzazioni di proprietà patrilocali, mentre nel nord di Travancore, essi erano matrilineari, ma generalmente matrilocali nelle loro modalità di proprietà. Il sud Malabar ha conosciuto un sistema patrilineare, ma con comunità di beni divisibili. Queste disposizioni sono state riformate dalla legge, per Malabar nel 1925, e per Travancore nel 1933. Il processo di riforma è stato più facile da realizzare per gli Ezhava che per i Nair.

Una società tradizionale egualitaria tra i sessi

Un sistema famigliare Malabar è basato sul tharavad (clan). Tutta la società è basata su un sistema matrilineare. I membri di una tharavad comprende la madre, le figlie, fratelli e sorelle, unicamente di sangue materno. Padri e mariti svolgono un ruolo minore negli affari del tharavad, che riguarda soprattutto la famiglia matrilineare. Poiché il lignaggio passa attraverso le donne, la nascita di una figlia è sempre la benvenuta. "Nella società Malabar, vi era una preponderanza per le feste delle donne. Il Tarwad ha sempre accordato una più grande attenzione alle donne...". Ancora oggi, le donne del Kerala occupano delle posizioni molto importanti in tutti i campi della vita. Di fatto, le donne di Malabar godono di diritti e privilegi eguali a quelli degli uomini. Il Tharavadu di diritti e privilegi uguali a quelli degli uomini. Il tharavadu era un'entità legale riconosciuta dalla legislazione della Famiglia Induista Indivisibile, e dalle Leggi Indiane delle Tasse sui Redditri.

La denominazione dei clan materni

Ogni Tharavad Nair possiede un nome unico. Le famiglie sono divise quando sono troppo grandi. La proprietà della famiglia è ripartita secondo i lignaggi femminili. Quando le famiglie allargate crescono e stabiliscono dei rami indipendenti, i Shakhas (rami) modificano il loro nome in modo che la loro Tharavad-madre resta identificabile. Così, il ramo (Shakha) possiede anch'esso un nome distinto e unico. Un altro termine per designare un ramo è Thavazhi: Thay Vazhi significa letteralmente "Per la Madre". Per le comunità matrilineari come i Nair, il nome del Tharavad è trasmesso dalla madre, a differenza delle comunità Bramane, i Namboothiris del Kerala ad esempio, in cui il nome del Tharavad è trasmesso dal padre.

L'eredità matrilineare temuto dal potere britannico

Il Marumakkathayam era un sistema di eredità matrilineare diffuso nello Stato del Kerala in India: l'ascendenza e la successione alla proprietà erano assicurate dalle donne. Il Marumakkathayam è stato anch'esso una fonte d'angoscia per gli amministratori coloniali britannici.  Marumakkathayam significa letteralmente "eredità per i figli delle sorelle, piuttosto che per i figli dei padri". La parola Marumakkal in malayalam significa nipoti maschi e femmine. Questo diritto consuetudinario dell'eredità è stato codificato dalla legge Marumakkathayam di Madras del 1932, pubblicata sulla Gazetta di Fort Samint-Georges il 1° agosto 1933.

La famiglia allargata in questo sistema matrilineare è conosciuto con il nome di Thavarad, e ha formato il nucleo della società a Malabar. "Tarawad" significa allora un gruppo di persone che formano una famiglia allargata, con comunione di beni, e retto dalla legge sull'eredità Marumakkathayam. Questo sistema di eredità è oramai abolito dalla legge sul "Sistema della Famiglia Allargata", nel 1975, dalla legislazione dello Stato del Kerala.

Le fattorie giganti dei clan Nair

Un Nalukettu è la fattoria tradizionale di un Tharavadu (clan Nair) in cui alcune generazioni di una famiglia matrilineare vivevano. Questo genere di costruzioni si trovano generalmente nello Stato indiano del Kerala. La fattoria di un Tharavadu aveva un'architettura unica di stile Kerala, con una o alcune corti interne chiuse, circondate da alcune grandi costruzioni comprendenti dei pozzi.

Questa architettura tradizionale consiste generalmente in una struttura rettangolare in cui quattro sale sono riunite con una corte centrale a cielo aperto. Le quattro sale sui lati sono chiamati Vadakkini (blocco nord). Padinjattini (blocco ovest), Kizhakkini (blocco est) e Thekkini (blocco sud).

L'architettura è stata specialmente concepita per delle grandi famiglie del Tharavadu tradizionale, allo scopo di vivere insieme sotto uno stesso tetto, e di profittare delle installazioni comuni della fattoria matrilineare. I tharavad contano dai 50 agli 80 membri, altre arrivavano sino a comprenderne più di 200. Ogni fattoria-clanica dispone di templi, di scuole, costruite in mezzo a vaste terre, per prevenire gli attacchi nemici.

La scienza architettonica della casa-clan matrilineare

Thatchu Shasthra, era la scienza della falegnameria tradizionale, e Vasthu era la scienza dell'architettura tradizionale. Questo ramo della conoscenza è stato sviluppato nell'architettura tradizionale del Kerala, e ha creato il suo ramo della letteratura conosciuto con i nomi di Tantrasamuchaya, Vastuvidya, Manushyalaya-Chandrika, e Silparatna.

La disposizione di queste case era semplice, e rispondeva ai bisogni del gran numero di persone che abitavano in un clan tharavadu. Una casa con una corte p un Naalukettu, una con due è un Ettukettu, e una con quattro corti è un Pathinarukettu. Ettukettu (otto stanze con due corti centrali o Pathinarukettu (sedici stanze con quattro corti interne) sono le forme più elaborate di questa architettura. Tutte le strutture sono di fronte alla luce del sole, e in alcuni naalukettu ben concepiti, vi è un'eccellente ventilazione. Le temperature, anche durante la calura estiva, sono nettamente più dolci nel naalukettu.

I capi feudatari Nair

Samantan Nair o più comunemente Samantan (Sama + anta significa uguale distanza), era un termine generico per designare un certo numero di sotto clan, tra l'elite dirigente e i proprietari terrieri feudali del Kerala, e appartenenti alla comunità Nair. I Kshatriya Samanta costituiscono una parte delle famiglie reali di un tempo, dei regni indù e Stati principeschi, che esisteva nel Kerala sino alla creazione della Repubblica indiana. Poiché la maggior parte dei membri della comunità Samanta Kshatriya erano nobili, le loro residenze sono sempre chiamate Swaroopams o kottaram o kovilakam, che vuol dire palazzo in malayalam. I Samanta Kshatriya seguivano anche il sistema matrilineare di eredità. Robin Jeffrey, un antropologo, ha descritto il Samanta come "una classificazione delle caste matrilineari tra Nayar e Kshatriya , e ne ha trovato in numero limitato nel nord di Travancore, erano più numerosi a Cochin, e il Malabar britannico".

I palazzi dei principio matrilineari

Kovilakam, è un termine che designa il principale maniero / immobile / palazzo dei lignaggi principeschi del Kerala, in India. Si tratta della residenza, in cui tutti coloro che non sono riusciti a ottenere il titolo di Raja (re), restano sotto la direzione del residente primogenito, maschio o femmina, di questo ramo particolare della famiglia. Un lignaggio principesco del Kerala è costituito da diversi Kovilakam, che rappresentano diversi rami matrilineari della stessa famiglia, i cui membri potrebbero accedere al trono di Raja, in funzione della loro anzianità nel lignaggio. Le residenza Kovilakam sono generalmente dei grandi e bei manieri e palazzi, con importanti opere in legno, e affreschi nello stile dell'architettura medievale tradizionale del Kerala. Un Kovilakam era in genere dotato di campi e proprietà (terre della Corona), sufficienti per il mantenimento dei suoi membri costituenti.

Lo zio materno attende l'avallo delle matriarche

Il clan è gestito da un "Karanavan", che è in genere lo zio materno più anziano. Egli prende la maggior parte delle decisioni, tuttavia, con l'avallo delle donne più anziane del clan. Quest'ultime sono le nonne materne, le madri, le zie materne, le sorelle e cugine uterine. Ma in assenza di un uomo capace di prendere questo posto, una donna può essere karnavan, le sue funzioni comprendono la gestione economica e le funzioni onorifiche. Panikkar, uno scrittore ben noto della comunità Nair, ha scritto nel 1918 che "L'autorità nella famiglia è esercitata dal membro più anziano, chiamato Karnavan. Ha il pieno controllo della proprietà comune e gestisce i fondi come meglio gli pareva. Organizza i matrimoni per i ragazzi e le ragazze della famiglia. Aveva sino a tempi recenti pieni poteri (almeno in pratica) per alienare tutto ciò che apparteneva loro. La sua volontà era legge incontrastata. Solitamente, nelle famiglie matrilineari, si parla di Matri-Potestas. Ma è bene ricordare che tra i Nayar, l'autocrate della famiglia non è la madre, ma il fratello della madre".

 

[Traduzione di Ario Libert]

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10 settembre 2017 7 10 /09 /settembre /2017 07:00

Gilania Moso: senza padre né marito, ma non senza zii, il paradiso della dea madre Gemu

I Moso formano un sottogruppo dei Naxi. E' un piccolo popolo dai 30.000 ai 60.000 abitanti (lo Stato androcratico cinese non riconosce i bambini concepiti fuori dal matrimonio, dunque senza padre legale) del sud-ovest della Cina, a 200 km dalla città Naxi di Lijiang. Il loro lago Madre, Shinami in lingua Moso, o lago Lugu ("caduto in acqua" in cinese), si trova a cavallo sullo Yunnan (che costeggia il Tibet, la Birmania, e il Laos) e lo Sichuan (paese dei panda), sui contrafforti dell'Himalaya, a più di 2.700 metri di altezza, nell'antico Tibet storico. Nella regione, il monte Yulong, o Drago di Giada, culmina a 5.600 metri.

Carte ethnique dello Yunnan

L'eterna serenità

Il loro distretto è stato chiamato Yongning in cinese, che significa "Eterna Serenità". C'è da chiedersi se i cinesi non invidiano loro un po' della loro cultura. Yongning è anche il nome della loro piccola capitale, nella pinura agricola dietro la montagna madre Gemu.

I Naxi originari


Il termine "Moso" designava anticamente tutti i Naxi; iè ora ripreso per un sotto gruppo, essenzialmente gli abitanti di Yongning ei delle rive del lago Lugu, che desiderano evidenziare le differenze tra loro e i Naxi oramai patriarcali della città di Lijiang e dei dintorni. I cinesi danno loro il soprannome di cowboy, a causa dei cappelli che portano gli uomini.

Gli etnologi preferiscono l'appellativo "Na" per l'insieme delle popolazioni che utilizzano per autonimia la sillaba "Na"; questo appellativo riguarda i Naxi di Lijiang e i Moso di Yongning e del lago Lugu.

La ricerca del regno delle donne del Tibet


Joseph Rock è un esploratore americano che visse in Cina tra il 1920 e il 1949. Giungendo nell'Impero celeste, sentì parlare di una montagna più alta dell'Everest e ai piedi della quale viveva una temibile tribù tibetana diretta da una regina che proibiva ogni accesso al suo territorio! Allora, per anni, Rock organizzò delle spedizioni assurde nei grandi spazi tibetani alla ricerca di questa misteriosa cime. I racconti delle sue numerose e stupefacenti avventure, pubblicate sul "National Geographic", fecero sognare milioni di Americani ed Europei. Joseph Rock fece scoprire al mondo la straordinaria cultura dei Naxi della regione di Lijiang e realizzò numerose fotografie dei Moso del lago Lugu. Questa regione meravigliosa, in cui le donne non si sposano, è conosciuta con il nome di "Paese delle donne".

I 16 clan totemici originali

La dea madre circondata dagli animali totemici dei clan matrilineari Naxi

I Moso sono i discendenti delle antiche tribù Qiang, che sono migrate verso il sud a  partire dall'altipiano tibetano del Qinghai, si sono stabiliti nello Sichuan e nello Yunnan, e hanno fatto nascere diversi popoli di lingua tibeto-birmana nella regione, come gli Yi e i Pumi. Il Jiu Tangshu (Storia della fine dei Tang, X secolo) parla di un "Regno delle donne dell'est", costituito da un ramo delle tribù Qiang, che aveva alla sua testa una regina. Secondo questo testo, nel Sud di questo reame si trova un popolo, menzionato con il nome di Luonüman, che significa "tribù delle donne tigre", "luo" avendo il significato di tigre presso i tibeto-birmani. Questa tribù ha dunque come totem una tigre e per caratteristica una forma di matriarcato. Si tratta molto probabilmente degli antenati dei Mosuo.

Secondo lo Hou Hanshu (Storia degli Han posteriori), queste tribù portano dei nomi di animali: yak, cavallo bianco, lupo, e sono caratterizzati da costumi matriarcali. Lo Hou Hanshu descrive così gli abitanti della regione di Yanyuan (al Sud dello Sichuan) "Essi onoravano le donne, che dirigono il clan, e bruciano i morti". La loro società era divisa in sedici clan. I testi d'epoca Qing, come lo Yanyuan xianzhi (Annali del distretto di Yanyuan) criticano le "cattive usanze" di queste donne dai "grandi piedi" che non si sposano mai e "si accoppiano selvaggiamente come gli animali".

Tagliati fuori dal mondo dall'Eden

Residenti in una zona particolarmente difficile da accedere, i Moso sono rimasti, sino agli anni 50, praticamente tagliati fuori dal mondo. E' soltanto una ventina di anni più tardi che una strada è stata costruita da Lijiang a Yongning. Questa strada unica che costeggia dei pendii di scarpate, è spesso impraticabile, per via delle frequenti frane durante la stagione delle piogge. Ciò spiega in parte che essi abbiano conservato quasi intatto un modo di vita, dei costumi, probabilmente invariati dall'alba dell'umanità.

Il popolo fossile, testimone della prima umanità

E' l'ultimo popolo matrilineare intatto. Gli etnologi li chiamano "il popolo fossile". Sino a poco tempo fa i bambini ignoravano l'identità del proprio padre. La loro scoperta recente verso la metà del XX secolo rimette in discussione ogni teoria sociologica accademica che ritengono che non potrebbero esistere società stabili senza matrimonio, e che il complesso di Edipo sarebbe universale. Le usanze dei Tibetani del bacino del fiume Yalong e dei Moso di Lugu sono identiche, e molte tracce di questa matrilinearità originaria si ritrovano presso i più diversi popoli dell'Himalaya. Questo modo di vita riomane ancora profondamente radicato, a dispetto degli sforzi intrapresi da parte dei governi locali successivi (tibetani, cinesi, comunisti).

Un modello per l'avvenire dell'umanità

“L'ultimo posto pacifico del pianeta, l'ultimo luogo in cui la guerra non è mai esistita, in cui gli abitanti vivono in armonia, è il lago Lugu”. 

Joseph Rock, esploratore americano, 1924


Durante il suo 50° anniversario, l'UNESCO ha dato ai Moso il titolo di comunità modello. Perché qui, secondo degli antropologi, non vi sarebbero rapporti di dominio tra uomini e donne, né quei conflitti correnti nelle società moderne e riguardanti la proprietà. I Moso non hanno provato il bisogno di inventare delle parole per parlare della guerra, di omicidio o di prigione.

Si può tuttavia osservare dei guerrieri Moso al museo di Lijiang, che indossano delle armature, spade e elmi di ferro. Anche dei libri di antropologia  cinese indicano che i Moso sono stati in passato coinvolti in guerre tribali. Anche oggi, sussistono delle tensioni con le tenie vicine, Pumi e Yi, che li infeudavano o rubavano i loro figli per farne degli schiavi.

"E' il solo popolo al mondo, a credere che il matrimonio distrugge le famiglie".
Christine Mathieu, Adieu au Lac Mère

I principi di vita dei Moso

Le madri sono i pilastri della società. La società Moso è matrilineare e matrilocale. Soltanto l'ascendenza femminile è tenuta in conto, e la trasmissione del nome così come dei beni è esclusivamente femminile. Sono le figlie che ereditano dei nomi di famiglia e dei beni. Il clan è costituito esclusivamente dalla matrilinearità da cui sono esclusi padri e mariti. Tradizionalmente, il matrimonio e la vita coniugale non esistono. L'uomo non si sente alcun dovere di fronte alla famiglia della sua amante, e l'amante non gode di nessun diritto sul suo amante.

- niente matrimonio: i bambini restano a vivere presso la loro madre per tutta la vita.
- nessuna paternità: i bambini sono allevati dagli zii, nessun complesso di Edipo.

- tutto è trasmesso attraverso la madre: nome, proprietà…
- la sessualità è libera: ognuno è libero di avere (in segreto) tanti amanti quanti ne desidera, e di cambiare a volontà.
- vivono nel comunismo famigliare: la proprietà appartiene a tutto il clan famigliare, non vi è eredità. Dalla instaurazione di un sistema feudale durante il 17° secolo, la proprietà collettiva è scomparsa, i Moso hanno dovuto allora instaurare l'eredità attraverso la primogenitura femminile.

I tre pilastri della gilania Moso sono dunque:
- matrilinearità: ogni trasmissione (nome del clan, eredità, potere, ecc…) si fa attraverso la madre.
- matrilocalità: la vita sociale si organizza intorno alla madre.
- avuncolato: l'educazione del bambino è assicurata dallo zio materno, il fratello della madre.

Comunismo primitivo

La proprietà era un tempo collettiva, gestita dalle donne, e sotto la responsabilità della matriarca. La proprietà si trasmetteva di generazione in generazione senza nessuna procedura giuridica. Non vi era dunque eredità, né guerre per l'eredità. E' quel che si chiama comunismo primitivo. Ma dal 17° secolo, la giurisdizione cinese non riconosce più la proprietà collettiva famigliare. La casa e le terre appartengono dunque alla grande madre capo del clan, che cede il titolo di proprietà a sua figlia giudicata come più competente, la Dabu. Così, la proprietà è trasmessa da madre in figlia, senza divisione.

Una donna anziana prepara una delle sue figlie alla sua successione; è indispensabile che una figlia le succeda, perché se non ha che dei discendenti di sesso maschile, i loro figli abiteranno la casa delle loro rispettive madri e la casata privata di discendenti si estinguerà. Non vi è divisione del patrimonio alla sua morte. La proprietà famigliare resta la stessa di generazioni in generazioni.

Una società senza padri


Se il padre può essere conosciuto, non è riconosciuto, e il bambino è dunque allevato dal fratello di sua madre. I bambini conoscono la loro madre, ma non sempre il loro padre, che può essere non importa chi tra i numerosi amanti che le donne sono libere di scegliersi, il modello del ruolo maschile è dato dallo zio materno. Nel passato, l'identità del padre non aveva importanza, e la parola padre e marito non esistevano nella lingua dei Moso, ma ai giorni nostri, con la pressione amministrativa cinese, sappiamo in generale chi è il padre. Se il padre non ha alcun diritto sul bambino, la madre permette tuttavia delle visite.

Un uomo Moso ha i suoi diritti e doveri verso la casa di sua madre, ma non nella casa della sua amante, in cui egli è soltanto un invitato. Marco Polo aveva già notato quest'usanza che permetteva ai visitatori e agli stranieri di avere delle relazioni sessuali con le donne se esse erano consenzienti.

Dissociare il padre e la legge, lo zio

"L'aquila in cielo è la più in alto, e lo zio sulla terra è il più importante"

Nel cuore dei Moso, il rispetto per il loro zio è superiore a quello per il loro padre. I bambini sono educati dai loro zii materni e provano nei loro confronti lo stesso tipo di affetto che essi avrebbero verso il loro padre in altri tipi di società. Tutti i parenti maschili sono degli zii chiamati A Wu. L'originalità del sistema di parentela dei Moso risiede dunque nel fatto che le funzioni paterne abituali di rappresentante della legge e di partner sessuato sono totalmente dissociati, l'uno essendo assicurato dalla madre e i suoi fratelli (gli zii materni dei bambini), l'altro da degli anonimi.

L'uomo innaffiatoio

Essi pensano che lo sperma non contribuisca affatto alla formazione del bambino. Sostengono che "se la pioggia non cade dal cielo, l'erba non può nascere", e dicono che, durante l'accoppiamento, lo scopo della donna è di provare piacere e/o avere dei bambini e quello dell'uomo è al contempo di divertirsi e di far atto di benevolenza di fronte alla donna (e del suo lignaggio) annaffiandola.

 

[SEGUE]

 

[Traduzione di Ario Libert]

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