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31 marzo 2015 2 31 /03 /marzo /2015 16:00

Charles François Dupuis, un genio innovatore misconosciuto della storiografia dell'età dei Lumi.

La parola Dio sembra destinata ad esprimere l'idea della forza universale ed eternamente attiva la quale a tutto imprime il moto nella Natura, seguendo le leggi di un'armonia costante ed ammirevole che si sviluppa nelle diverse forme che prende la materia organizzata, si mescola a tutto, anima tutto e sembra essere una nelle sue modificazioni infinitamente varie, e non appartenente che a se sola. Questa è la forza vera che racchiude in se l'Universo o quella regolare riunione di tutti i corpi che una catena eterna lega fra loro, e che un moto perpetuo ruota maestosamente nel seno dello spazio e del tempo senza limiti...

Questa forza essendo quella del mondo stesso, il mondo fu considerato come Dio o come causa suprema ed universale di tutti gli effetti che esso produce, e dei quali l'uomo fa parte. Ecco il gran Dio, il primo o piuttosto l'unico Dio che si è manifestato all'uomo attraverso il velo della materia che egli anima, e che compone l'immenso corpo della Divinità...

Sebbene questo Dio fosse ovunque, l'uomo lo cercò di preferenza in quelle regioni elevate ove sembra viaggiare l'astro potente e radioso che inonda l'Universo con i torrenti della sua luce, e con la quale opera sulla Terra la più bella come la più benefica azione della divinità.

Credette quindi che sulla volta azzurra, smaltata di fuochi scintillanti, l'Altissimo avesse stabilito il suo trono; che dalla sommità dei cieli reggesse le redini del mondo, dirigesse i movimenti del suo vasto corpo, e contemplasse se stesso nelle forme tanto varie quanto ammirabili sotto le quali egli continuamente si modificava.

Charles François Dupuis [1798]
Compendio dell'origine di tutti i culti, Bastogi, Foggia, 1982.

 

La vita di Charles François Dupuis (Trie-le-Château, 26 ottobre 1742; Is-sur-Tille, 29 settembre 1809) [1], si svolse in una limitata porzione del territorio nazionale francese, cioè Parigi, e fu in sostanza priva di eventi o imprese notevoli. Dupuis incarna, infatti, al pari di tanti altri, la tipica figura dello studioso totalmente immerso nei suoi interessi e studi dei quali fa unico motivo di vita dedicandovisi con devozione totale.

Una grande opportunità che il destino offrì a Dupuis, per conseguire notorietà a livello europeo, fu l'offerta della cattedra di letteratura a Berlino nel 1784 da parte di Condorcet, quando da questa si dimise Dieudonné Thiébault, consulente letterario ed editoriale di Federico II, ma l'improvvisa morte del re filosofo prussiano vanificò questo progetto.

Un'altra importante occasione fu offerta a Dupuis quando egli fu inserito tra i possibili nomi dei membri della spedizione napoleonica in Egitto del 1798. Il futuro imperatore portò con sé nella terra dei faraoni, 150 savants e quasi 2000 tra artisti e tecnici che raccolsero diligentemente un'enorme mole di materiale che confluì nell'imponente opera in 20 volumi Déscription de l'Egypte, base della moderna egittologia. Dupuis però, per motivi che lui stesso non rivela, non ne fece parte.

Un episodio senz'altro curioso della biografia dupuissiana è la costruzione da parte sua, nel 1778, di un telegrafo, strumento che egli ricavò da un'idea di Guillaume Amontons enunciata un secolo prima. Con questo strumento Dupuis comunicava con il suo amico Fortin, che dal villaggio di Bagneux, osservava con un cannocchiale i segnali che Dupuis gli trasmetteva da Belleville, inviandogli il giorno successivo la risposta. I due amici si scrissero in questo modo ogni anno durante la bella stagione sino agli inizi della rivoluzione de 1789, quando Dupuis decise di distruggere il telegrafo, nel timore di rendersi sospetto alle autorità. Invenzione che, invece, fu poi adottata da Claude Chappe e che si rivelò utile molto sui campi di battaglia europei durante le campagne napoleoniche.

Nato in una famiglia modesta, suo padre era maestro in un piccolo villaggio, da giovane Dupuis dovette impegnarsi a fondo per tentare di emergere. Il padre lo istruì soprattutto in geometria pratica. Il giovane Dupuis entrò per fortuna nelle simpatie del duca La Rochefoucauld, discendente del celeberrimo autore delle Massime, e grazie al suo sostegno poté affrontare con una certa tranquillità gli studi presso il collegio di Harcourt in cui eccelse nella lingua latina, riportando molti premi per l'ottimo rendimento negli studi. Un giorno suo padre, volendo fargli visita per congratularsi dei suoi buoni risultati scolastici, annegò per incidente, lasciandolo così tragicamente in maggiori difficoltà.

Data la sua eccellente conoscenza del latino, Dupuis fu incaricato di pronunciare in questa lingua il discorso per la distribuzione dei premi universitari alla presenza del Parlamento, e nel 1780 di tenere l'orazione funebre di Maria Teresa d'Austria a nome dell'Università.

Sempre grazie all'aiuto del duca La Rochefoucauld, Dupuis poté continuare i suoi studi anche all'università frequentando i corsi di filosofia; studiò anche teologia conseguendo la licenza, e a ventiquattro anni insegnava retorica al collegio di Lisieux. Nel 1770 fu deputato al parlamento di Parigi. Abbandonata la carriera ecclesiastica nel 1772, Dupuis si sposò nel 1775 e dal suo matrimonio ebbe tre figli maschi e una femmina che morirono tutti in tenera età.

Membro delle celebre Académie des inscriptionalla vigilia della tempesta rivoluzionaria del 1789, fece parte sin dalla sua costituzione dell'Institut de France, struttura attraverso cui la Repubblica sostituì le accademie reali.

Dupuis fu deputato alla Convenzione dal 1792 al 1795, facendo parte anche del Consiglio dei Cinquecento. Persona schiva e amante dello studio, fu coinvolto, suo malgrado in politica, essendo stato nominato alla Convenzione dal suo Dipartimento di appartenenza, ma l'assassinio del suo antico protettore, il duca La Rochefoucauld, lo indusse a cercare rifugio presso un amico a Evreux.

Di temperamento prudente e conciliante, Dupuis fu infatti uno dei membri più moderati dell'organo legislativo e durante il processo contro Luigi XVI votò per la sua detenzione e anche dopo il verdetto di morte, pronunciato dalla maggioranza dell'assemblea, si impegnò affinché la decisione fosse rinviata.

Durante il Terrore, come membro del Consiglio dei Cinquecento, si impegnò soprattutto sulle questioni della libertà di stampa e delle riforme scolastiche. La cosa notevole, è che riuscì a portare a termine  - in questo che fu uno dei periodi più tormentati della storia europea -, l'opera che lo rese celebre e che al contempo, ironia della sorte, lo condannò all'oblio, e cioè L'Origine de tous les cultes nel 1795.

Planches de l'origine de tous les cultes, ou Religion universelle. Atlas / . Par Dupuis,...

L'amicizia che Dupuis strinse con il celebre astronomo Jérôme de Lalande segnò una svolta nella sua vita intellettuale, dando direzione unitaria a tutte le discipline in cui egli eccelleva. Lalande, da parte sua, promosse in numerosi interventi la pubblicazione dei saggi di Dupuis, come nel 1795 sul giornale Le Moniteur Universel, dove diede notizia dell'uscita della sua opera che lo consegnò alla storia della ricerca storico-scientifica.

Dupuis ebbe modo di illustrare le sue teorie sull'origine astronomica delle religioni sin dal 1779 sul celeberrimo Journal des Savants, in una prima serie di brevi saggi, che poi raccolse in un'opera organica nel 1781 con il titolo Mémoire sur l'origine des Constellations et sur l'esplication de la Fable par l'astronomie [Memoria sull'origine delle Costellazioni e sull'interpretazione del mito con l'astronomia].

Le sue teorie, cui Dupuis dedicherà il resto della vita di ricercatore ad approfondire e corroborare, circoleranno quindi a lungo sotto forma di brevi saggi, ma soprattutto attraverso discussioni e scambi di pareri tra conoscenti interessati all'argomento, come la ricercatrice Claude Retat, docente di letterature antiche all'ENS di Lione ha mirabilmente posto in giusta evidenza in un importante saggio del 1999 [2]. È ovvio che la Rivoluzione del 1789 accelerò in generale processi di analisi, oltre che di azione nei confronti dell'esistente sia a livello culturale sia nei confronti delle istituzioni.

Va ricordato a questo proposito, che la critica alle religioni rivelate, pur affondando le proprie radici in una precedente letteratura molto vasta, andava anche incontro alle esigenze dello spirito del tempo e ancora di più a quelle del governo repubblicano rivoluzionario che, nella sua politica antireligiosa, aveva preso duri provvedimenti nei confronti del clero regolare e agevolato il formarsi di una chiesa nazionale caratterizzata da un clero divenuto in ampia parte, in quanto salariati dallo Stato, dei veri e propri impiegati, prestando giuramento di fedeltà alla nazione e alla legge.

Con l'acutizzarsi della crisi tra lo Stato repubblicano e il clero refrattario alla Costituzione civile, la politica anticlericale si trasformò in una vera e propria scristianizzazione che si caratterizzò attraverso varie modalità, come la riforma del calendario che andò a sostituire quello gregoriano, conseguentemente il computo degli anni a partire dal 22 settembre 1792, considerato il primo giorno della fondazione della Repubblica e quindi anche il primo anno della nuova era  che avrebbe sostituito il computo basato sulla nascita di Cristo; e che è esso stesso un evento astronomico altamente significativo e cioè quello corrispondente all'equinozio d'autunno.

Altri provvedimenti molto diffusi furono la soppressione delle feste religiose e la loro sostituzione con feste civiche legate alla Repubblica, la fusione delle campane o dell'argenteria clericale, la celebrazione di festività legate ai principi della repubblica come la festa della dea Ragione e il culto dell'Ente Supremo.

L'elaborazione della sua più celebre opera, e cioè L'Origine de tout les cultes, ou Religion universelle, si situa quindi proprio nel vivo del quadro storico politico nazionale in cui è urgente dimostrare in termini storici l'esistenza di una religione universale basata sull'uso della ragione e scaturita dall'osservazione empirica, una religione non astratta e metafisica ma che risulta al contrario essere profonda e saggia, una glorificazione della Natura di cui l'umanità e tutto il vivente sono figli. Una religione antica quanto l'uomo quindi, scientifica e umanistica, e perciò rigorosa.

La divinità astratta e separata è così fagocitata dalla natura in modo tale da non esserne più distinguibile; la mentalità arcaica finisce con il parlare la stessa lingua della modernità, e così il panteismo settecentesco incontra nelle profondità dei tempi un analogo atteggiamento mentale improntato a uno spinozismo integrale, privo di fanatismo, tollerante, luminoso, profondamente letterario, addirittura poetico se confrontato alla sensibilità moderna e scientista.

In questa sua opera maggiore, Dupuis rivelava dunque, con lo strumento delle discipline disponibile nella sua epoca e alle quali chiunque poteva attingere, l'esistenza di una tradizione primordiale universale perché naturale, basata sulle facoltà innate dell'uomo e non eccedente da cui limiti conoscitivi, al contrario delle dogmatiche e autoritarie religioni rivelate che svilivano e offendevano l'uomo in quanto di più dignitoso egli potesse possedere: la ragionevolezza, il buon senso, la capacità di discernimento.

Tornando ai contenuti della sua grande opera, edita nell'An III de la République (1795), in data 21 Fruttidoro, corrispondente al 7 settembre del vecchio calendario, essa apparve in due formati, il primo in tre volumi in 4° ed il secondo in dodici volumi in 8°, entrambe le edizioni comprendevano un atlante in 4° contenente il celeberrimo frontespizio, alcune pagine esplicative e 22 tavole illustranti planisferi antichi e reperti archeologici dell'antichità di natura mitologico-astronomica.

In questo ponderoso lavoro Dupuis sviluppava a fondo il sistema su cui studiando e discutendo con i suoi più fidati amici da vent'anni e di cui diede per fortuna un importantissimo compendio nel 1798 [3] che a modo suo gli assicurò una lunga vitalità. È infatti attraverso quest'ultima opera riassuntiva delle sue concezioni che Dupuis poté essere ristampato regolarmente durante tutto il XIX secolo sino ai primi decenni del XX e tradotto nelle principali lingue europee. La fama che lo studioso conservò, grazie al suo compendio, limitò però notevolmente la vastissima portata della sua opera maggiore. Dupuis fu volutamente identificato e relegato come un autore ateo e non, cosa più veritiera, come uno storico comparativista di modelli culturali antichi presentanti analogie significative pur trovandosi separati nel tempo e nello spazio.

La grande scoperta di Dupuis consiste nel fatto che tutte le religioni conosciute avevano a fondamento una concezione cosmologica comune, manifestazione di uno stesso identico sistema di conoscenza, anche se espressa nelle lingue ed immagini peculiari di quelle culture successive che l'avevano manipolata spesso in modo pesante.

Le religioni più recenti che si ritenevano le "definitive" rispetto a tutta una serie di errori e che la stessa divinità aveva rivelato ad alcuni eletti, tipo quella ebraica, cristiana e l'islamica, non erano a livello dottrinale che una deformazione di questa arcaica religione universale espressa attraverso allegorie di natura astronomica molto complesse.

Per molti secoli durante l'antichità greca e latina, molti storici e mitografi, si erano impegnati nel tentativo di risolvere alcune delle maggiori difficoltà interpretative poste dai miti loro trasmessi dalle ere più remote e dar loro una razionalizzazione e sistematizzazione. Durante il Medioevo si ebbe un declino di queste ricerche, se non una loro rimozione per via dell'assoluta egemonia del totalitarismo dogmatico cristiano sull'alta cultura. Con l'Umanesimo e il Rinascimento si verificò per fortuna una loro vigorosa ripresa, e i loro risultati e riscoperte di testi andati perduti per secoli per la cultura occidentale, furono in parte trasmessi all'età moderna.

Dupuis e altri ricercatori di cose antiche, poterono inoltre avvalersi della grande massa di dati che, a partire dalle esplorazioni geografiche e poi con le prime imprese coloniali, si resero disponibili a chi si poneva tali questioni. In Dupuis, infatti, non ritroviamo mai un'affermazione, specialmente se impegnativa, priva di una mole notevole di riferimenti. Anche i testi dei missionari gesuiti in Oriente furono utilizzati per trarre importante materiale a supporto delle sue teorie.

Alla base del suo sistema, quindi, troviamo implicita l'ipotesi dell'esistenza di una civiltà mondiale caratterizzata da un corpo di dottrine molto omogeneo che si esprimeva attraverso immagini di natura cosmologica, in cui misticismo e scienza erano fuse in figure allegoriche in una narrazione molto articolata. Il sorgere e il tramontare delle stelle, le loro relazioni con la luna e i pianeti conosciuti (stelle mobili), i rapporti delle costellazioni zodiacali con le costellazioni che tramontano o sorgono con esse (paranatellonta), il procedere annuale del sole tra le costellazioni dello zodiaco: tutto ciò, reso non attraverso una pura e semplice descrizione oggettiva, come nella geografia astronomica, ma sotto forma di drammatizzazione e personificazione dei corpi celesti, pianeti, sole, luna e costellazioni varie, è la radice prima di ogni religione avente la natura come oggetto di culto e una concezione profondamente panteistica su base astronomica.

La ciclicità in questa concezione arcaica è fatta allora segno di perfezione e immagine dell'eternità, tutto muore per poi rinascere. La stessa dottrina della metempsicosi, la più antica e universale forma di credenza religiosa dell'umanità risiede in essa e così l'ilozoismo, la concezione che la natura sia un'entità vivente, una grande madre in cui tutto ciò che esiste è vivo.

cristo-soleQueste narrazioni simboliche, modellate sul sapere cosmologico arcaico, trasmesse e perfezionate nel corso dei millenni da una cultura all'altra, sono esattamente quanto non potremmo meglio definire come "esoterismo", in quanto attraverso esse tutto quanto di sacro e sensato coinvolgeva l'uomo, la società e l'umanità era perfettamente sintetizzato, ogni cosa si armonizzava con l'altra, soprattutto il microcosmo e il macrocosmo.

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Queste concezioni erano tenute segrete e trasmesse iniziaticamente da scuole di pensiero antiche quanto l'umanità stessa. La deformazione di questo complesso di dottrine ad opera delle religioni più recenti non rappresenterebbero altro, quindi, che uno snaturamento assoluto di questa remotissima sapienza arcaica elaborata in un arco temporale dell'ordine delle decine di migliaia di anni.

Questa dottrina profonda e totale, in quanto in grado di comprendere e riflettersi in una pluralità di discipline poi note come scienza, religione, astrologia, alchimia, magia, poesia, architettura, pittura, scultura, ecc., è quanto di più prezioso le culture remote trasmisero a quelle posteriori che purtroppo non seppero sempre preservarla nella sua integrità e portata, finché non si giunse a una loro completa incomprensione già nell'antichità e con ciò all'esigenza di una loro interpretazione alla luce del poco sapere posseduto, e ciò continua ancora ai nostri tempi, anche se molti progressi negli ultimi secoli sono stati indubbiamenti conseguiti.

Dupuis attribuisce giustamente un'importanza fondamentale ai due principi di luce e tenebra che nel pensiero arcaico devono aver svolto un ruolo centrale. La totalità dell'essere, la Natura cioè, l'universo-dio come lo chiama Dupuis, era la sede di un immane dramma cosmico in cui la vita e la morte tentavano di prendere il sopravvento senza mai riuscirvi del tutto. L'alternarsi del giorno e della notte e delle stagioni ne erano prove concrete e l'attesa del ritorno dell'astro ogni giorno o della primavera dopo la quasi morte invernale, così come il ripetersi di altri cicli astronomici maggiori, era vissuta sempre con apprensione e gioia dalle culture arcaiche.

Da qui la grande attenzione nei confronti della natura, intesa come abito vivente della divinità. L'osservazione del cielo, della volta celeste cioè, nell'attesa che la rinascita della vita nel mondo si verificasse, divenne la scienza suprema, l'arte regale, che tenne perennemente impegnati coloro che si occupavano a officiare i riti dei culti profondamente radicati nella natura e volti a celebrarla e attraverso essa l'intera umanità che non poteva non esserne una parte significativa, insieme a tante altre e ritenute quindi non meno importanti.

Soprattutto gli aspetti direttamente connessi con la rinascita delle messi e della nuova vita

 

 

 

[segue]

 

 

 

 

NOTE

[1] I dati biografici concernenti Dupuis sono stati tratti tratti dalle seguenti opere: Introduzione all'edizione del 1822 in 7 volumi in ottavo di Origine de tous les cultes, edita dalla Librairie Historique di Emile Babeuf, di Pierre-René Anguis; la voce Dupuis (Charles-François) tratta da Les Hommes illustres du département de l'Oise, di Charles Brainne, 1858, Imprimerie d'Achille Desjardin; la voce Dupuis tratta dalla Biographie universelle di Michaud, 1855, vol. 12, edita da Cher Madame C. Desplaces; Histoire de la littérature française, di Fréderic Godefroy, 1879, volume 6, edito dalla Librairie Catholique.

[2] Vedere il saggio di Claude Retat, Lumières et Ténèbre du Citoyen Dupuis. I membri più noti di questo circolo, oltre Dupuis e Lalande, furono l'abate Leblond, uomo che funse da tramite tra i molti componenti della critica tardo illuminista della religione e le istituzioni politiche del regime rivoluzionario; François Chasseboeuf Volney, autore del celebre Les Ruines. Méditations sur les révolutions des empires [Le rovine. Meditazioni sulle rivoluzioni degli imperi]; François  Henri Stanislas Delaulnaye, autore di quello che Claude Retat definisce "un  grande naufragio intellettuale" e cioè l'ambizioso e concorrenziale (nei confronti di Dupuis) progetto di scrivere un'opera intitolata Histoire générale et particulaire des religions et du culte de tous les peuples du monde [Storia generale e particolare delle religioni e del culto di tutti i popoli del mondo], che doveva articolarsi in 12 volumi in 4°, ma di cui non uscirono che un prospetto e fascicoli per un totale di poche centinaia di pagine. Delaulnaye scrisse anche Mémoire sur la Franc-Maçonnerie [Memoria sulla Libera Massoneria], del 1806, e Thuilleur des trente-trois degrés de l'Éscossisme [Tegolatore dei trentatré gradi dello scozzezismo], edito nel 1813; Alexandre Lenoir, autore di La Franche-Maçonnerie rendue à sa véritable  origine [La Libera-Muratoria restituita alla sua vera origine], 1814 e anche Nicolas de Bonneville, autore di De l'esprit des religions [Sullo spirito delle religioni], edit nell'an 4 de la liberté (1792), e anche Les Jésuites chassés de la maçonnerie, et leur poignard brisé par le maçons [I Gesuiti cacciati dalla massoneria e il loro pugnale spezzato dai massoni], del 1788.

[3] Dupuis, Compendio dell'origine di tutti i culti

 

 

 

 

 

Ricercatori soppressi. Massimo Cardellini, Charles-François Dupuis, un genio innovatore misconosciuto dell'età del Lumi; (Introduzione di "Memoria interpretativa dello Zodiaco cronologico e mitologico", 1806.
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1 settembre 2012 6 01 /09 /settembre /2012 07:00

Cheikh Anta Diop

[1923-1986]

diop.jpg

Ricercatore e Inventore della Nuova Storia Universale

Akam Akamayong

 

diop1.jpgEminente erede spirituale delle molto antiche tradizioni intellettuali africane, Cheikh Anta Diop, ricercatore africano del Senegal, precoce e visionario è deceduto il 7 febbraio 1986, lasciando un'opera immensa la cui lama rivoluzionaria avrà ristabilito l'anteriorità delle civiltà africane, facendo dell'Africa la culla dell'umanità, e dell'Egitto la civiltà africana per eccellenza.

 

diop3.jpgSi immagina poco e male l'apporto di Cheikh Anta Diop alla conoscenza universale, l'erudizione che egli ha dovuto produrre per giungere a issarsi, lui l'Africano nato nel primo quarto del XX secolo, a un livello che i più brillanti spiriti del pianeta e della sua disciplina gli invidiavano. Perché di erudizione ne è occorsa tanta per rovesciare molti secoli di revisionismo, di opere, di programmi di ricerca, di cattedre universitarie, di opinioni aprioristiche unidirezionali, che trattino da storia africana e universale, allo scopo di far apparire l'Europa come solo soggetto storico. La conseguenza è stata egualmente un enorme divario tra Anta Diop e le elite africane del XX secolo, e si può affermare che l'uomo di scienza senegalese era almeno un secolo avanti sul suo tempo che egli ha totalmente dominato intellettualmente.

 

diop4.jpgAffrontando le grandi questioni di civiltà, arene delle discussioni e sommità occidentali gelose delle loro aureole e del loro impero, Cheikh Anta Diop rappresenterà presto un pericolo per l’eurocentrismo cosciente o indotto. Gli specialisti europei dell’Africa -africanisti- in testa ma i politici poco lontani, è un fronte opaco della negazione che accolse nell'insieme i lavori di Diop, perché è un edificio in blocco solidoconcorrente all'alienazione e dunque a una forma di legittimazione del dominio che vacillava sotto il fuoco della rottura scientifica nella rappresentazione dell'Africa.

 

diop5.jpgSolo contro tutti, armato di scienza e di convinzioni, Diop risale in controsenso la corrente della lunga marcia dell'homo sapiens sapiens, primo uomo due volte saggio, di cui conferma e conforta il bacinoprimitivi negro-africano. La vita intera dello studioso sarà dedicata alla scienza, all'Africa, al progetto di costruire un corpo d'elite di scienze a profitto di una politica continentale chiara e di rianimare il passato su un periodo che va almeno dall'Egitto faraonico all'Africa precoloniale. Quest'orientamento che si voleva un contributo all'avvento di uno stato unitario in Africa si rivelerebbe fecondo a più di un titolo, saldandosi con un cambiamento di riferimento, di paradigma nella lettura dei fatti di storia e di civiltà africane. Il Bianco cessava di essere l'inizio del Nero, quando il Nero assumeva la posizione di origine dell'avventura del genere umano.

 

diop7.jpgLa tesi più popolare di Anta Diop si rivela essere l'insieme di prove mobilitate per dimostrare l'evidenza dell'appartenenza della civiltà egiziana all'Africa e viceversa, la Nubia precederebbe inoltre l'Egitto nella sua gestazione. Le testimonianze degli Antichi Greci, Aristotele, Diodoro siculo, Erodoto contemporanei degli Egiziani sono dei materiali preziosi integrati alla sua metodologia. Si aggiungerebbero a questo arsenale degli argomenti di ordine linguistico, culturale, antropologico...

 

diop2.jpgLe origini dell'umanità sfidano soprattutto il ricercatore, preoccupato com'è di seguire la traccia più remota degli Africani e del genere umano sulla terra. La prospettiva dei suoi lavori incessantemente confortata sino all'ultimo lo portano alla conclusione che i primi homo sapiens erano neri africani, che gli altri homo sapiens bianchi e gialli sono sorti dall'antenato nero attraverso un processo di differenziazione dei fenotipi.

 

diop4-copia-1.jpgOgni dimostrazione tenta di decostruire l'edificio eurocentrico, rigurgitante di pregiudizi religiosi e di antropologia fisica razzista, le sue analisi sull'evoluzione delle società e delledifferenti forme di stato permettono di caratterizzare lo stato egiziano, il suo modo di produzione relativamente all'evoluzione delle popolazioni settentrionali europee.

 

diop6.jpgUn momento notevole della produzione intellettuale di Cheikh Anta Diop risiede nello studio del contributoafricano all'universale nel campo dell'arte, dell'architettura, dell'abigliamento, della scrittura, delle scienze, della filosofia... Quest'apporto si è diffuso alle altre aeree culturali e geografiche- del bacino mediterraneo - sino in Europa, l'Africa non appariva più come il parente povero dell'umanità, ricettore e consumatore sterile dei contributi degli altri. Le prime scritture- geroglifiche, vaï, mende, bamun, ... - sono storicamente attestate in Africa, per i geroglifici per lo meno, invenzioni autoctone e esportazioni successive verso lo spazio mediterraneo.

diop8.gifUn tale apporto alla storia universale non poteva fare non apportare innovazioni metodologiche indispensabili. Per Anta Diop, è di rottura epistemologica che si dovrebbe parlare, e cioè di una modificazione radicale del senso di lettura, di apprendimento e di comprensione della storia africana. L'interdisciplinarità è invocata allo scopo di reintrodurre l'Africa nel tempo storico da cui Hegel l'aveva espulsa e sovvertire le frammentazioni etnologiche  nel paradigma robusto dell'unità culturale a partire dal qual l'Africa è oramai oggettivata.

diop9-copia-1.jpgIl pensiero di Anta Diop, per la sua visone e acutezza, in anticipo sul suo secolo condannava il pensatore ad un'esistenza fuori istituzionale per l'essenziale, il che lo nuoceva a breve termine. Paradossalmente, la posizione marginale del ricercatore per quanto scandalosa fosse, anche nel suo paese sotto la presidenza di Senghor soprattutto dove non disponeva di una cattedra universitaria, gli ha evitato di disturbare le sue tematiche di ricerca con delle questioni estranee alla sua visione. Si immagina che in un quasi francese per eccellenza, nel corso degli anni 60, un ricercatore senegalese appartenente agli apparati dello stato non avrebbe potuto sviluppare liberamente le tesi della falsificazione della storia africana, raccomandare la ricerca nucleare militare e civile in Africa, avanzare il primato dell'integrazione regionale all'interno di un'Africa unitaria mentre l'indipendenza freschissima benché formale suscitava tutti i fantasmi nazionalisti.

diop10.jpgLa fecondità dell'opera intellettuale diopiana è oggi nella fase di una lenta ma irreversibile diffusione mondialòe, evolventesi sul modello di un contagio virale terapeutico afferrando poco alla volta a tenaglia lo spazio pubblico africano e singolarmente le istituzioni presto circondate. In Africa, negli Stati Uniti, nei caraibi, in Europa, la teoria di Cheikh Anta Diop fa degli adepti e, ancor meglio, dei nuovi ricercatori, spesso indipendenti che tentano di strutturarsi malgrado i razionamenti di cui essi sperimentano le conseguenze. In Africa l'interesse per i geroglifi cresce in modo sorprendente e i giovani si danno da fare per costruirsi degli itinerari di apprendimento tra alcune nozioni passeggere, dei corsi qui e là, delle opere di volgarizzazione...

diop11.jpgÈ probabile che 18 anni dopo la sua scomparsa, l'opera  del professore Anta Diop, che ha trionfato delle resistenze e reticenze degli Africani e afro-discendenti, doppiato il capo di un faccia a faccia con gli africanisti eurocentrici, costituisce un'alternativa estremamente promettente per la Rinascita Africana in attesa di un terreno di sperimentazione. È un indispensabile supplemento d'anima alla continuità panafricana, che unisca in un riferimento positivo tutti gli Africani e Afro-discendenti il cui destino solidare e comune può infine essere ri-affrontato, in una forma o un'altra, ma che usufruiscano di una vera base scientifica, psicologica, motivazionale.

Akam Akamayong

 

[Traduzione di Ario Libert]

 

LINK al post originale: 

 Cheik Anta Diop [1923-1986] Savant et Inventeur de la Nouvelle Histoire Universelle  

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26 novembre 2009 4 26 /11 /novembre /2009 08:00
La crisi iniziale di Nietzsche
Un nuovo chiarimento della questione "Nietzsche e Stirner"

di Bernd A. Laska




Nietzsche 1864

 

 

5.  La crisi iniziale di Nietzsche.

5.1  L'euforia berlinese.

Overbeck ha dato, al contrario di Elisabeth Förster-Nietzsche, una risposta diplomatica alla questione "Nietzsche e Stirner". Egli ammette la lettura di Stirner, ma non ne trae alcuna conclusione non più che per la sua "curiosa" dissimulazione. Questa risposta fu generalmente accettata quando la controversia ebbe termine, come parola definitiva sull'affare. Non ebbe conseguenza sull'interpretazione di Nietzsche ed uscì ben presto, con la questione stessa, dal campo visivo della maggior parte dei ricercatori. Alla stregua di Overbeck, degli specialisti successivi di Nietzsche, nella misura in cui essi tornarono ancora a parlare di Stirner, essi non hanno spiegato la relazione che Nietzsche aveva con lui, ma hanno considerato di aver trattato il soggetto dopo una breve esposizione storica -- rivelando inoltre in molti punti e con un tocco finale affrettato e brusco (cfr. sopra: Stirner = piccolo borghese) un'ambivalenza che essi non riescono a respingere del tutto [38]. Anche delle considerazioni più differenziate, come ad esempio quelle di Hermann Schmitz [39] classificano il soggetto senza conseguenza. Dopo di che si passa ogni volta, ed è precisamente quanto gli autori considerarti dalla recezione clandestina di Stirner (di cui lo stesso Nietzsche?) hanno fatto, all'aspetto mostruoso, barbaro, satanico, ecc. di L'Unico senza studiare in modo approfondito né respinto con degli argomenti, ma "superato" in modo indiretto.


Ridurre un'inezia o demonizzare, discutere senza avere la minima idea o non dire nulla perché si è pieni di presentimenti -- chiunque abbia familiarità con la storia della re(pulsione e de)cezione di »L'Unico« conosce tutto ciò a sufficienza e può dunque accontentarsi della risposta astutamente raffazzonata di Overbeck. Ci vede piuttosto un incitamento a proseguire le sue ricerche sulla questione "Nietzsche e Stirner" -- senz'altro non nella via presa senza successo sino ad ora che è consistita nel seguire le numerose tracce di »L'Unico« che si possono trovare, più o meno cancellate, nell'opera di Nietzsche. Anche se era possibile dimostrare in maniera plausibile che quest'ultimo ha plagiato alcune idee di Stirner, ciò non avrebbe in sé più alcuna importanza oggi. In compenso, importanti conseguenze potrebbero apparire, se fosse possibile fondare l'ipotesi secondo la quale il confronto con Stirner avrebbe scatenato presso Nietzsche la crisi intellettuale "iniziale" che ebbe come esito la sua nascita in quanto filosofo.


Bisogna porre anche per cominciare le due seguenti domande collegate: In quale momento Nietzsche ha veramente avuto conoscenza del libro di Stirner? E quali conseguenze immediate di questo incontro possiamo ricostruire in modo dimostrabile? Ci impegneremo ora ad esaminare queste domande lasciando da parte quella delle conseguenze successive.


Volendo giudicare dalle testimonianze di Ida Overbeck e di Adolf Baumgartner, l'incontro di Nietzcshe con »L'Unico« ebbe luogo prima del 1878, probabilmente prima del 1874. Si è ipotizzato molto spesso che era stato portato a leggerlo per i passaggi citati da Hartmann (1869) o Lange (1866). Tuttavia, un esame più minuzioso dell'opera, della corrispondenza e di altri materiali biografici porta a pensare che Nietzsche ne fosse già a conoscenza a quest'epoca e che si sforzava di conservare per se stesso questa scoperta. In più, dei paralleli con la recezione di Stirner da parte di differenti pensatori, da Marx ad Habermas in cui l'incontro ebbe luogo all'inizio della carriera filosofica e si accompagnò manifestamente con una crisi, orientano lo sguardo verso il mese d'ottobre 1865. La maggior parte dei biografi constatano una grave crisi a questa data, ma omettono di studiarla nei dettagli e la descrivono senza alcun spirito critico, basandosi su di un testo autobiografico [40]. Conviene osservare da più vicino. Che Nietzsche abbia allora scoperto »L'Unico« e che questo libro abbia scatenato la crisi -- questo dubbio può restare fondato?


Converrà dunque innanzitutto porre la seguente domanda; Nietzsche avrebbe scoperto eventualmente »L'Unico« prima del mese di ottobre 1865 -- forse durante l'anno che egli passò a Bonn? Théophile Droz (1844-1897), uno dei suoi compagni di studi durante questi due semestri, si ricorda che a quest'epoca il libro "malfamato" di Stirner circolava nell'ambiente studentesco [41]. Tuttavia, un incontro di »L'Unico« a questa data non poteva che essere superficiale. Nel caso contrario in effetti, la »Leben Jesu« (Vita di Gesù) di David Friedrich Strauss, che Nietzsche lesse durante le vacanze di Pasqua del 1865, non avrebbe potuto fare su di lui la potente impressione che gli diede la forza di affrontare la sua pia famiglia, di rinunciare alla teologia, ecc. Non esiste egualmente nessun indizio che permetta di dire che Nietzsche si sia occupato di Stirner per tutto il periodo che si estende sino al mese di settembre.


È vero che il giovane Nietzsche sembra essere stato affascinato dallo spirito dell'epoca che precedette la rivoluzione di marzo 1848, essa stessa condannata e resa in seguito tabù. Si era già interessato precedentemente a Feuerbach. Nel momento di cui ci stiamo occupando, nel settembre 1865, egli deplora in una lettera al suo amico Raimund Granier la senilità e il filisteismo della sua generazione e si entusiasma per quel "tempo in cui lo spirito era così attivo" venti anni or sono, un'epoca in cui avrebbe molto preferito vivere. Durante le vacanze universitarie, prima di passare da Bonn a Lipsia, raggiunge dapprima la sua famiglia, a Naumberg, ma si ripromette molto da un soggiorno di due settimane che egli deve compiere in quella del suo amico Hermann Mushacke, a Berlino: "La mia vita attuale, gli scrisse, è una preparazione a Berlino, così come la nostra esistenza terrena alla futura esistenza celeste, per il caffè, consumo un po' di filosofia hegeliana e, se ho cattivo appetito, prendo qualche pillola straussiana" [42].


Bisognerebbe ancora spiegare perché Nietzsche compiva così febbrilmente questa visita ai genitori di Hermann. Egli è ospite della famiglia Mushacke a Berlino dal 1° al 17 ottobre 1865. Non conosciamo che in modo frammentario cosa fece e come visse. È manifestamente troppo assorbito a scrivere a casa. Non è che qualche giorno dopo la sua partenza, il 22 ottobre, che egli racconta brevemente a sua madre, alla fine di una lettera inviata da Lipsia: "Ho avuto a Berlino una vita straordinariamente piena di amicizia e di piaceri. Il vecchio Mushacke è l'uomo più amabile che abbia mai incontrato. Ci diamo del tu". E, nella sua esuberanza, egli aggiunge: "Per il mio [21°] anniversario, abbiamo brindato alla vostra salute nello champagne [sic!]".


Le due settimane passate a Berlino avrebbero trasportato Nietzsche, dopo i tenebrosi addii di Bonn, in uno stato di euforia. La causa ne è manifestamente l'incontro, atteso in una grande e gioiosa esaltazione, con il padre di Hermann, Eduard Mushacke, un veterano dell'epoca antecedente marzo 1848, "in cui lo spirito era così attivo". Non poteva scrivere a sua madre, dopo lo shock di Pasqua, cosa significava per lui questo incontro. Lo scrisse nel suo diario -- che brucerà poco dopo, affinché nulla non gli rammenti questi giorni. È per questo che non possiamo ancora oggi ricostruire questo avvenimento.


A Lipsia, è ad ogni modo sempre trasportato all'inizio, dall'euforia berlinese. Subito dopo il suo arrivo, il 19 ottobre, egli scrive una lettera a Eduard Mushacke, il suo nuovo e "molto stimato" amico, a cui gli era permesso di dare del tu e al quale avrebbe preferito dire "mio padre". Dopo un passaggio in cui gli esprime i suoi "sentimenti di cordiale riconoscenza", egli passa al tono della conversazione per finire con queste parole che, colorate ora di leggerezza e di ironia nei suoi riguardi, sono ancora contrassegnate dall'esaltazione che aveva fatto nascere in lui l'incontro con Eduard Mushacke: "Cento anni fa, lo studente W. Goethe si iscrisse all'Università. Abbiamo la modesta speranza che, quando cento anni saranno di nuovo trascorsi, ci si ricorderà ancora della nostra iscrizione". Si direbbe che Nietzsche abbia riportato da Berlino qualche ambizioso progetto, al quale E. Mushacke lo avrebbe senz'altro spinto, perché prosegue: "Non sarebbe magnifico che il tuo nome fosse così immortalato." Cosa che non era semplicemente uno scherzo e il giovane entusiasta non pensava certo alla filologia tra le cui reti egli sarebbe andava presto a gettarsi.


5.2  La depressione di Lipsia.

L'effetto euforizzante delle due settimane berlinesi, la cui causa resta da scoprire, fu di breve durata. Il 20 ottobre, Nietzsche, ancora di buon umore, porta ad esecuzione un proposito che auspicava da mesi: abbandonare la Franconia, l'associazione di studenti di cui era membro. Poco dopo tuttavia, energia e entusiasmo scomparvero completamente ed egli ricadde di colpo in una profonda depressione.


Non si hanno testimonianze autentiche su questa crisi, sotto forme di lettere o di diari intimi. Non ci è pervenuto che un testo autobiografico intitolato Rückblick auf meine zwei Leipziger Jahre, 17. Oktober 1865 bis 10. August 1867 (Sguardo retrospettivo sui miei due anni a Lipsia, dal 17 ottobre 1865 al 10 agosto 1867). Nietzsche vi descrive dapprima le due settimane passate a Berlino prima del 1° ottobre, e ciò con tonalità che non corrispondono affatto a quelle delle rare testimonianze autentiche. Secondo questo testo, queste giornate sarebbero state incontestabilmente oscure. Sarebbe stato di cattivo umore al suo arrivo, e "i nostri colloqui nutrono anch'essi la nostra amarezza. Furono i sarcasmi dell'eccellente Mushacke (senior), le sue concezioni sull'amministrazione universitaria, la sua collera contro la 'Berlino ebraica', i suoi ricordi dei tempi dei Giovani hegeliani -- in breve tutto il clima pessimistico caratteristico di un uomo che ha guardato molto dietro le quinte, che apportarono nuovi alimenti al mio stato d'animo. Appresi allora a vedere nero con piacere...".


Nietzsche descrive in seguito come, alla fine del mese di ottobre 1865, egli scopra Schopenhauer e la filosofia: "Ero allora precisamente sospeso tra cielo e terra, con alcune esperienze e delusioni dolorose, solitario e senza alcun aiuto, senza principi, senza speranza e senza ricordo amabile". Ed è puramente per caso, prosegue, che si è allora imbattuto, presso un libraio di libri di occasione, sul capolavoro di Schopenhauer. Uno spirito maligno gli sussurrò che doveva acquistare il libro di questo "tenebroso genio", che gli era stato sino allora "totalmente sconosciuto". Schopenhauer lo aveva immediatamente afferrato e spinto a consegnarsi a degli esercizi pieni "di un oscuro disprezzo di sé". E a degli eccessi di "disgregazione" e di odio di se stessi: "I tormenti corporali essi stessi non mancarono. È così che mi obbligavo per quindici giorni a non andare a letto che alle due del mattino per svegliarmi alle sei esatte". Si vide in pericolo di perdere la ragione: "Una eccitazione nervosa si impadronì di me e chissà sino a qual grado di pazzia sarei giunto..." queste mortificazioni, la severa costrizione agli studi regolari e le idee di Schopenhauer lo aiutarono finalmente ad affrancarsi da questa terribile situazione. Le settimane ed i mesi seguenti lo videro "nascere alla filologia" [43]. A dir il vero, egli divenne piuttosto filologo sotto la pressione della sua abilità interiore ed i fattori esterni -- ciò che nacque allora in lui, fu un filosofo appassionato.


Come accade spesso in Nietzsche, questa narrazione è un intreccio di verità e di finzione, di sincerità e di gioco di maschere. È scritto con la sicurezza che dà il distacco, dopo una stabilizzazione personale in una cerchia di ammiratori di Schopenhauer e di amici dell'associazione dei filologi. Nietzsche non per questo non lo volle più tardi bruciare, cosa che sua sorella riuscì ad impedirgli di fare [44]. È tuttavia noto che egli consegnò alle fiamme i "diari pieni di inquietudine e di malinconia di quest'epoca" -- ottobre e novembre 1865 --, nel corso della quale egli aveva temuto di sprofondare nella follia. Avrebbe forse dato delle indicazioni su quanto teneva in silenzio nel suo rapporto ulteriore camuffandolo didietro la comunicazione apparente e l'elenco di qualche dettaglio spiacevole per la sua persona -- e cioè ciò che ha veramente scatenato questo affondamento psichico, sprofondandolo forse in uno stato molto vicino alla vera psicosi, la causa profonda della sua prima grande crisi esistenziale, che fu allo stesso tempo la crisi iniziale del filosofo Nietzsche.


Ci si può aspettare che questo chiarimento di questa crisi iniziale sia suscettibile di fare progredire una interpretazione "adeguata di Nietzsche" (Hermann Josef Schmidt) della sua opera e di fornire un orientamento nel "labirinto della sua malattia" (Pia Daniela Volz). Nessuno di coloro che conoscono nel dettaglio le reazioni -- che non abbiamo fatto altro che rievocare precedentemente -- di numerosi pensatori nei confronti di Stirner sarà né colpito né reso perplesso dal termine "demone" -- "emissario della sfera in cui Nietzsche doveva penetrare venti anni più tardi" (Curt Paul Janz), [45], alla lettura di una nota erratica di Nietzsche datante di quest'epoca: "Ciò che temo, non è lo l'esecrabile personaggio dietro la mia sedia, ma la sua voce; non le parole, ma il tono spaventosamente inarticolato ed inumano del personaggio. Sì, se soltanto parlasse come parlano tutti gli uomini!" [46].


Tutti i biografi di Nietzsche da me conosciuti non hanno in nessun caso e stranamente considerato come un problema lo stato di afflizione in cui Nietzsche si trovava allora, se mai lo hanno addirittura notato. Questa prima quindicina del mese di ottobre 1865 è rimasta una pagina bianca. Si è visto e si vede ancora nella crisi della fine del mese la ripercussione dei problemi che aveva conosciuto durante i due semestri a Bonn, della perdita della fede e della decisione che egli prese allora e che andava contro alle aspettative della sua famiglia, di non studiare assolutamente teologia. Werner Ross stesso, che guarda con occhio scettico la "formidabile drammatizzazione" che fa Nietzsche della sua esperienza di resurrezione schopenhaueriana [47], non elabora alcun dubbio e non cerca più lontano. Come i biografi di Nietzsche fanno in genere, non presta attenzione né all'etichetta "giovane hegeliano" né alla relazione con Eduard Mushacke, relazione che fu di una singolare intensità e che conobbe una fine brusca.

5.3  Eduard Mushacke?

Un esame scrupoloso e empatico del materiale biografico esistente mostra in numerosi punti che conviene cercare la causa immediata della crisi iniziale del filosofo Nietzsche nel soggiorno che egli fece a Berlino nella prima quindicina del mese di ottobre 1865 o più esattamente nel suo incontro con Eduard Mushacke. Chi era dunque questo personaggio? Eduard Mushacke è una figura a cui la ricerca nietzschiana non ha sinora prestato alcuna attenzione. Non è menzionato che eccezionalmente negli indici dei libri e riviste consacrate al filosofo. Janz lo chiamava erroneamente "Eberhard". La nuova Cronaca nietzschiana del Giubileo (853 pp., edizioni dtv, 2000) ignora anche le date della sua nascita e della sua morte e i dizionari biografici non lo menzionano. Janz, seguendo in ciò un'indicazione di Nietzsche, fa di lui un professore, cosa che è senz'altro esatta, ma non quadra del tutto con l'entusiasmo suscitato dalla sua personalità presso il giovane, che si liberava allora da tutto ciò che lo aveva legato sino ad allora.


Stirner--by-Engels--1892.jpgL'ignoranza continua di Mushacke nella ricerca nietzschiana è in rapporto con l'ignoranza generale di Stirner così come l'abbiamo descritta. È occupandomi di quest'ultimo che ho trovato nella biografia che gli ha consacrato J. H. Mackay, una pista che conduce a Mushacke. Vi si tratta in effetti brevemente per due volte di un professore di scuola normale dal nome di Mussak, che, membro del "circolo intimo" dei giovani hegeliani berlinesi, era un "buon amico" di Stirner [48]. Mackay aveva questa informazione da un garante di un altro membro di questo circolo, e cioè Friedrich Engels.  Questo "Mussak" senza nome era lo stesso personaggio di Eduard Mushacke? Delle ricerche effettuate negli annuari e le liste nominative hanno permesso di concludere per cominciare che questo nome -- Mussak -- non esisteva a quest'epoca nella regione berlinese. Altre ricerche negli archivi apportarono finalmente la certezza che Engels aveva scritto il nome in modo fonetico. In fin dei conti fu possibile assicurarsi, sulla base di numerosi documenti, che l'amico di Stirner citato da Engels era proprio il professor dottor E. Mushacke (1812-1873). Risultato che doveva confermare un'altra ricerca, fatta per caso quasi simultaneamente, ma indipendentemente da me, e non avente Nietzsche per oggetto [49].


Si può dedurre egualmente senza grande fatica ciò che l'incontro con E. Mushacke dovette significare per Nietzsche da qualche testimonianza che è giunta a noi. Nella sua lettera a Granier del mese di settembre 1865 citata in precedenza, Nietzsche, che era da poco sfuggito alla "solitudine evidente, a questa pienezza vuota, a questa senile giovinezza" dei suoi amici di studi di Bonn, si lamentava ancora in questi termini: "Gli uomini che si possono amare e stimare, più ancora gli uomini che ci capiscono, sono incredibilmente rari, ma è colpa nostra, siamo venuti al mondo venti o trenta anni troppo tardi...". Aveva gioito a lungo nell'incontrare un uomo che era stato giovane al tempo di questo "Giovane hegelismo" condannato, cioè reso tabù dal 1850 -- un tempo che egli ammirava per la "vivacità tutta particolare del suo spirito". Si era preparato a questo in contro attraverso le sue letture a Naumberg, durante le vacanze. Ed è con E. Mushacke, un veterano di quell'epoca, che fece rapidamente amicizia con questo giovane partito all'assalto del cielo e gli propose di darsi del tu, con cui trascorse in seguito due settimane.


Non è affatto pensabile che Mushacke non abbia parlato ad un Nietzsche allo stesso tempo interessato e competente del suo amico Stirner, che non abbia avuto »L'Unico« nella sua biblioteca e che Nietzsche non abbia divorato lì quest'opera. Poté leggervi, allorché vi si recava, grazie alla critica della religione di Feuerbach e di Strauss e forse anche alla critica dei Vangeli di Bauer, come, perché e in che senso questi atei siano ancora delle "persone pie". Poté leggervi che Dio era morto, di immoralismo, di nichilismo, ecc. Vide come qualcuno si era posto "al di là del Bene e del Male" e aveva "filosofato con il martello" -- tutto ciò, era, per un essere altamente sensibile come Nietzsche una sovraddosaggio intellettuale appena assimilabile. All'ebbrezza mentale che essa suscitò in lui seguì un vero affondamento, l'autoterapia, la crisi iniziale, la fuga nella filosofia di Schopenhauer da una parte e, dall'altra, nella "insensibile stupida ... dovuta al mio lavoro di boscaiolo filologo" [50]. Anche se Nietzsche non ha più parlato in seguito di questa "epoca un tempo ammirata di attività dello spirito", non ne ha non di meno realizzato il grande progetto evocato, in modo ancora euforico, nella sua lettera del 19 ottobre a E. Mushacke -- a dir il vero in modo inverso. Non ha continuato la filosofia dei Lumi atea e radicale preparata dai Giovani hegeliani ed iniziata da Stirner -- egli l'ha "superata" [51].


Dopo la sua doppia fuga, Nietzsche interruppe la relazione stabilita nell'esuberanza con Eduard Mushacke, in modo certo brusco ma non spettacolare. Non gli scrisse più, pregando suo figlio Hermann, nelle lettere che gli inviò occasionalmente, di salutarlo con la stessa formula di un tempo, prima della loro fraternizzazione e come se non si fossero mai conosciuti: "Porgi la mia stima ai tuoi genitori" oppure: "Salutami i tuoi cari genitori!" Non si è più recato a fargli visita, per quanto se ne sappia, durante i suoi rari viaggi successivi a Berlino. Da parte sua, il veterano Giovane hegeliano, che aveva intrapreso, dopo i suoi anni folli, la carriera nell'insegnamento di Stato, non se la sarà presa per questo con Nietzsche. E Mushacke Junior, che Nietzsche qualifica come "uomo amabile", non sembra secondo ogni evidenza nemmeno aver notato qualcosa della grande crisi che fu forse il cambiamento di strada più importante nella carriera del suo compagno di studi.


6.  Epilogo.

408px-Nietzsche_Olde_02.JPGLa risposta apportata sotto forma concisa alla questione "Nietzsche e Stirner", che non ha sino ad oggi ricevuto risposta, si fonda sulla scoperta che Eduard Mushacke, il padre di Hermann Mushacke, compagno di studi di Nietzsche a Bonn, era un amico personale di Max Stirner, l'autore del libro "malfamato" (F. A. Lange) »Der Einzige und sein Eigentum« (»L'Unico e la sua proprietà«). Consiste nell'ipotesi facilmente concepibile secondo cui il giovane Nietzsche, che mostrava un vivo interesse per la filosofia critica della religione dell'epoca che precedente alla rivoluzione di marzo 1848 e riprovata dopo di essa, sarebbe stato confrontato durante il suo soggiorno di due settimane presso Mushacke, nell'ottobre 1865, con l'opera di Stirner. Secondo essa, inoltre, questa esperienza vissuta avrebbe sprofondato Nietzsche in una grave crisi esistenziale psicospirituale, nel corso della quale si decise la sua vocazione di filosofo. Questa ipotesi di una crisi iniziale del filosofo deve la sua plausibilità in primo luogo alle testimonianze biografiche di Nietzsche (egualmente sotto la forma "negativa" delle tracce obliterate di Stirner nelle opere di Nietzsche e nei suoi resti letterari); in secondo luogo all'analisi dello svolgimento successivo della storia delle idee (trattamento della questione "Nietzsche e Stirner", reazioni a Stirner di altri pensatori importanti).


Si può senz'altro prendere atto dell'identificazione di E. Mushacke come amico di Stirner come di un dettaglio secondario, qualificare tutte le conseguenze che ne sono dedotte di speculazioni e rifiutarle. Il valore euristico della mia ricostruzione, la nuova prospettiva che esso apre sull'opera di Nietzsche, sulla sua vita ed eventualmente sulla sua crisi finale, non può essere riconosciuta che da coloro che avranno respinto dal loro campo visuale due ostacoli notevoli: il disprezzo convenzionale di Stirner e l'ignoranza della storia, ampiamente clandestina, della re(pulsione e de)cezione del suo L'Unico -- una storia che smentisce questo disprezzo in modo singolare [52].

 

 

 

 

BERND LASKA

 

 

 

[Traduzione di Ario Libert]




NOTE

[1] Friedrich Nietzsche: Aus dem Nachlass 1884-85, Fragment Nr. 34 [232], April-Juni 1885. In ders.: Sämtliche Werke (Opere complete), KSA (Hg. Colli/Montinari), volume 11, p. 498.

[2] Citiamo, tra le opere recenti:
Pia Daniela Volz: Nietzsche im Labyrinth seiner Krankheit. Würzburg: Königshausen & Neumann 1990;
Richard Schain: The Legend of Nietzsche's Syphilis. Westport CT (USA): Greenwood Press 2001 (Contributions in Medical Studies, Number 46); Mentre Volz fa propria nel suo libro, prezioso soprattutto come compilazione di tutti i documenti importanti, l'opinione resa celebre da Möbius (1902), secondo cui il crollo di Nietzsche avrebbe avuto cause esogene (sifilide allo stadio terziario, paralisi progressiva); il neurologo e psichiatra Schain, esaminando da un punto di vista critico la letteratura esistente sul soggetto, considera, come il suo collega Louis Corman (Nietzsche, Psychologue des Profondeurs, Parigi: Presses Universitaires 1982), questa diagnosi "insostenibile" e perora a favore di cause endogene.

[3] Si è studiato e si studia ancora l'evoluzione di Nietzsche nel corso della sua infanzia e della sua adolescenza sin nei minimi dettagli. Così, negli ultimi anni, Hermann Josef Schmidt, professore di filosofia all'università di Dortmund, ha tentato in un modo del tutto particolare, in quattro volumi di 2500 (!) pagine, di scoprire il Nietzsche manifestamente ancora e sempre "nascosto" (dopo un secolo di ricerche nietzscheane): Nietzsche absconditus, oder: Spurenlesen bei Nietzsche, 4 volumi, Aschaffenburg: IBDK 1991-1994. Tuttavia, Schmidt si arresta precisamente al 1864, dunque poco prima della crisi iniziale di Nietzsche e scruta da allora, con la sua meticolosità abituale, la possibile relazione di Nietzsche con il poeta Ernst Ortlepp (Der alte Ortlepp war's wohl doch, oder: für mehr Mut, Kompetenz und Redlichkeit in der Nietzsche interpretation, Aschaffenburg: Alibri 2001, 440 pp.). Il fatto che Schmidt limiti le sue ricerche agli anni anteriori al 1864 è tanto più notevole in quanto ho presentato, il 5 luglio 1991, agli "Erstes Dortmunder Nietzsche-Kolloquium", organizzato da lui, la mia scoperta biografica a proposito della crisi iniziale di Nietzsche dell'ottobre 1865.

[4] Friedrich Nietzsche: Rückblick auf meine zwei Leipziger Jahre (17. Oktober 1865 bis 10. August 1867). In: Ders.: Werke in drei Bänden, hg. v. Karl Schlechta, München: Hanser 1954, terzo volume, pp. 127-148.

[5] Alois Riehl: Friedrich Nietzsche -- der Künstler und der Denker. Stuttgart: Frommann 1897, p. 81.

[6] Henning Ottmann: Philosophie und Politik bei Nietzsche. Berlin: Walter de Gruyter 1982, p. 309.

[7] Rüdiger Safranski: Nietzsche. Biographie seines Denkens. München: Hanser 2000. p. 122-129. (Edizione italiana: Nietzsche. Biografia di un pensiero, Longanesi: Milano 2001). Sul motivo del capitolo consacrato a Stirner nel libro di Safranski vedere
Bernd A. Laska: Den Bann brechen! -- Max Stirner redivivus. Teil 2: Über Nietzsche und die Nietzscheforschung. In: Der Einzige. Vierteljahresschrift des Max-Stirner-Archivs Leipzig, Nr. 4 (12), 3. Novembre 2000, pp. 17-23.

[8] Curt Paul Janz: Friedrich Nietzsche. Biographie in drei Bänden, München: Carl Hanser, 1978-1979. (Edizione italiana: Vita di Nietzsche, 3 volumi, Bari: Laterza 1980-1982. 1. Il profeta della tragedia, 1844-1879; 2. Il filosofo della solitudine, 1879-1889; 3. Il genio della catastrofe, 1889-1900) .

[9] Sono apparsi, già nel terzo tomo (pp. 443-446) dei "Supplementi e correzioni" ai tomi 1 e 2. Per la seconda edizione presso Hanser, vi furono altre correzioni e complementi, perché, come Janz ha scritto in un articolo apparso separatamente ed intitolato »Supplementi alla biografia di Nietzsche« (in: Nietzsche Studien, 18, 1989, pp. 426-431), il pubblico avendo mostrato un grande interesse per la sua opera, numerosi "testi provenienti da collezioni particolari ordinariamente poco accessibili o congetturali" sono stati messi a sua disposizione. Diverse edizioni dell'opera sono apparse dal 1981 ad oggi presso "dtv" e, in ultimo luogo, nel 1999 presso le edizioni "Zweitausendeins". 

[10] Ritroviamo ancora questi errori nell'ultima edizione, una volta di più completata, apparsa presso "Zweitausendeins". Per quel che concerne le correzioni di questa edizione e delle precedenti, cfr. il breve resoconto di Richard F. Krummel in Germanic Notes and Reviews, 32,2 (Fall / Herbst 2001), p. 200.

[11] Ludwig Klages: Die psychologischen Errungenschaften Nietzsches. 3. Auflage 1925. Bonn: Bouvier 1958, pp. 58-61.

[12] Le due citazioni da: Bernd A. Laska: Ein dauerhafter Dissident. 150 Jahre Stirners »Einziger«. Eine kurze Wirkungsgeschichte. Nürnberg: LSR-Verlag 1996 (»Stirner-Studien«, Band 2), pp. 88 e seg.

[13] Roberto Calasso: Der Untergang von Kasch. (Prima edizione italiana: La rovina di Kasch, Milano: Adelphi 1983, pp. 329-331). Bisognerebbe ancora citare Ronald Paterson, autore della prima -- e sino ad oggi ultima -- monografia su Stirner nello spazio culturale anglosassone (1971), che approda egualmente alla conclusione seguente: "Una società, in cui l'indifferentismo egocentrico diventasse il comportamento generale, sarebbe una società ai limiti della disintegrazione". Cfr. Paterson, Ronald W. K., The Nihilistic Egoist Max Stirner, London: Oxford University Press,1971, p. 316.

[14] Husserl-Archief te Leuven (Archivio Husserl di Lovanio), Manuscript F I 28, S. 118.

[15] Cfr. Bernd A. Laska: "Katechon" und "Anarch". Die Reaktionen Carl Schmitts und Ernst Jüngers auf Max Stirner, Nürnberg: LSR-Verlag 1997 (»Stirner-Studien«, Band 3).

[16] Citato in: Hans G. Helms: Die Ideologie der anonymen Gesellschaft. Köln: Du Mont Schauberg 1966, p. 200.

[17] Karl Joël, Wandlungen der Weltanschauung. Eine Philosophiegeschichte als Geschichtsphilosophie, 2 Bände. Tübingen: J.C.B. Mohr 1928/34, S.II/636, 648f; Joël fu d'altronde coinvolto nella querela privata intorno alla questione "Nietzsche e Stirner", tra "Weimar" e "Basilea" (Elisabeth Förster-Nietzsche e Franz Overbeck) è dunque del tutto a conoscenza dei suoi retroscena.

[18] Bernd A. Laska: Den Bann brechen! -- Max Stirner redivivus. Teil 1: Über Marx und die Marxforschung. In: Der Einzige. Vierteljahresschrift des Max-Stirner-Archivs Leipzig, Nr. 3 (11), 3. August 2000, pp. 17-24; Cfr. anche Teil 2: Nietzsche und die Nietzscheforschung. In: idem, Nr. 4 (12), 3. November 2000, pp. 17-23.

[19] Sulla storia dell'influenza: Laska: Dissident, loc. cit. (n. 12); Habermas cominciò la sua carriera filosofica con una condanna furiosa -- e non meritevole di essere letta -- intitolata Absurdität der Stirner'schen Raserei, (Assurdità della follia furiosa stirneriana), Das Absolute und die Geschichte, Dissertazione (tesi), Bonn, 1954, pp. 16-34. Fece sempre in seguito, anche in lavori sui giovani hegeliani, una grande deviazione intorno a Stirner, arrivando anche a escluderlo da enumerazioni come "Feuerbach, Ruge, Marx, Bauer e Kierkegaard". (Habermas, Jürgen: Drei Perspektiven -- Linkshegelianer, Rechtshegelianer und Nietzsche. In: Der philosophische Diskurs der Moderne, Frankfurt/M: Suhrkamp, 1985, pp. 65-103. Tr.it.: Il discorso filosofico della modernità: dodici lezioni, Bari: Laterza 1987), attestando così un'intuizione, che lo faceva collocare nel quadro della recezione clandestina di Stirner.

[20] Si trova presso numerosi autori allusioni ad un'importanza potenziale di Stirner nella storia delle idee ed allo stesso tempo alla questione "Nietzsche e Stirner", spesso soltanto tra le righe. Rifiutando tuttavia di esaminare la cosa a fondo, si sono tutt'al più sino ad oggi raccolte delle diffamazioni ("mentalità piccolo-borghese"), delle condanne ("religione satanica") o ancora un mormorio chiacchierio di visioni apocalittiche (cfr. sopra), tanti atteggiamenti da cui è evidenziabile il carattere accessorio e dall'aspetto forzato.

[21] Cfr. Laska: Dissident, loc. cit. (n. 12), pp. 23 e seg.

[22] Cfr. Laska: Bann, Teil 1, loc. cit. (n. 18).

[23] Eduard von Hartmann: Philosophie des Unbewussten (Filosofia dell'inconscio), 1869, 12. Aufl. Leipzig: Alfred Kröner 1923, p. 373.

[24] Friedrich Albert Lange: Geschichte des Materialismus (Storia del materialismo), 1866. Nachdruck Frankfurt: Suhrkamp 1974 (stw, Doppelband 70), pp. 528 e seg.

[25] Robert Otto Anhuth: Das wahnsinnige Bewusstsein und die unbewusste Vorstellung. Ein Ant(h)elogikon der Hartmann'schen Philosophie. Halle: Fricke 1877, p. 52.

[26] Cfr. Laska: Dissident, loc. cit. (n. 12); Laska, Bann, Teil 1, loc. cit. (n. 18) .

[27] Per alcuni, Stirner è diventato un idolo. È così che John Henry Mackay, suo futuro biografo, rapresentò in suo nome un ultra-liberalismo di provenienza nord americana battezzato "anarchismo individualista", diretto contro l'anarchismo collectivista costruito a partire da Proudhon, Bakunin e Kropotkin.

[28] Lettera di Heinrich Hengster, 24 giugno 1889, citata da Janz: Nietzsche, loc. cit., III vol., p. 336 

[29] Eduard von Hartmann: Nietzsches "neue Moral". In: Preussische Jahrbücher, 67. Jg., Heft 5, Mai 1891, pp. 501-521; Versione aumentata, con un'accusa di plagio più formale, in: Ethische Studien. Leipzig: Haacke 1898, pp. 34-69.

[30] Wolfert von Rahden: Eduard von Hartmann "und" Nietzsche. Zur Strategie der verzögerten Konterkritik Hartmanns an Nietzsche. In: Nietzsche-Studien, 13 (1984), pp. 481-502. Rahden è il solo autore, nei trenta anni di esistenza dei "Nietzsche-Studien", ad affrontare brevemente la questione "Nietzsche e Stirner" -- in una lunga nota a pie' di pagina, p. 492.

[31] Su Lauterbach cfr. Bernd A. Laska: Ein heimlicher Hit. 150 Jahre Stirners "Einziger". Eine kurze Editionsgeschichte. Nürnberg: LSR-Verlag 1994 (S. 18-28). La prefazione de Lauterbach a tutte le edizioni Reclam di »L'Unico«, dal 1893 al 1924. Apparirà senz'altro strano che sia proprio un avversario di Stirner ad essere stato la forza motrice concreta alla sua riscoperta. Tuttavia, quel che è stata chiamata la "seconda rinascita di Stirner" a partire della metà del 1960 -- dopo che Stirner era di nuovo caduto in oblio per quasi mezzo secolo -- subì la stessa oscillazione secondo lo stesso modello. Colui che vi svolge il ruolo di trionfatore sul "pericoloso" Stirner non fu questa volta Nietzsche, ma Karl Marx (vedere Laska, op. cit.). 

[32] Friedrich Heman: Der Philosoph des Anarchismus und Nihilismus. In: Der Türmer, 9. Jg., Band I, Okt. 1906, S. 67-74.

[33] Franz Overbeck: Erinnerungen an Friedrich Nietzsche. In: Neue Rundschau, Feb. 1906, pp. 209-231 (227-228); citato in Carl Albrecht Bernoulli: Franz Overbeck und Friedrich Nietzsche -- eine Freundschaft. 2 volumi, Jena: Eugen Diederichs 1908, pp. I/238 e seg.

[34] Vedere Janz: Nietzsche, op. cit., p. I/646.

[35] Vedere il rapporto di Resa von Schirnhofer sur l'"interrogatorio", in Janz: Nietzsche, op. cit., p. III/212. In una lettera a Karl Joël del 12 maggio 1899, Elisabeth Förster-Nietzsche afferma di avere in suo possesso delle dichiarazioni in questo stesso senso di Rohde, Gersdorff, Seydlitz et Köselitz-Gast (Nietzsche-Archiv, Weimar).

[36] Mazzino Montinari: Friedrich Nietzsche. Eine Einführung. Berlin: Walter De Gruyter 1991, p. 135 (edizione originale italiana 1975).

[37] Citato in Bernoulli: Overbeck..., op. cit. (n. 33), p. I/136 e seg. 

[38] Cfr. Ottmann: Philosophie..., op. cit., p. 309; Safranski: Nietzsche, op. cit., p. 129.

[39] Hermann Schmitz: Philosophie als Selbstdarstellung. Bonn: Bouvier 1995, pp. 83-89).

[40] Bisogna ora attirare l'attenzione su un parallelo notevole con la ricerca su Marx. Benché, nel caso di quest'ultimo e contrariamente a quello di Nietzsche, l'incontro con »L'Unico« di Stirner è attestato dalla scoperta nelle opere postume dell'enorme manoscritto intitolato San Max, i ricercatori marxiani di ogni tendenza furono portati -- tranne rare eccezioni -- a fare sparire questa circostanza dalla biografia e dalla storia dell'evoluzione teorica di Marx. Fatto a malapena credibile, ma vero. (Cfr. Laska: Bann... Teil1, loc. cit. (n. 18).

[41] Théophile Droz: La revanche de l'individu -- Frédéric Nietzsche (La rivincita dell'individuo -- Frédéric Nietzsche). In: La Semaine Littéraire (Genève), Année 1894, No. 44, 3 novembre 1894, pp. 517-520; traduzione tedesca partielle in: Zürcher Post, 7. Novembre 1900. 

[42] Lettera di Friedrich Nietzsche a Hermann Mushacke du 20 septembre 1865.
Nietzsche stava leggendo il libro di Strauss »Die Halben und die Ganzen« (Le metà e gli interi), appena apparso. Quando parla di filosofia hegeliana non pensa probabilmente ai testi di Hegel o degli hegeliani ortodossi, ma dei giovani hegeliani. 

[43] Friedrich Nietzsche: Werke in drei Bänden (Opere in tre volumi), Hg. Karl Schlechta. München: Hanser 1954, volume 3, pp. 133.

[44] Elisabeth Förster-Nietzsche: Der junge Nietzsche, (Il giovane Nietzsche), Leipzig: Alfred Kröner 1912, p. 171 

[45] Janz: Nietzsche, op. cit., vol. I, pp. 265-267.

[46] Nietzsche: Werke (ed. Schlechta), op. cit., Tomo III, p. 148.

[47] Werner Ross: Der ängstliche Adler. Stuttgart: DVA 1980, p. 158.

[48]  John Henry Mackay, Max Stirner. Sein Leben und sein Werk, (Max Stirner, la sua vita e la sua opera), Berlin-Charlottenburg, Selbstverlag, 1914, p. 90.

[49]  Manfred Kliem: Wer war der im Engels-Brief vom 22. Oktober 1889 genannte, bisher nicht identifizierte Junghegelianer "Mussak"? In: Beiträge zur Marx-Engels-Forschung, Band 29, Berlin 1990, pp. 176-185.

[50]  Lettera di Friedrich Nietzsche a Hermann Mushacke del 14 marzo 1866.

[51]  Parto dall'ipotesi che Nietzsche ha nutrito per un breve arco di tempo l'idea di rianimare e di sviluppare la filosofia dei Lumi radicale di Stirner. Tuttavia, la sua opera filosofica, benché vi si possano trovare numerose tracce di questo autore, mirava a "superarlo " soffocandolo ed è così nell'ottica di questa funzione che egli la concepì molto spesso (cfr. la ricezione clandestina di Stirner evocata all'inizio). È egualmente nell'ottica di questa funzione che si può vedere un netto parallelo con l'evoluzione di Marx, cfr. Laska, Bann, Teil 1: Marx und Marxforschung; op. cit. (n. 18), Teil 2: Nietzsche un d Nietzscheforschung, op. cit. (n. 18).

[52] Troviamo dopo il 1972 »Der Einzige« di Stirner nella Universalbibliothek nelle edizioni Reclam (e dopo il 1977 L'Unique presso le edizioni L'Age d'Homme, Losanna). [Per l'Italia abbiamo una strana situazione invece, a partire dagli anni 70 abbiamo una nutrita serie di riedizioni di »L'Unico« ad opera di editori minuscoli ma anche grandi: Ennesse, Roma, 1970; Assandri, Torino, 197?; LG, Roma, 1972; Vulcano, Treviolo, 1977; Adelphi, Milano, 1979; Patron, Bologna, 1982; Anarchismo, Catania, 1987; Mursia, Milano, 1990; Demetra, Verona, 1996; N.d.T.]. Sulla ricezione vedere i tre »Stirner-Studien« (in tedesco) apparsi sino ad oggi: Laska: Hit, op. cit. (n. 31); Laska: Dissident, op. cit. (n. 12); Laska: Katechon, op. cit. (n. 15), così come i miei lavori, accessibili nel modo più semplice in: http://www.lsr-projekt.de/poly/itms.html, ma sono stati per la maggior parte stampati.



LINK al post originale:

Nietzsches initiale Krise


Link interni al presente blog:

Paul Chauvet, Max Stirner o l'estrema libertà

Bernd Laska, Max Stirner- ancora e sempre un dissidente

Bernd Laska, Il "Proprietario" di Max Stirner



Titolo originale tedesco: Nietzsche initiale Krise
Apparso in tedesco in: Germanic Notes and Reviews, vol. 33, n. 2, fall/Herbst 2002, pp. 109-133

Tradotto dal tedesco in francese da Pierre Gallissaires
Tradotto dal francese da Ario Libert.

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26 novembre 2009 4 26 /11 /novembre /2009 07:00
Stirner, by Engels, 1892Presentiamo uno studio estremamente interessante quanto importante in relazione al pensiero di Max Stirner e della sua influenza sulla formazione e sviluppo teorico di una delle figure centrali della modernità filosofica, addirittura di uno dei cosiddetti "maestri del sospetto": Friedrich Nietzsche.

Autore del saggio un ricercatore innovativo e critico, Bernd A. Laska, autore del sito multilingue  "LSR Projekt", a cui volentieri rimandiamo. Con il suo scritto Bernd Laska intende riallacciarsi, per quanto riguarda i rapporti di influenza teorica delle concezioni di Stirner nei confronti di Nietzsche,  ad un filone minoritario e sommerso per non dire perseguitato con la denigrazione o più praticamente con la classica e più semplice congiura del silenzio, risalente a poco più di un secolo fa e che allora si concretizzò con esigenze di chiarificazione tra i discepoli di Nietzsche e, alcuni decenni dopo, con la comparsa di alcuni studi sulla questione finché alla fine a prevalere furono l'ideologia del culto di un grande maestro (Nietzsche) piuttosto che la verità, e cioè, che Nietzsche conobbe L'unico  di Stirner e ne fu profondamente influenzato tanto da trasfondere tematiche tipicamente stirneriane nelle sue opere.

nietzsche_fondo-magazine.jpgStiamo non soltanto parlando di un plagio vero e proprio, quanto, a causa dell'atteggiamento degli epigoni nietzscheani, di un occultamento di una fondamentale fonte del pensiero di Nietzsche in grado di spiegarne anche gli aspetti originali ed insoliti pur se filtrati ovviamente dalla personalità e dalle esperienze peculiari del loro autore.

Bernd Laska è anche e soprattutto attento in questo suo saggio straordinario a documentare una serie di nomi eccellenti che hanno contribuito nel corso del tempo a far persistere la presunta marginalità della riflessione stirnerina a cominciare da Marx ed Engels  (e di cui presto forniremo traduzione di un suo scritto al riguardo) e molti altri ancora nel corso del Novecento.

Al di là degli argomenti esposti nel presente saggio, lo stesso dimostra inoltre oggettivamante come operino, anche transgenerazionalmente, i sacerdoti del sapere istituzionale nella ricerca della "verità" e dell'avanzamento della conoscenza, soprattutto il loro altissimo grado di oggettività e di onestà intellettuale...

 


La crisi iniziale di Nietzsche
Un nuovo chiarimento della questione "Nietzsche e Stirner"

Di Bernd A. Laska




Nietzsche 1864
Friedrich Nietzsche, 1864.

Da giovane ho incontrato una pericolosa divinità e non vorrei raccontare a nessuno ciò che allora ho provato -- tanto di buono quanto di cattivo. Così ho imparato a tacere, come pure che bisogna imparare a parlare, per ben tacere, che un uomo che vuole tenersi nell'ombra ha bisogno di mettersi in vista, sia per gli altri, sia per se stesso e per rendere possibile agli altri di vivere con noi.
          Friedrich Nietzsche 1885 [1]




1. Introduzione e visione d'insieme.

ratner_fig04b.jpgLa vita di Nietzsche in quanto filosofo è terminata, come la maggior parte del pubblico sa, con un crollo spettacolare a Torino, all'inizio dell'anno 1889. Questa crisi finale, attraverso cui Nietzsche si ritirerà per sempre dal mondo sul piano dello spirito, è stato oggetto di numerose analisi molto approfondite, che non hanno apportato al problema né chiarezza decisiva né una conclusione definitiva [2].Allo stesso modo, l'inizio della carriera del filosofo fu segnata da una crisi esistenziale grave, benché meno spettacolare, che egli superò, nell'ottobre del 1865, per mezzo di una auto-disciplina delle più strette e soprattutto diventando un entusiasta discepolo di Schopenhauer. Contrariamente all'ultima crisi, questa crisi iniziale non è stata affatto presa in considerazione dagli specialisti di Nietzsche stessi e per così dire mai studiata nei dettagli.

nietzsche_lou_salome_Ree.jpegLa vita e l'opera di Nietzsche sono state a dir il vero esaminate con più attenzione e una cura critica più grande di quelle di nessun altro filosofo [3]. Malgrado ciò, nelle presentazioni di questa fase decisiva nel corso della quale il giovane diventa filosofo, le sue numerose biografie hanno seguito le sue dichiarazioni in un modo del tutto sprovvisto di spirito critico [4]. In generale, la brusca conversione di Nietzsche alla filosofia schopenhaueriana, alla fine del mese di ottobre 1865, è ancora oggi messa sul conto del "caso", che ha egli stesso invocato e considerato come non richiedente una spiegazione più dettagliata. Ho non di meno fatto, esaminando a distanza più ravvicinata questa pagina restata in gran parte bianca della biografia di Nietzsche, una sorprendente scoperta: Eduard Mushacke, con il quale egli intrattenne nella prima metà del mese di ottobre 1865 dei brevi rapporti, notoriamente molto intensi ma presto interrotti, era un vecchio amico intimo di Max Stirner (1806-1856; Der Einzige und sein Eigentum, 1845 [ottobre 1844]).


Questa scoperta rende possibile uno sguardo nuovo, e questa volta critico, su questa fase dell'evoluzione intellettuale di Nietzsche. Sguardo che arresta tuttavia, in un primo tempo, qualche sedimento della storia delle idee, che ostacolano ogni esame serio dell'ipotesi secondo cui l'incontro del giovane con »L'Unico« di Stirner -- incontro che non può indubbiamente che essere postulato -- sarebbe la causa decisiva della crisi iniziale da cui scaturì il filosofo Nietzsche.


Nietzsche.gifIl più notevole di questi sedimenti è, si può dire, il fatto che la questione "Nietzsche e Stirner" -- e cioè se il primo conobbe l'opera del secondo e se questa influenzò il suo pensiero -- è già stata ampiamente discussa nei  primi anni del 1900 e infine classificata come non avente, a conti fatti, alcuna importanza; e questo, soprattutto perché Stirner stesso era considerato come un autore senza importanza nel campo della storia delle idee. Questo sedimento si è considerevolmente consolidato nel corso di un secolo alla fine del quale, allorché Nietzsche usufruisce nel mondo intero di un grande prestigio, è già tanto se si conosce ancora Stirner nella Germania stessa.


È per questa ragione che è necessario abbordare in modo retro cronologico e per così dire archeologico il tema propriamente detto, e cioè la crisi iniziale di Nietzsche. Di analizzare dunque in primo luogo le presentazioni più recenti della questione "Nietzsche e Stirner", poi -- dopo una utile e indispensabile parentesi sulla recezione clandestina di Stirner -- le discussioni che ebbero luogo negli anni 1890, per finire con l'esame della situazione del giovane Nietzsche nell'ottobre del 1865. Non tratteremo qui della questione più ampia di sapere se questa ricostruzione della crisi iniziale di Nietzsche apre una nuova prospettiva sulla sua ulteriore evoluzione e può finalmente essere presa in considerazione per chiarire le cause della sua crisi finale.



2. La questione "Nietzsche e Stirner" oggi.


nietzsche-14-04-2009.jpgSi tratta qui di un tema che non farà senza dubbio nei nostri giorni che provocare delle alzate di spalle. Si conosce Nietzsche, almeno crediamo di conoscerlo -- ma Max Stirner? Non lo si conosce affatto e non si ha bisogno di conoscerlo, non è che una nota a piè di pagina di Nietzsche o di Marx che, come si sa, ne fece una critica completa e radicale sin dal 1846. Quale altro senso strettamente storiografico può esserci nel sollevare di nuovo la questione, estremamente marginale e che inoltre è stata regolata da tanto tempo, di sapere se Nietzsche conoscesse o meno »L'Unico« di Stirner? Questo studio apporterà una risposta su questo punto.


Max Stirner ha sempre avuto, nel mondo della filosofia e, in modo più generale, della cultura, la peggiore delle reputazioni che si possa immaginare -- quando non è stato semplicemente "dimenticato", sino al 1890, poi nuovamente a partire dal 1910. Passò per uno spirito limitato e fu un escluso, un intoccabile, un paria dello spirito. Ciò andava da sé e non c'era nemmeno da incomodarsi nel giustificare questo giudizio. Alois Riehl, uno dei primi professori di filosofia a consacrare una monografia a Nietzsche, l'ha enunciato, incidentalmente come conveniva e senza nemmeno pronunciare il nome del riprovato: "è tradire un'ancora più grande incapacità a distinguere tra gli spiriti associare Nietzsche ed il parodista involontario di Fichte, l'autore dell'opera intitolata »L'Unico e la sua proprietà« -- ciò significa semplicemente associare degli scritti di una potenza oratoria quasi singolare, possedente la forza e la fatalità del genio, con una bizzarria letteraria" [5]. All'opposto Nietzsche ha goduto molto spesso del rispetto dei suoi stessi nemici, come autore pieno di spirito, stilista brillante e psicologo penetrante. Anche la questione "Nietzsche e Stirner", che fu naturalmente posta per delle ragioni polemiche, ebbe attorno al 1900 una certa forza esplosiva (vedere qui sotto).


friedrich_nietzsche.jpgOggi, non si considera ovviamente più Stirner -- se lo si conosce -- come un paria, ma sopratutto come una figura marginale e senza importanza. È per questo che la maggior parte delle opere consacrate a Nietzsche non lo evocano più da tanto tempo. Raramente si trova un autore per trattare brevemente la questione "Nietzsche e Stirner", ed è per classificarla di nuovo come insignificante. Quanto a sapere se Nietzsche ha conosciuto o non »L'Unico«, la questione non svolge più alcun ruolo nell'affare. Quale che sia la risposta -- Henning Ottmann dà, dopo un breve accenno, il seguente riassunto: "L'orizzonte spirituale di Nietzsche, dall'Antichità all'epoca moderna, fu sempre delle più estese. Non ebbe affinità spirituale con la specie anarchica piccolo borghese" [6]. Rüdiger Safranski conclude anch'egli il suo capitolo su Stirner evidenziando che Nietzsche avrà provato della repulsione nei confronti del "piccolo borghese" Stirner" [7]. Una curiosa ambivalenza è tuttavia percepibile presso i due specialisti. Safranski parla del "silenzio rilevante" di Nietzsche su Stirner, Ottmann in modo infondato, di "una delle leggende più intelligenti" su Nietzsche. Né l'uno né l'altro non si preoccupano tuttavia veramente di questo tema -- cosa che è in parte comprensibile, quando si conosca la "recezione clandestina" di »L'Unico« (vedere prossimo paragrafo).


nietzschemother.jpgLa marginalità di Stirner, solidamente stabilita da decenni, ha comportato un'atrofia delle conoscenze, già magre da sempre, sulla sua persona e le sue idee. Gli si deve, tra altre cose, le differenti etichette -- uno Stirner giovane hegeliano, o anarchico, o nichilista o solipsista -- che hanno tutte acquisito diritto di cittadinanza e sono utilizzate in modo negligente ed in ogni caso inesatto. Se ne ha un esempio, interessante nel nostro contesto, delle conseguenze di questa ignoranza di Stirner considerata come una colpa veniale, nella biografia di Nietzsche in tre volumi di Curt Paul Janz, opera che fa ancora oggi autorità, d'altronde accurata ed approfondita e che è stata revisionata su più punti durante le sue riedizioni [8]. Janz, nella mezza pagina che egli dedica alla questione "Nietzsche e Stirner" (accanto a tre pagine di documenti), ha commesso quattro errori in parte gravi. Di più: questi errori, nell'opera di riferimento più conosciuta su Nietzsche, non sono stati rilevati sinora, sia due buoni decenni -- né dagli esperti nietzschiani di grande valore che hanno aiutato Janz nel suo compito -- tra cui Karl Schlechta e Mazzino Montinari -- né tra un ampio pubblico, erudito o non. Li ritroviamo dunque ancora nell'ultima edizione, anch'essa revisionata, [9] ed è la ragione per la quale li enumeriamo qui brevemente.


nietzsche.jpg1) Nelle lettere di Köselitz a Overbeck sulla questione "Nietzsche e Stirner" (III, pp. 343 e seguenti) riprodotte nel libro, si cita a più riprese un certo Markay. Si tratta senza possibilità di equivoco del biografo ed editore di Stirner, John Henry Mackay, il cui nome è familiare a tutti coloro che conoscono Stirner anche per sentito dire. Janz, che ha fatto un errore di trascrizione, non è in grado di identificare questo Markay né di conseguenza, di dare il suo nome nell'indice dei nomi.


2) Un'altra persona, che Janz non conosce in modo evidente, è Lauterbach, il cui nome appare in una lettera. Janz, non conoscendo il suo nome, lo chiama semplicemente "Herr" ("signore") nell'indice. Si tratta questa volta di Paul Lauterbach, l'editore della prima edizione "Reclam" di »L'Unico«.


3) Quando Janz tratta egli stesso rapidamente della questione "Nietzsche e Stirner" (III, pp. 212-213), parafrasa un articolo di Resa von Schirnhofer, in cui una pubblicazione concernente Stirner, apparsa nel 1894, è falsamente datata 1874. Janz non evidenzia questo errore di stampa del tutto evidente e compie a partire da questa falsa data un'ipotesi naturalmente dubbia.


4) Janz, riprendendo dallo stesso Nietzsche (e in modo molto poco critico così come tutte le altre biografie da me conosciute) l'episodio dell'interesse per la filosofia da parte del giovane -- il modo in cui questi è diventato, per così dire dall'oggi al domani, un discepolo entusiasta di Schopenhauer -- costata certo una svolta decisiva nella vita intellettuale di Nietzsche all'epoca del suo passaggio da Bonn a Lipsia, ma non prende in considerazione la causa semplice da indovinare, e cioè la frequentazione intensa, durante le due precedenti settimane, di Mushacke padre. Egli omette Eduard Mushacke che considera un personaggio secondario al punto di attribuirgli nell'indice il nome di Eberhard [10].



3. Parentesi: La recezione clandestina di Stirner

Nietzsche_Olde_06.JPGVisto il disprezzo largamente diffuso e l'ignoranza, ancora più ampiamente diffusa di Stirner, qualcuna delle dichiarazioni compiute a proposito da eminenti pensatori fanno drizzare le orecchie. Ludwig Klages, ad esempio, si è visto anch'egli obbligato, nel suo studio su Nietzsche, di "pensare a" questo autore -- benché non creda che Nietzsche l'abbia conosciuto. Riconosce che questo "dialettico decisamente diabolico procede spesso in modo più radicale, con meno deviazioni ed una più grande precisione nella vivisezione" e che "presenta molto frequentemente le sue conclusioni ultime in modo più coinciso" di Nietzsche, così che egli vede in lui il suo "opposto", un opposto "da prendere veramente sul serio". Ciò che rende l'enorme importanza di Nietzsche, perché "il giorno in cui il programma stirneriano si realizzasse non fosse che attraverso la convinzione deliberata di tutti ... sarebbe quello di ‚giudizio ultimo' dell'umanità [11].


Un pensatore di uno rientamento del tutto diverso, il marxista Hans Heinz Holz, va nello stesso senso, quando mette in guardia contro "l'egoismo stirneriano che, se conoscesse una realizzazione pratica, condurebbe all'autoanientamento della razza umana". Anche il vecchio marxista Leszek Kolakowski ha, davanti »L'Unico«, questa visione apocalittica: la "distruzione dell'alienazione, che è lo scopo di Stirner, dunque il ritorno all'autenticità, non sarebbe altra cosa che la distruzione della cultura, il ritorno all'animalità ... il ritorno allo stato anteriore dell'uomo". Nietzsche stesso, prosegue Kolakowski, sembra debole e inconseguente in confronto a lui" [12]. E Roberto Calasso, vincitore nel 1989 del Premio Nietzsche, scrive da parte sua: "Come qualcuno non ha mancato di osservare, si deve supporre che Stirner sia qualcosa di cui un filosofo di rango non può occuparsi [ ... ] Stirner continua a essere espunto dalla cultura [ ... ]. La presenza più intensa di Stirner si incontra così in autori che di lui tacciono o che di lui parlano in testi che non pubblicarono mai: Nietzsche e Marx." E Calasso vede anche in »L'Unico« il "barbaro artificiale", un "mostro antropologico", ecc., l'avvertimento fatidico ("Mané Thécel Pharès") della civiltà occidentale [13].


180px-Erstausgaben_f%C3%BCr_Wikipedia_IIÈ notevole che questi autori non abbiano trovato Stirner degno di una critica argomentata e che i loro vigorosi propositi siano stati la maggior parte delle volte enunciati in luoghi piuttosto isolati e in modo accessorio o accidentale. La nostra scelta dovrebbe bastare per attestare il fenomeno di una recezione notoriamente intensiva certo, ma largamente clandestina di Stirner. Che trova la sua espressione principalmente in allusioni sussurrate, conta su una comprensione ed un accordo preliminari del lettore colto a proposito del carattere diabolico, ostile alla cultura di Stirner e della malvagità assoluta delle sue idee.


Presso alcuni autori, più prudenti e più disciplinati nei loro scritti, menzionare Stirner sembra essere un atto mancato: Edmund Husserl non lo nomina una sola volta nei suoi testi, lettere, ecc. e ciò non per aver ignorato le sue idee o averle ritenute insignificanti, ma perché -- come l'abbiamo appreso incidentalmente -- voleva proteggere i suoi allievi (e proteggere se stesso?) dalla loro "potere di seduzione" [14]. Ci volle la situazione estrema dell'imprigionamento per portare Carl Schmitt a dire qualcosa di un rapporto a Stirner che aveva dissimulato dalla sua giovinezza [15]. E se Theodor W. Adorno riconosceva tra pochi che Stirner era colui che "aveva sollevato il problema" evitò minuziosamente di spiegarsi con lui sul piano degli argomenti, cioè semplicemente di menzionarlo [16]. Le ragioni non espresse da tali partigiani -- il cui numero è difficilmente valutabile -- sono senza dubbio simili a quelle dei visionari apocalittici evocati in precedenza.


nietzsche-zara.jpgAltri autori più recenti, come per esempio Ottmann e Safranski citati in precedenza, si vogliono oggettivi e superiori. Si nota non di meno presso loro nei confronti di Stirner, un ambivalente stupore che essi si sforzano -- come lo aveva fatto in modo prototipico il giovane Marx -- di eliminare per mezzo della tesi già segnalata del "carattere piccolo-borghese".


L'antagonismo assoluto di questi pensatori di fronte a Stirner -- contrastato da sforzi più o meno abili affinché questo antagonismo non abbia a rivalorizzarlo -- non solleva alcun dubbio. Se esso si incontra più spesso presso i filosofi che presso i teologi, ha raramente condotto uno di essi ad esprimersi in modo così decisivo come il professore di filosofia di Basilea e precoce ammiratore di Nietzsche, Karl Joël, nel suo opus magnum. »L'Unico«, egli scrive, è "il libro eretico il più sfrenato che mano d'uomo abbia scritto" e Stirner ha fondato con lui una vera "religione satanica" [17]. Joël ha messo il dito sull'essenziale: "Stirner" è, per numerosi pensatori non teologi, il nome in codice di ciò che Satana è per i teologi. Cosa che spiega come mai essi non lascino che intendere genericamente o non esprimano che involontariamente i motivi del loro antagonismo assoluto; che i motivi della scelta del metodo di difesa -- il silenzio e il rifiuto della tribuna, affiancati, se ve fosse il bisogno, dallo sviluppo di una teoria del superamento adeguato presso ognuno a seconda della propria tendenza (l'esempio rivelatore essendo qui Karl Marx) -- non hanno bisogno di essere nominati cioè difesi; che nessuno, infine, chiede di conoscere questi motivi [18].


È per questo che ho esposto e descritto, nel mio libro »Ein dauerhafter Dissident« (un dissidente durevole), la storia propriamente detta dell'influenza di Stirner, sepolta sotto il cumulo della letteratura convenzionale che gli è stata consacrata, come la storia di una re(pulsione e de)cezione. Cominciando con Feuerbach, Bauer, Ruge e Marx, essa comprende una importante serie di pensatori della fine del XIX secolo e dell'inizio del XX secolo e si prolunga sino ai nostri giorni sino a Jürgen Habermas [19]. Converrà per finire di riconsiderare se Nietzsche stesso non appartiene a questa serie di nomi eminenti.


4. La questione "Nietzsche e Stirner" un tempo.

La questione, una volta posta, di sapere se e come, »L'Unico« abbia influenzato Nietzsche, è stata posta per la prima volta all'inizio del 1890. Apparve allora in un contesto complesso con, da un lato, la crisi finale di Nietzsche e l'inizio, poco tempo dopo, della sua notorietà imprevista ed improvvisa e dall'altra, la prima recezione del libro di Stirner, che, dopo la breve sensazione degli anni 1845-46, ebbe quasi unicamente come scenario per almeno quattro o cinque decenni l'underground letterario. La nuova edizione, nel 1882, non incontrò nel pubblico che il silenzio. È soltanto dieci anni più tardi che un riconoscimento di Stirner divenne possibile, e per la verità soltanto come epifenomeno della popolarità di Nietzsche. Non si osava parlare apertamente di un autore così a lungo "scomparso" dopo aver scoperto nella personalità di Nietzsche colui che l'aveva "superato".


La questione del rapporto di Nietzsche con Stirner provocò ad ogni modo attenzione e suscitò, sin da quando fu posta -- come porremo in risalto tra poco in modo dettagliato -- un vivo interesse. Si posero in evidenza delle somiglianze impressionanti tra i due pensatori e si congetturò che il più recente -- Nietzsche -- doveva aver conosciuto il più anziano, anche se non lo aveva nominato. Dopo una ricerca delle tracce per la quale ci si diede molto da fare, ma i cui risultati furono molto poveri, si lasciò infine la questione nello stato iniziale, tanto più che il suo soggetto -- ricordiamoci della sentenza di Riehl riportata in precedenza -- faceva apparire ogni sforzo supplementare come superfluo. Cento anni di ricerca nietzschiana, così come le edizioni storiche e critiche delle opere stesse, della corrispondenza delle note e dei frammenti del filosofo non apportarono nessun lume sul suo rapporto con Stirner, così che lo stato attuale delle conoscenze su questa questione è pressappoco lo stesso di quello dell'anno 1910. Essa "non ha ricevuto", constata Janz, "una risposta definitiva sino ad oggi" -- cosa che non significa tuttavia che bisogni vederci un invito al proseguimento degli sforzi della ricerca nietzschiana.


Forse l'accenno proposto poco sopra dell'influenza clandestina di Stirner su eminenti pensatori, da Marx a Habermas, così come le scoperte che presenteremo tra poco in dettaglio sulla biografia del giovane Nietzsche saranno suscettibili di risvegliare un interesse da tanti tempo spento per questa questione. Ci si può in effetti aspettare che la risposta plausibile che può concernerla non debba essere concepita come un punto di dettaglio della storia della filosofia [20]. È tuttavia in quanto tale che bisogna innanzitutto considerarla e a dir il vero dopo l'inizio.

4.1 L'unico sullo sfondo.
Curiosamente, l'apparizione del libro di Stirner coincide quasi esattamente con la data di nascita di Nietzsche, e cioè a metà ottobre del 1944. Max Stirner (il cui vero nome era Johann Caspar Schmidt, 1806-1856) viveva allora a Berlino, in cui frequentava il circolo detto dei "giovani hegeliani". I teorici di questo circolo erano due anziani professori in teologia hegeliani, che erano stati espulsi dall'Università a causa della loro critica della religione: Bruno Bauer a Berlino e Ludwig Feuerbach in Franconia. Bauer tentava di fare introdurre per la prima volta in Germania le idee della corrente atea della filosofia francese dei Lumi. Feuerbach era anch'egli giunto, a partire da fonti tedesche, ad una posizione atea. È allora che entrò in lizza Stirner, il "barbaro artificiale" secondo Calasso, adottando un punto di vista che gli permetteva di congiungersi a questi due atei trattandoli da "anime pie". Stirner, non aveva tuttavia l'intenzione, con la sua folgorante critica delle personalità giovane hegeliane di primo piano, di nuocere al rinnovamento post hegeliano dei Lumi -- voleva, al contrario, portarlo ad una fase superiore radicalizzandolo. Gli storici successivi, non prendendo in considerazione la posizione particolare di Stirner, hanno fatto di lui semplicemente un semplice seguace del neohegelismo, di cui egli si sbarazzava d'altronde catalogandolo in blocco come un semplice "fenomeno di decomposizione" della scuola hegeliana. Cosa che, come abbiamo appena dimostrato, non regolava sicuramente il conto con "L'Unico".

La critica di Stirner fu innanzitutto uno shock per i giovani hegeliani. Attaccato, Feuerbach -- che parla in una delle sue lettere di Stirner come "lo scrittore più libero e più geniale che abbaia mai conosciuto" [21] -- prese la penna per difendersi. La replica magistrale di Stirner pose il giovane discepolo di Feuerbach, che allora era Karl Marx, in una situazione che si può a buon diritto considerare come la sua "crisi iniziale". Egli si distaccò da Feuerbach e, senza raggiungere comunque Stirner, scrisse febbrilmente un furioso "Anti-Stirner", accanendosi frase su frase, su »L'Unico«. È nel corso di questo lavoro che germogliò in lui l'idea del "materialismo storico", il quadro che egli cercherà di colmare, nel corso della sua vita, con le sue ricerche economiche. Ma, temendo senz'altro che gli potesse accadere con il suo "Anti-Stirner" la stessa cosa accaduta a Feuerbach, lasciò il suo manoscritto inedito [22].


Sin dal 1847, prima ancora dell'apparizione dei segni precorritori dei rivolgimenti del marzo 1848, la traumatica opera di Stirner era "dimenticata". Alla svolta del 1848 fece seguita un clima politico in cui la filosofia dei Lumi atea lanciata dai giovani hegeliani divenne tabù e, a maggior ragione, ovviamente, la sua radicalizzazione dovuta a Stirner. I più importanti protagonisti (Feuerbach, Bauer, Marx) non ne erano più loro stessi i rappresentanti ed essi si adattarono in un modo o nell'altro alle nuove condizioni politiche.


Stirner, caduto in una situazione di disagio materiale, morì nel 1856. Era a questa data diventato da tanto tempo una non-personalità, un intoccabile, un paria dello spirito. Sino alla fine del 1880 -- un arco di tempo che coincide pressappoco con il periodo della vita cosciente di Nietzsche--, si fece a malapena fece pubblicamente menzione di lui. In compenso, dei pensatori come Schopenhauer, Hartmann e Lange, ai quali Nietzsche ha fatto frequenti riferimenti nei suoi scritti e nelle sue lettere, ebbero dei riconoscimenti negli anni sessanta del Ottocento. È possibile che si abbia avuto conoscenza di Stirner attraverso il loro intermediario?


Arthur Schopenhauer (1788-1860) non ha mai fatto menzione di Stirner.


eduard-von-hartmann-1-sized.jpgEduard von Hartmann (1842-1906) non parla che brevemente di lui nella sua prima opera, che ebbe un successo immediato »Die Philosophie des Unbewussten«, (1869, La filosofia dell'inconscio), ma è proprio qui che ci attende una grande sorpresa, in quanto egli dà ad intendere al lettore attento, che dopo aver condiviso il "punto di vista" di Stirner, egli lo ha superato scrivendo quel libro [23].


Lange.jpgFriedrich Albert Lange (1828-1875) tratta di Stirner nel suo celebre »Geschichte des Materialismus«, (1866, Storia del materialismo), certo in modo coinciso ma in termini ben scelti. Dopo aver detto che il libro è "quanto conosciamo di più estremo", lo qualifica di "malfamato" e ... passa in seguito rapidamente ad affermare senza alcuna analisi che esso non ha alcun rapporto stretto con il materialismo [24].


Le menzioni di Stirner nei libri di Hartmann e di Lange sono le più importanti di questi quattro decenni di clandestinità e si ritrovano qui sopratutto per il fatto che Nietzsche ha studiato queste due opere con una cura tutta particolare. Per il resto, possiamo considerare come manifestamente valido questa constatazione di un contemporaneo sconosciuto: "Max Stirner -- quanta calunnia e quanto odio ha suscitato questo nome!... Sì, se qualcuno può lamentarsi di essere stato sepolto, non è Schopenhauer bensì Stirner" [25].


Il clima intellettuale cambiò lentamente agli inizi del 1880. Una nuova generazione di uomini di lettere che si dichiarava "naturalisti" o "realisti", entrò in lizza e volle ricollegarsi al radicalismo a lungo rimproverato e respinto prima della rivoluzione di marzo 1848. Le prime apparizioni di »Kritische Waffengänge«, (1882, Passaggio d'armi Critici) dei fratelli Julius e Heinrich Hart dettero il segnale, allo stesso tempo e presso lo stesso editore apparve la seconda edizione di »L'Unico«. Ma era ancora evidentemente troppo presto per questo libro "malfamato" e così a lungo tenuto sepolto: il pubblico non disse parola. I giovano ribelli letterari stessi non osarono abbordare Stirner.

Non fu introdotto nella discussione che qualche anno più tardi e, in modo significativo, dapprima come spauracchio nelle lotte di propaganda a cui si dedicavano le differenti concezioni del mondo. Friedrich Engels tentò nel 1886 di farne il "profeta" degli anarchici [26], mentre Eduard von Hartmann ne fece un po' più tardi uno strumento della sua lotta contro Nietzsche.


Molti indicatori che non ingannano sul fatto che Stirner era allora generalmente discreditato, senza che vi fosse bisogno di fondare questo discredito. Engels e Hartmann erano in effetti l'uno e l'altro sicuri di colpire in modo definitivo il loro avversario facendolo passare per il discendente spirituale del paria malfamato [27].


Franz_und_Ida_Overbeck.jpgMalgrado ciò, a partire dalla metà degli anni ottanta, Nietzsche, i cui scritti erano sino ad allora poco conosciuti al di là del suo cerchio di amicizie, conquistò un pubblico più ampio. In alcuni circoli privati di ammiratori del filosofo, »L'Unico« o più esattamente il silenzio di Nietzsche a questo proposito, dovette far necessariamente nascere una irritazione diffusa. Questa è forse all'origine della domanda di informazione, tanto prudente quanto indiscreta e dissimulata da maniere cortesi in una lunga lettera piena di altre domande, di un corrispondente viennese all'amico di Nietzsche, Franz Overbeck: Un conoscitore delle opere di Nietzsche, estraneo al nostro circolo, ha avanzato l'ipotesi che il libello L'unico e la sua proprietà di Max Stirner non sia stato privo di influenza sulle concezioni successive di Nietzsche. È forse vero?" [28].


Nietzsche stesso non si trovò manifestamente mai, durante tutto il periodo della sua vita in cui fu letterariamente produttivo e intellettualmente cosciente, nella situazione di essere confrontato con la domanda, più tardi così spesso posta, di sapere se conosceva L'Unico. E quando aveva visto la celebrità prossima ed a portata di mano, come se avesse presentito quale specie di domande si sarebbero poste all'uomo celebre che stava per diventare, si era ritirato dalla vita intellettuale all'inizio dell'anno 1889, senza aver detto una parola del suo rapporto con Stirner.


4.2  La scoperta di "L'Unico"


Stirner_Der_Einzige_und_sein_Eigentum_djvu.jpgI giovani sostenitori di Nietzsche furono abbastanza irritati, quando Eduard von Hartmann, rompendo un silenzio precario, accusò Nietzsche di aver plagiato su un punto essenziale. La "nuova morale", tanto ammirata, di Nietzsche, scrisse in un articolo che fece molto scalpore, non apporta in fin dei conti "assolutamente nulla di nuovo, è stata presentata sin dal 1845 ... da Max Stirner ... in modo magistrale e con una nitidezza ed un franchezza che non lasciano nulla a desiderare" [29].


Il colpo di timballo di Hartmann (un avversario di Nietzsche) fu il preludio di un'ampia discussione della questione "Nietzsche e Stirner" e di quel che si è chiamato la rinascita stirneriana. Dopo quasi un mezzo secolo trascorso nell'underground letterario, »L'Unico« apparve, all'inizio del 1893, grazie agli energici sforzi di Paul Lauterbach (un ammiratore di Nietzsche, vedere sotto) nella Universal Bibliothek della Reclam, cosa che gli assicurò immediatamente un'ampia diffusione.


Le riserve mentali che ispiravano Hartmann e Lauterbach sono del tutto istruttive per la comprensione della questione "Nietzsche e Stirner", perché se entrambi si sono effettivamente impegnati nel far conoscere »L'Unico«, essi non erano in alcun modo dei sostenitori di Stirner. Non potremo tuttavia esporre qui questi motivi e queste attività che in modo sommario.


Contrariamente a Nietzsche, Hartmann conobbe negli anni tra il 1870 e il 1880, un grande successo come filosofo e come scrittore. La sua prima opera, »Die Philosophie des Unbewussten«, (La filosofia dell'inconscio) apparve nel 1869 e divenne immediatamente un best seller che doveva conoscere dodici edizioni. Tre soltanto delle 700 pagine del libro sono consacrate a Stirner, notevolmente poco se si pensa che quest'opera è in fin dei conti -- come il suo autore lo lascia intendere incidentalmente -- il risultato dei suoi tentativo per superarlo (vedere qui sotto).


La reazione di Nietzsche prova non soltanto la finezza del suo senso psicologico e la sicurezza del suo colpo d'occhio per discernere l'essenziale, ma ci informa anche molto chiaramente sul suo comportamento in un confronto con Stirner. Non gli era certamente sfuggito, allorché, nel 1874 -- il libro di Hartmann era già alla sua 5a edizione --, egli attaccò, nella seconda serie delle sue »Unzeitgemässe Betrachtungen«, (Considerazioni inattuali), il "piccolo filosofo alla moda" in una polemica di una ironia pungente. Egli si interessa precisamente al capitolo di cui fanno parte le tre pagine su Stirner. Quel che più colpisce, è che non dice una parola su quest'ultimo, ma legge, cita, polemizza e argomenta con virtuosismo intorno a lui. Hartmann, che aveva condiviso egli stesso pochi anni prima il "punto di vista" di Stirner per superarlo in seguito non senza qualche sforzo, non avrà sicuramente mancato di notarlo subito e di fiutare in Nietzsche gli stessi sforzi suoi. Questa solidarietà intima dei due uomini -- così come la mancanza di successo di Nietzsche presso il pubblico -- avranno allora trattenuto Hartmann dal rispondere a questo attacco. È soltanto quindici anni più tardi che, sentendosi minacciato per la improvvisa gloria di Nietzsche, si impadronirà dell'arma della "contro critica" [30].


John_Henry_Mackay.gifPaul Lauterbach (1860-1895) è senz'altro colui che, a fianco di Hartmann e del biografo di Stirner, Mackay, ha fatto progredire maggiormente la rinascita stirneriana. Egli divenne, attraverso la mediazione del suo amico Heinrich Köselitz (che fu per molti anni, con il nome di Peter Gast, una specie di segretario di Nietzsche) uno dei primi nietzschiani entusiasti. Assicurava il suo energico impegno per assicurare una vasta diffusione a »L'Unico«, pubblicandolo nelle edizioni Reclam, come la prima tappa di una campagna strategica pianificata in favore di Nietzsche. Mentre Hartmann aveva utilizzato Stirner per screditare Nietzsche e per presentarsi egli stesso come colui che aveva superarto il "pericoloso" Stirner: Lauterbach voleva presentare Nietzsche come il vero trionfatore, il "grande successore di Stirner, colui che aveva sviluppato e trasformato il suo pensiero in modo creativo". Voleva mostrare il grande pericolo intellettuale che rappresentava »L'Unico« per lui stesso, allo scopo di raccomandare Nietzsche al pubblico come colui che era capace di esorcizzare Stirner: La mia prefazione (a »L'Unico«), scriveva a Köselitz, ha per solo scopo di proteggere gli innocenti dalla sua influenza, di ingannare e di paralizzare i malevoli con l'aiuto di Nietzsche" [31].


È dunque principalmente in seguito di queste attività opposte di Hartmann e di Lauterbach che si sviluppò, in gran parte nelle riviste culturali e in articoli della stampa, una viva discussione intorno alla questione "Nietzsche e Stirner". Le comparazioni tra gli scritti dei due pensatori rilevarono spesso delle concordanze e delle somiglianze, ma spesso anche dei disaccordi gravi e inconciliabili. Più di uno fu sbalordito che non apparisse in nessuna parte in Nietzsche il nome di Stirner; altri capirono che Nietzsche non voleva compromettersi inutilmente mostrando che conosceva Stirner - non era forse, come pensavano il più come il professore di filosofia di Basilea Friedrich Heman, "un pensatore molto più fine, distinto e spirituale, dalle concezioni più vaste i cui scopi e fini ultimi si elevavano molto al di sopra dei pensieri di Stirner che non abbandonavano il limo fangoso della vita?" [32].


4.3  Una questione rimasta senza una risposta definitiva.

Gli amici e le conoscenze più vicine di Nietzsche furono naturalmente costernati. Nessuno di loro si ricordava di averlo sentito pronunciare il nome di Stirner. Possediamo dozzine di lettere testimonianti il turbamento dei suoi amici. Certo, si capiva bene perché Nietzsche non aveva parlato pubblicamente di Stirner, ma perché -- malgrado la sua grande "espansività abituale" (Overbeck) -- non lo aveva mai nemmeno evocato anche nei circoli più intimi? Solo Ida, la moglie di Overbeck, si ricordava nel 1899 di una conversazione che lei aveva avuto con lui -- circa venti anni prima -- nel corso della quale gli sarebbe sfuggito che si sentiva una affinità di spirito con Stirner. "Una certa solennità passò sul suo viso. Poiché osservavo con attenzione i suoi tratti, li vidi modificarsi di nuovo; ebbe una specie di movimento della mano, come per scacciare qualche cosa o difendersene, e sussurrò: "Bene, ecco che ve l'ho detto, e tuttavia non ne volevo parlare: Ma dimenticatelo! Si parlerebbe di plagio -- non voi, lo so" [33].


Vi fu infine una dichiarazione di Adolf Baumgartner, il discepolo preferito di Nietzsche durante i suoi esordi a Basilea, che si era tuttavia allontanato da lui poco dopo. Diventato nel frattempo professore di storia antica in questa città, si ricordava di aver preso in prestito nel 1874 »L'Unico« alla Biblioteca dell'Università e ammetteva di averlo fatto su consiglio di Nietzsche. Questo prestito ha potuto essere verificato sull'antico registro dei prestiti della biblioteca. Baumgartner non ha detto nulla della sua lettura e delle sue eventuali conseguenze, non più dei colloqui con Nietzsche su questo propositoto, benché si sia ricordato, venticinque anni più tardi,e del libro stesso e delle parole con le quali Nietzsche glielo raccomandava: "è la cosa più notevole che abbiamo". Forse la sua enigmatica dichiarazione successiva, secondo la quale Nietzsche avrebbe "innanzitutto svoltato (in sé) la grande strada nell'altro senso" si collega a questo avvenimento [34].


nietzsche_Elisabeth.jpgElisabeth, la sorella di Nietzsche, non si stancò in compenso di raccogliere delle "contro evidenze", cercando di ottenere da tutti gli amici e conoscenze accessibili di Nietzsche la conferma scritta che il filosofo non aveva mai parlato di Stirner in loro presenza [35]. Mazzino Montinari, al corrente grazie alla sua conoscenza precisa degli archivi di Nietzsche degli sforzi di Elisabeth, è rimasto perplesso, in seguito del suo apprezzamento convenzionale di Stirner, davanti alle sue "inspiegabili ragioni" [36]. Era del tutto lungi dal sospettare che lo zelo di Elisabeth abbia potesse essere nutrito dalla sua conoscenza segreta del ruolo di Stirner nello sviluppo del pensiero di Nietzsche. Contestò ad ogni modo con veemenza in molti articoli che Nietzsche abbia avuto una qualsiasi conoscenza di »L'Unico« e si mostrò non di meno tanto intelligente da non affrontare questo tema sin dal momento in cui l'interesse pubblico per la questione cessò.


Franz Overbeck, che è indubbiamente l'amico di Nietzsche più comprensivo, il più sicuro e il più capace di giudicare, approda dopo un esame estremamente minuzioso di tutti gli aspetti della questione alla conclusione seguente: "Che Nietzsche si sia comportato in modo strano a proposito di Stirner, è fuori dubbio. Ma se non dette su questo soggetto libero corso alla sua espansività abituale, non fu certamente per dissimulare una qualche influenza su di lui (influenza che, nel senso esatto della parola, non esiste), ma perché preferì indubbiamente, in modo generale, venire a capo da se stesso e per se stesso dell'effetto che Stirner aveva avuto su di lui. Di conseguenza, affermo che Nietzsche ha letto Stirner. Ciò può creare, per degli avversari dei suoi libri, l'accusa di plagio, che sarà l'ultimissima idea a giungere allo spirito di coloro che l'hanno personalmente conosciuto" [37].

 

 

[SEGUE]

 

 

BERND LASKA

 

 

 

[Traduzione di Ario Libert]

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17 settembre 2009 4 17 /09 /settembre /2009 17:11

Ai tempi della dea





di ACHILLE WEINBERG


Le "Veneri" della preistoria, le figure femminili dipinte sulle ceramiche, i segni astratti incisi su dei vasi, tutti questi resti rappresentano, secondo Marija Gimbutas, una grande dea- simbolo di vita- il cui culto fu costante nel corso della preistoria e del neolitico europei.

Una "dea" abitava lo spirito dei cacciatori della preistoria. Una dea dalla femminilità marcata ed il cui profilo o i tratti caratteristici- seni, natiche, pube, grandi occhi- si ritrovano dappertutto in Europa, dipinti o incisi sulle pareti delle caverne, scolpite nella pietra, l'osso o il legno. Migliaia di anni più tardi, dominava ancora gli agricoltori del neolitico. Dappertutto in Europa, la si scopre dipinta su ceramiche o incisa su oggetti quotidiani. Per quasi 25.000 anni, i primi Europei dedicheranno un culto a questa dea, simbolo della natura e fonte di vita, che fa nascere i bambini e crescere le piante.

Poi, verso il V millennio a. C., dei popoli indoeuropei, guerrieri selvaggi, allevatori di cavalli, avrebbero sottomesso le società agrarie ed imposto la loro lingua, il loro potere, i loro miti: degli dei maschili, autoritari e violenti, avrebbero allora respinto in un lontano passato le affascinanti dee preistoriche. Ecco, a grandi tratti, la storia antica dell'Europa, così come l'ha ricostruita Marija Gimbutas a partire dalle sue numerose ricerche archeologiche.

Marija Gimbutas era lituana. Nata nel 1921, abbandonò il suo paese natale per rifuggiarsi, durante la guerra, in Austria, in cui iniziò i suoi studi di archeologia e di linguistica, proseguiti in Germania dove ottenne il suo dottorato nel 1946. Dopo la guerra, la ritroviamo negli Stati Uniti, all'università di Harvard, in cui è reclutata come ricercatrice, specialista dell'archeologia dell'Europa dell'Est, campo allora del tutto sconosciuto. È negli anni 60 che si farà conoscere per la sua famosa teoria della "cultura dei kurgan" che susciterà un primo grande dibattito nella comunità scientifica.

Kurgan è il nome turco per designare i tumuli, queste sepolture monumentali collettive, apparse nella regione del Volga, tra il mar Nero ed il mar Caspio, che si sono espansi in seguito in tutta l'Europa. I kurgan sarebbero, secondo Marija Gimbutas, i simboli più notevoli del primo popolo indoeuropeo: un popolo di allevatori e di guerrieri che avrebbero invaso l'Europa e l'India del Nord. Ad ondate successive, esso avrebbero imposto ovunque la sua lingua ed i suoi miti. Con questa teoria dei Kurgan, Marija Gimbutas ha dato una consistenza archeologica a questo mitico popolo indoeuropeo che, secondo linguisti e mitologi, avrebbe costituito lo strato comune dell'Europa e dell'India del Nord.

Nel 1963, Marija Gimbutas entra alla UCLA. Negli anni successivi inizia una campagna di scavi nell'Europa del Sud-Est (Iugoslavia, Grecia, Italia), scavi che si prolungheranno per una quindicina di anni e la orienteranno verso una nuova direzione di ricerca. Tra i reperti tratti dalla sottosuolo, Marija Gimbutas nota che numerose ceramiche hanno forme femminili. Alcune recano segni geometrici- forme a V, ad M e a zig zag. Si ritrovano in altri luoghi questi segni su ceramiche a forma di uccello.

Più scava, più si accumulano delle tracce troppo frequenti per essere trascurate, cosa che invece fanno la maggior parte dei suoi colleghi: L'insieme dei materiali disponibili per lo studio dei simboli della vecchia Europa è così vasto quanto la negligenza di cui questo studio è stato fatto oggetto. Emerge una nuova ipotesi. E se le figure femminili fossero ddelle dee? E i segni e figure geometriche che le accompagnano di rappresentazioni simboliche di queste dee (come la croce sostituisce Gesù nella simbologia cristiana)? In questa ipotesi, l'abbondanza delle vestigia attesterebbero la presenza di una forte presenza femminile accanto agli dei maschili.

Nel 1974, Marija Gimbutas pubblica un primo libro intitolato Dee e dei dell'antica Europa. In questo primo libro, sostiene che un culto di tre dee femminili era presente nel Sud-Est europeo. In seguito, estenderà la sua ipotesi a tutta l'Europa e fonderà le figure femminili in una sola e medesima dea. Negli anni che seguirono e sino alla sua morte nel 1994, Marija Gimbutas non smetterà di approfondire questa pista. Il linguaggio della dea è in qualche modo l'approdo e la sintesi delle sue ricerche sulla dea della preistoria.

Per un'archeomitologia

Come decifrare la mitologia di una società senza scrittura le cui vestigia si riassumono con ceramiche, utensili, oggetti incisi con motivi geometrici? In genere, gli archeologi si guardano bene dal lanciarsi in interpretazioni simboliche, il loro compito principale si limita a datare e classificare i materiali ritrovati per ricostruire i prestiti, tracciare le aree culturali ed i loro possibili contatti. Marija Gimbutas, ha osato trasgredire a questo divieto. Si è dedicata a ricostruire l'universo mentale delle società della presitoria grazie ad una nuova procedura: l'"archeomitologia".

Ecco come procede. In numerose società senza scrittura, gli artisti rappresentano le donne non soltanto con profili femminili, ma a volte con una semplice parte del corpo: seni, natiche, occhi... Il triangolo pubico è anch'esso spesso rappresentato. Il modo più semplice, più geometrico e più universale di rappresentarlo consiste nel tracciare una V. se la V è dunque il simbolo femminile della donna, Marija Gimbutas pensa che i numerosi motivi a chevron (due V sovrapposte) designano anch'essi il sesso femminile. Allo stesso modo, poiché si ritrovano spesso associate la figura della V e dei chevron incisi su delle ceramiche a forma di uccello, Marija Gimbutas ne dedusse che la figura dell'uccello è egualmente un simbolo femminile. Ammettendo questa convenzione (V, chevron semplici, doppi o tripli, figure di uccelli, seni...), è allora apparso che il segno della donna è onnipresente in tutta l'Europa del Sud-Est.

Per slittamenti graduali e giustapposizioni di motivi, Marija Gimbutas pensa allora di reperire tutta una gamma di figure ritenute di rappresentare la dea. Può apparire sotto forma di dea-uccello e, per estensione, con un becco d'uccello o di un uovo. L'acqua è egualmente associata alla divinità femminile. Può essere designata con una linea tratteggiata (alcuni tratti verticali) o una M rappresentante l'onda. Per estensione, tutti i motivi ad M sono supposti rappresentare l'acqua, dunque la dea. Tutta la simbolica della dea sarebbe legata con il ciclo della vita, il mistero della nascita e della morte, quello del rinnovamento della vita- non soltanto della vita umana, ma di ogni forma di vita sulla Terra come nella totalità del cosmo.

Nel corso della lettura e con il grande sostegno delle illustrazioni (quasi 500 figure sono riprodotte nel libro Il linguaggio della dea), Marija Gimbutas si sforza nel descrivere il senso che poteva assumere la divinità nella cultura dell'Europa antica. La dea è innanzitutto colei che dà la vita. È dunque presente nei rituali della nascita e della fertilità. Ecco perché è associata all'acqua, fonte di ogni forma di vita e per estensione all'uccello d'acqua, ma anche alla rana ed al pesce. La dea è egualmente legata al rinnovamento delle stagioni e dunque alla terra nutrice, alla morte ed alla rigenerazione. In fondo, tutta la simbolica della dea rinvia alle credenze dei popoli agrari concernenti la sterilità e la ferticlità. La fragilità della vita, la minaccia costante della distruzione così come del rinnovamento periodico dei processi generatori della natura sono tra i più tenaci.

Se la procedura archeomitologica sostenuta da Marija Gimbutas è pertinente, il progresso scientifico è immenso. Dà di colpo le chiavi per interpretare dei segni, delle incisioni, motivi astratti presenti in tutta la preistoria, che erano sino ad allora trattati come semplici motivi decorativi o segni enigmatici che ci si vietava di decifrare. Di colpo, le ceramiche decorate svelano una storia nascosta e tutti questi segni che si erano scambiati come semplici fioriture si rivelano essere un ricco linguaggio simbolico associato al culto della dea.

Evidentemente questa impresa di decifrazione comporta molti rischi. Il primo è quello della "sovrainterpretazione" dei segni. Alla lettura di Marija Gimbutas, si rimane a volte scettici di fronte a certe conclusioni affrettate o ananlogie poco evidenti. Se l'assimilazione della figura ad M ad un onda è abbastanza convincente, in compenso, l'associazione dei meandri labirintici e dell'acqua è molto meno evidente di quanto l'afferma l'autrice, senza alcuna dimostrazione. Allo stesso modo, l'associazione tra le linee verticali, l'acqua e la dea riposa su dati molto fragili, troppo sistematizzati.

Rimane il fatto che avremmo torto a respingere il metodo- per natura ipotetico- in nome dei suoi difetti.Come fa notare giustamente Jean Guilaine nella prefazione, si darà a credito di Marija Gimbutas di aver aperto la via ad un'archeologia simbolica (...) Ma giustamente orientare una disciplina fondalmentalmente collegata allo studio dei dati materiali verso il campo dell'immaginario implicava già un certo coraggio intellettuale e una forma acuta di non conformismo.

La dea domina il panteon preistorico? Ciò che impressiona fortemente in questo volume è la permanenza negli archivi archeologici di queste presenze femminili. Secondo Marija Gimbutas, la figura della grande dea avrebbe dominato la cultura europea su un periodo molto lungo- 25.000 anni ed una zona geografica molto vasta: tutta l'Europa dall'Atlantico agli Urali, dal Nord al Sud. Questa presenza così estesa supera considerevolmente le delimitazioni culturali classiche degli archeologi.

Come spiegare la continuità simbolica tra le veneri del paleolitico (caratterizzata dalle società di cacciatori-raccoglitori) e le dee della fertilità delle società agrarie? Se, come afferma l'autrice, la dea femminile è caratteristica delle società agrarie (dunque quelle del neolitico), come spiegare che le sue origini risalgano al paleolitico superiore (società di cacciatori)?  Non si troverà qui risposta [1]. Ed è anche un peccato che il problema non sia accennato. Altra questione, la figura della dea è una divinità dominante (dea madre) o una figura tra le altre di un panteon variegato? Non attenendosi che a questo simbolo, si ha la sensazione che ha invaso tutto il campo della mitologia. Anche su questo punto, la Gimbutas tace. Quest'ultima aveva rivelato in Dee e dei dell'Antica Europa tutto un panteon di dei nell'europa antica.

È tanto più fastidioso che l'autrice non ceda in nulla all'ipotesi del "matriarcato primitivo" che le si è spesso attribuito. L'opera di Marija Gimbutas è stata in effetti adottata dalle teoriche del femminismo per appoggiare la tesi secondo la quale le epoche preistoriche sarebbero state contraddistinte da uno stadio matrisrcale in cui il potere dominante era quello delle donne. Non è affatto un caso se il libro è edito dalle edizioni Des femmes/Antoinette Fouque... Però Marija Gimbutas non sostiene in nulla la tesi femminista. L'archeologa precisa esplicitamente che la presenza di dee femminili riflette piuttosto una "cultura gilanica", una struttura sociale in cui il potere tra i due sessi è più equamente ripartito. Questa cultura si oppone ad una cultura androcratica in cui l astruttura sociale è dominata dal sesso maschile (o patriarcale).

Non è che in seguito, verso la metà del V millennio a. C., che una cultura patriarcale, maschile, sorse sulle rive del Volga e si espanse in seguito in Europa.

Questa nuova cultura avrebbe allora scalzato il posto preminente occupato dalla dea, o dalle dee femminili, nel panteon preistorico.

[Traduzione e ricerca iconografica di Ario Libert]

NOTE


[1] La divulgatrice delle ricerche di Gimbutas, Riane Eisler, nei suoi magistrali studi Il calice e la spada e Il piacere è sacro, e la cui lettura raccomandiamo caldamente, ha ampiamente dato spiegazione di quel che all'autore del presente saggio appare un mistero: i paleolitici non erano dei semplici cacciatori! Più semplice di così... E poi che bisogno avevano di cacciare tutto il tempo per nutrirsi quando avevano a disposizione fiumi pescosissimi e sterminate distese di praterie e boschi da cui trarre cibo a profusione? Siamo qui in presenza di un pregiudizio duro a morire in quanto ideologicamente fondato sul modello evoluzionistico dello sviluppo storico e sociale sorto, non a caso, con le prime forme di società statuali gerarchiche, classiste e guerrafondaie (N.d.T.).


 



BIBLIOGRAFIA di base per approfondire l'argomento:

 

Marija Gimbutas, Il linguaggio della dea, Venexia, Roma, 2008, [1989].

Marija Gimbutas, Le dee viventi, Medusa, Milano, 2005, [1999].

Riane Eisler, Il calice e la spada, Frassinelli, Milano, 2006, [1988].

Riane Eisler, Il piacere è sacro, Frassinelli, Milano, 1996, [1995]

AA. VV. [Eisler, Gimbutas, Campbell, Muses], I nomi della dea, Ubaldini, Roma, 1992, [1991].

Erich Neumann, La grande madre, Astrolabio, Roma, 1981, [1955].

Pepe Rodriguez, Dio è nato donna, Editori Riuniti, Roma, 2000, [1999].

Martin Bernal, Atena nera, Pratiche Edizioni, Parma, 1992, [1985].

Franz Baumer, La grande madre, ECIG, Genova, 1995, [1993].


 

 

LINK al post originale:
Au temps de la déesse

 

 

LINK ad un importante documentario su You Tube, diviso in sette parti, su Marija Gimbutas:

Signs Out the Time

 

 

LINK pertinenti:

C'era una volta l'isola di Creta

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