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20 gennaio 2019 7 20 /01 /gennaio /2019 07:00

Civiltà di Harappa nella valle dell'Indo

La civiltà dell'Indo è stata preceduta dalle prime culture agricole dell'Asia del Sud apparse sulle colline del Belucistan, a ovest della valle dell'Indo. Il sito meglio noto di questa cultura è Mehrgarh, che data al 6.500 a. C. Queste prime fattorie coltivarono il grano e addomesticarono una gran varietà di animali, in particolare quelli che costituivano il bestiame., Il vasellame era utilizzata verso il 5.500 a. C. La civiltà dell'Indo si è sviluppata a partire da questa base tecnologica, espandendosi nella piana alluvionale di quelle che ai nostri giorni sono le province pakistane del Sindh e del Punjab.

La civiltà dell'Indo, tra il 5.000 e il 1.900 a. C. fu preceduta da un popolo di agricoltori e di fattori che praticavano l'artigianato e il commercio.

Il popolo apparso verso l'8.000 a. C. prima della nostra era sulle colline del Belucistan a ovest della valle dell'Indo; per diffondersi nelle regioni del Sindth e del Punjab e formare la civiltà della valle dell'Indo, chiamata anche civiltà Harappeana.

Dimenticata dalla Storia sino alla scoperta negli anni 20 del XX secolo della città di Harappa poi quella di Mohenjo-Daro, la civiltà harappeana costituisce un vero mistero per gli archeologi che avrebbero giurato che nessuna vera civiltà avesse potuto esistere nella valle dell'Indo, in Pakistan, circa 4.500 anni fa.

Essa si colloca tra i suoi contemporanei, la Mesopotamia e l'Egitto antico, come una delle primissime civiltà, quest'ultime essendo definite dall'apparizione delle città, dell'agricoltura, della scrittura, ecc.

Dopo quasi 100 anni di ricerche, si comincia a capire meglio l'evoluzione di questa civiltà. Schematicamente, i periodi sono i seguenti:

- Tra gli 8.000 e i 5.000 anni prima della nostra era: le tecniche della metallurgia si diffondono in tutta l'Eurasia. L'agricoltura e il commercio apportano ricchezza. I villaggi crescono e diventano delle vere città.

- Tra i 4.000 e i 2.600 anni prima della nostra era: gli archeologi parlano di un'«epoca di razionalizzazione». Le regioni del bacino dell'Indo cominciano a costituire un'identità culturale specifica. Durante quest'epoca appare un nuovo modello di urbanesimo. Gli agglomerati sono divisi in due settori. E' probabile che i settori erano abitati da classi sociali distinte.

- Tra i 2.600 e 1.900 anni prima della nostra era: è «l'epoca dell'integrazione». Questo periodo designa il modo in cui le culture regionali sono confluite in una sola grande civiltà. Tutte le città disperse in un raggio di migliaia di chilometri utilizzano la stessa scrittura e gli stessi sigilli in steatite. Decorano i loro vasi con gli stessi disegni e i pesi utilizzati sono gli stessi ovunque.Questo processo di unificazione su un territorio così vasto resta inspiegato.
- Tra i 1.900 e 1.600 anni prima della nostra era: è l'"epoca della localizzazione", Nel corso di questi due secoli, le città vengono progressivamente abbandonate, la scrittura è trascurata e delle tecniche vengono abbandonate.

Oggi, sui 1.052 siti scoperti, più di 140 si trovano sulle rive del corso d'acqua stagionale Ghaggar-Hakra. Secondo alcune ipotesi, questo sistema idrografico, un tempo permanente, irrigava la principale zona di produzione agricola della civiltà dell'Indo.

La maggior parte degli altri siti sono ubicati lungo la valle dell'Indo e dei suoi affluenti ma ne esistono anche all'ovest sino alla frontiera dell'Iran all'est sino a Delhi, a sud sino nel Maharashtra e a nord sino all'Himalaya. Tra questi siti, si contano numerose città come Dholavira, Ganweriwala, Harappa, Lothal, Mohenjo-daro e Rakhigarhi. Al suo apogeo, la sua popolazione potrebbe aver superato i cinque milioni di abitanti.
La denominazione civiltà dell'indo-Sarasvatî è a volte utilizzata, più particolarmente nel mondo anglo-sassone; essa fa riferimento e identifica la civiltà descritta nei Veda, che prosperò lungo il fiume Sarasvatî, di cui si ignora attualmente la localizzazione. Questa identificazione resta tuttavia ipotetica.
Quell'altro grande fiume che scorreva parallelamente e a ovest dell'Indo durante il terzo e il quarto millennio prima della nostra era sembrerebbe essere l'antico Sarasvati-Ghaggar-Hakra River.

Le rive perdute vengono lentamente rintracciate dai ricercatori. Il che permette agli archeologi di scoprire nuove città lungo il suo letto inaridito.

Non essendo riusciti a decifrare la sua scritture costituita da 400 pittogrammi, non disponiamo di nessuna informazione reale sulle sue origini.

Questa civiltà doveva avere una forte autorità centrale che si è esercitata su di uno spazio molto vasto come lo lasciano capire gli elementi straordinariamente moderni per una società di quest'epoca, come la standardizzazione dei pesi e misure, la dimensione dei mattoni, la protezione dalle inondazioni attraverso un importante sistema di dighe. E, soprattutto la rapidità con la quale le città furono organizzate, pianificate in uno sforzo deliberato di unificazione.

Infatti, tra gli attributi di questa cultura, si rileverà un urbanesimo notevolmente coordinato. Queste città fortificate, il cui materiale è il mattone crudo rivestito di mattone cotto, sono edificate sullo stesso modello di pianificazione urbana.

I due più vasti siti Harappa e Mohenjo-daro che contavano sino a 30.000 abitanti, hanno un perimetro di cinque chilometri, e coprono ognuno almeno sessanta ettari. In modo tipico, le città sono divise in due zone: una prima caratterizzata da una piattaforma di terra sopraelevata che i primi archeologi chiamarono la cittadella e una seconda, chiamata città bassa, composta da case e da magazzini strettamente intrecciati, separati da una rete di strade e viali, ben definiti, secondo un piano preciso, di larghezze fisse e in uso nella quasi totalità dei siti. Ma non vi sono tracce di palazzi, il che lascia supporre un'organizzazione politica affidata a dei collegi di amministratori o a una élite sacerdotale. Si conoscono inoltre poche cose dell'organizzazione politica e sociale della civiltà dell'Indo e delle sue credenze religiose. Le opere statuarie suscettibili di rappresentare dei sovrani sono pochissime, e nessun edificio può essere considerato come palazzo, anche se il «Grande Bagno» di Mohenjo-daro e gli edifici annessi sono potute essere riservate a una élite sacerdotale.

Ne sappiamo in compenso molto più sulla civiltà materiale che non è priva di raffinatezze. Le più grandi case di Mohenjo-daro sono fatte di ambienti disposti intorno a una o più corti aperte, con delle scale che portano ai piani superiori, coperti da un tetto piatto. Queste case comportavano numerose stanze, delle vasche e dei bagni, con un sistema di distribuzione delle acque, di evacuazione in un tombino di ceramica, o nella fogna della strada adiacente. Infatti, la maggior parte delle strade hanno delle fogne coperte, in mattoni, con delle botole per l'ispezione poste a intervalli regolari.

Una delle caratteristiche di questa civiltà risiede nella sua evidente non-violenza. Contrariamente alle altre civiltà dell'Antichità, le ricerche archeologiche non pongono in evidenza la presenza di dirigenti potenti, di vasti eserciti, di schiavi, di conflitti sociali, di prigioni e altri aspetti classicamente associati alle prime civiltà. Tuttavia queste mancanze possono derivare anche dalla nostra conoscenza molto parziale di questa civiltà. In quanto alla religione, non ne rimangono che tracce labili: statuine assimilate spesso a delle dee madri, amuleti, rappresentazioni di sacrificio di un bufalo d'acqua. Ma anche degli alberi sacri e di un «proto-shiva», un uomo dalle molte teste in posizione yoga. Alcuni specialisti vi vedono delle premesse della religione indù.

L'ipotesi dell'esistenza di un'autorità sacerdotale è dovuta alla rappresentazione in statuetta, di un uomo i cui occhi semichiusi fanno pensare che stia in meditazione. Il suo abito da cerimonia, disseminato da disegni a trifoglio (valore simbolico?), e i gioielli che ornano la testa e il braccio del personaggio rafforzano l'ipotesi di una figura importante della società harappeana, forse un «re-sacerdote».

Mohenjo-daro fu un grande centro di commercio e di artigianato, con dei laboratori di vasai, di tintori, di metallurghi, di operai che lavoravano le conchiglie e le perle. Questi popoli hanno elaborato un'arte brillante, come testimoniano i sigilli in steatite, ornati da pittogrammi e da figure animali. D'altronde, una statuaria molto elegante, delle pitture ornamentali, dei gioielli di perle in steatite e in vetro attestano l'alto grado di civiltà a cui queste società erano giunte. L'artigianato produce una ceramica molto bella, finemente decorata, soprattutto delle giare.

La tecnologia dei trasporti come il carro tirato dai buoi e il battello hanno permesso degli scambi commerciali con una zona immensa, includendo delle zone dell'attuale Afghanistan, del Nord e del centro dell'attuale India e che si estendevano dalle regioni costiere della Persia alla Mesopotamia. I trasporti attraverso battelli erano fluviali e marittimi. Gli archeologi avevano scoperto a Lothal un canale collegato al mare e un bacino artificiale di attracco.

A partire dal secondo millennio a. C., degli scambi tra la valle dell'Indo e il golfo Persico sono attestati attraverso le tavolette sumeriche che fanno riferimento a un commercio orientale importante con la lontana contrada di Meluhha (da rapportare alla parola sanscrita mleccha, non ariana) che sembra riferirsi agli indusiani, il solo indizio che ci permetta di pensare che il suo popolo utilizzava questa parola per chiamare se stesso. Numerosi oggetti di tipo indù (giare, sigilli, pesi in pietra) sono stati scoperti nei siti del Golfo, regione identificata con Dilmun che, nei testi mesopotamici, serve da intermediario con Meluhha.

Verso il 1900 a. C. la civiltà dell'Indo entrò in declino rapidamente così come essa era apparsa. Gli abitanti delle grandi città cominciano ad abbandonarle e coloro che vi rimangono, sembrano avere difficoltà a nutrirsi. Intorno al 1800 a. C., la maggior parte delle città sono state abbandonate. L'età dell'oro del commercio interiraniano, segnato dalla presenza di numerosi "tesori" e ricche metropoli, sembra terminare tra il 1800 e il 1700 a. C., nel momento stesso in cui i testi mesopotamici cessano di parlare del commercio orientale. Un processo di regionalizzazione si accentua con la scomparsa degli elementi più caratteristici dell'unità harappeana: la scrittura, i sigilli o i pesi.

Durante i secoli successivi e contrariamente ai suoi contemporanei, la Mesopotamia e l'Egitto antico, la civiltà dell'Indo scompare dalla memoria dell'umanità. Contrariamente agli antichi Egiziani e Mesopotamici, gli indusiani non hanno costruito imponenti monumenti di pietra le cui vestigia ne perpetuino il ricordo.

Infatti, il popolo indusiano non è scomparso. All'indomani dell'affondamento della civiltà dell'Indo, emergono delle culture regionali che dimostrano che la sua influenza si prolunga, con gradi diversi. Vi è stata anche probabilmente un'emigrazione di una parte della sua popolazione verso est, verso la pianura gangetica. Ciò che è scomparso, non è un popolo ma una civiltà, le sue città, il suo sistema di scrittura, la sua rete commerciale che ne era il suo fondamento intellettuale.

Tuttavia, la civiltà dell'Indo non è stata cancellata poiché si stima che una parte della faccia "oscura" dell'induismo non sarebbe che una risorgenza delle concezioni di questa civiltà dell'Indo.

 

[Traduzione di Ario Libert]

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