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31 maggio 2014 6 31 /05 /maggio /2014 07:00

Guerra di classe nell'Inghilterra del XVIII secolo

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Lo storico Edward P. Thompson propone una riflessione sulla lotta di classe e il diritto di proprietà a partire dalla geurra dei boschi nell'Inghilterra del XVIII secolo. La sua riflessione storica solleva delle tematiche che si rivelano attuali. Questo storico inglese fa riferimento al marxismo "eterodosso". Ha scritto la celebre The Making of the English Working Class [tr. it.: Rivoluzione industriale e classe operaia in Inghilterra, Il Saggiatore, Milano, 1969]. Thompson non si accontenta di una storia conformista che descrive soltanto le istituzioni e gli avvenimenti politici, egli sviluippa una storia vista dal basso che s'incentra sulle classi popolari e le loro condizioni di vita. In  La Guerre des fôrets, analizza la repressione del bracconaggio e la resistenza popolare. Edward P. Thompson matura in un ambiente letterato dell'Inghilterra rurale. Dedica il suo primo libro a William Morris, il socialista anti-industriale rimane una figura del romanticismo rivoluzionario. Edward P. Thompson preferisce il socialismo utopistico al dogmatismo scientifico del marxismo accademico. Nel 1956, l'insurrezione ungherese è repressa nel sangue, lo storico lascia il Partito comunista per unirsi al movimento della "Nuova sinistra" (New Left). Partecipa alla creazione della New Left Review, ma si oppone a Perry Anderson che fa riferimenti allo stalinista Althusser. Edward P. Thompson denuncia questa versione dogmatica di una "forma religiosa del marxismo".

La lotta sociale di fronte al diritto

Apocalisse e rivoluzione. William Blake e la legge moraleNel 1723, in Inghilterra viene adottato il Black Act. Questa legislazione difende la proprietà privata e reprime la caccia e diverse altre attività.

Una burocrazia agraria fa applicare la legge, difendendo i propri interessi. Ma i contadini organizzano una resistenza collettiva per conservare il controllo delle terre contro i ricchi signori che se le accapparano. I contadini non esitano ad appropriarsi del bosco che si trova sulle terre che non appartengono loro. Una banda di bracconieri si organizza per poter prendere degli animali e resistere ai guardia caccia. I Blacks, guidati da "re Giovanni", incarnano la resistenza popolare di fronte al potere feudale. "Nel 1720-1722, il parco del vescovo fu attaccato in diverse riprese, la sua orda di cervi fu decimata, le sue case bruciate, il suo bosco distrutto, e si fece fuoco sul suo bestiame", scrive Edward P. Thompson.

I Blacks sono assimilati a dei giustizieri che ricompongono i conflitti riguardanti i diritti sulla legna, il pascolo e la pesca. Essi distruggono le foreste quando i signori proibiscono i contadini a prendere la legna. Ma una semplice minaccia basta a far piegare il potere dei proprietari. Il "re Giovanni" è paragonato anche al leggendario Robin Hood. "Il risentimento accumulato per decenni lo protesse, lui e la sua banda, il che gli permise di spostarsi alla luce del sole e di far regnare una giustizia del popolo", fa notare Edward P. Thompson. Questi ribelli sociali diffondono delle pratiche di resistenze individuali. Dei bracconieri, dei ladri, dei contrabbandieri, dei pescatori e dei forestali non esitano più a infrangere l'autorità feudale.

Ma il governo monarchico si impegna a reprimere i Blacks. Non soltanto per la loro azione, ma anche perché possono diventare una forza politica. "I Blacks, per un anno o due, avevano usufruito del sostegno delle comunità forestali, come i Ludditi, più tardi, quello dei tessitori", osserva Edward P. Thompson. Il Black Act permette allora di imporre una repressione giudiziaria particolarmente dura. Si tratta di dare degli esempi per dissuadere i contadini di commettere delle azioni illegali. "Ciò che testimonia il Black Act, era il lungo declino dell'efficacia dei metodi antichi di controllo e di disciplina di classe, e la loro sostituzione con un mezzo standard di autorità: L'uso esemplare del terrore", analizza Edward P. Thompson.

Malgrado la sua milantata neutralità, la legislazione difende soprattutto una politica di classe per proteggere i possidenti. I diritti e la soddisfazione dei bisogni dei poveri diventano dei crimini: Bracconaggio. furto di legna, violazione di proprietà privata. La legge permette di legittimare la società di classe, "Ma l'ineguaglianza decisiva risiedeva nell'esistenza di una società di classe in cui i diritti consuetudinari non monetari erano reificati, dalla mediazione dei tribunali, in diritti di proprietà capitalisti", analizza Edward P. Thompson. Il conflitto forestale oppone gli utilizzatori agli sfruttatori.

Questo studio storico di Edward P. Thompson permette una riflessione marxista sul diritto. Secondo il marxismo volgare, la legislazione si riduce a una semplice "sovrastruttura" che riflette le necessità di una infrastruttura dei rapporti di produzione. I rivoluzionari non devono dunque interessarsi al diritto secondo questa vulgata, perché non riflette che l'ipocrisia della classe dominante. Per Edward P. Thompson, il diritto non si riduce a una finzione mistificatrice e ideologica e merita uno studio serio. Il diritto dispone anche di una logica, con delle regole e delle procedure proprie. La legislazione permette di organizzare una società complessa. "Il diritto era dunque profondemente imbricato nella base stessa dei rapporti di produzione che, senza di esso, sarebbero stati inoperanti", analizza Edward P. Thompson. Delle norme concorrenti si oppongono e la legge non incarna un consenso ma rimane uno spazio di conflitto. Il diritto non si riduce all'ideologia di un apparato di Stato e di una classe dirigente. Le forme di diritto esprimono un conflitto e un rapporto di classe.

Il diritto può diventare "uno strumento di scelta grazie al quale questi dirigenti poterono imporre nuove definizioni della proprietà, sempre più a loro vantaggio" osserva Edward P. Thompson. Il diritto d'uso agrario sparisce così a profitto delle recinzioni. Ma la legislazione evolve anche con le lotte sociali e permette allora di imporre dei freni all'azione dei dominanti. La lotta intorno al diritto e nelle forme del diritto non è dunque da trascurare affatto.

E. P. Thompson e il marxismo critico

Lo storico Philippe Minard presenta le sue analisi sul testo di Thompson. Questo studio apre una riflessione sulla legislazione ma anche sull'opposizione tra i proprietari ed i fruitori. "Thompson discerne la questione centrale della proprietà: la posta è quella della difesa dei diritti collettivi contro una definizione più assoluta e più esclusiva della proprietà, aprendo la via all'individualismo proprietario che il capitalismo farà presto trionfare", osserva Philippe Minard.

Lo studio di Thompson si iscrive nel contesto degli anni 1960-1970 che vedono emergere una nuova storia sociale. Questa storia "dal basso" evoca il popolino, i senza gradi, i declassati e la folla degli anonimi piuttosto che le personalità e gli intrighi della corte reale. Lo studio sulla criminalità viene privilegiato, per dargli un senso nei confronti dell'insieme della società. Questa corrente storica permette anche di scrutare gli ingranaggi della giustizia e dello Stato.

La legalità popolare contesta la legalità ufficiale. Questa forma di resistenza si oppone allo sfruttamento economico e al dominio sociale. La "criminalità sociale" si imparenta a una forma di contestazione popolare che si appoggia sulla tradizione delle solidarietà comunitarie. I diritti consuetudinari permettono ai contadini di utilizzare una terra che non apparteneva loro, soprattutto per la spigolatura. Ma, a partire dal XVIII secolo, i proprietari fondiari ricchi impongono le recinzioni. La redditività dell'investimento agricolo prevale sui diritti delle usanze. Le recinzioni vietano l'accesso e "privatizzano" completamente la terra. Progressivamente, "L'individualismo proprietario guadagna allora del terreno, radicando negli spiriti una definizione sempre più assoluta della proprietà", scrive Philippe Minard. Il "crimine sociale" esprime allora una protesta degli spodestati. Anche se i contadini denunciano soprattutto l'individualismo possessivo, oltre che le strutture dell'economia di marcato e il principio stesso di proprietà.

La riflessione di Thompson sul diritto sembra contestabile. Lo storico critica la concezione marxista ristretta con la legislazione come semplice riflesso ideologico del dominio di classe. La legge permette anche di materializzare un rapporto di forza sociale e può evolvere con le lotte. Ma Thompson sembra torcere il bastone nell'altro senso. Fa anche l'apologia dei movimenti legalisti come quello di Gandhi. Sembra allora illudersi in rapporto allo Stato di diritto, come supposto protettore delle libertà. E' il rapporto di forza sociale che fa cambiare la legge, e non il diritto che cambia il rapporto di forza sociale. Le lotte possono evidentemente appoggiarsi sul diritto, ma non devono limitarsi a questo strumento, a rischio di diventare unicamente difensive e a fallire.

Ma la distruzione dello Stato deve rimanere la prospettiva dei movimenti di lotta. Lo stato non è un semplice strumento della borghesia come lo pretendono i marxisti-leninisti. Thompson diventa allora più interessante della maggior parte degli ideologi marxisti come un Poulantzas riscoperto da degli accademici del Front de gauche che aspira a gestire lo Stato piuttosto che a distruggerlo. Per essi, se lo Stato cambia di mano, una politica diversa può essere condotta. Thompson dimostra che lo Stato rimane una burocrazia autonoma con le sue proprie regole. Prendere il potere di Stato non cambia niente. Non si deve rafforzare lo Stato, ma distruggerlo  per costruire una nuova società.

Ma Thompson permette una vera riflessione storica. Egli si oppone al marxismo strutturalista, incarnato da Althusser e Perry Anderson. I suoi ideologi privilegiano un marxismo meccanico e teorico che sembra tagliato fuori dalla vita quotidiana. Al contrario, E. P. Thompson ritiene utile ricostruire un contesto storico, descrivere dei personaggi, immergersi negli archivi. Propone una storia empirica, in diretta con la realtà, e una descrizione minuziosa della vita quotidiana.

 

[Traduzione di Ario Libert]

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6 novembre 2009 5 06 /11 /novembre /2009 20:55
"Sir, No, Sir!"

 

Il caffè Oleo Strut luogo di nascita della contestazione all'interno delle forze armate USA della guerra del Vietnam

Ribellione non-violenta. "Sir, No sir!" [Signore, Nossignore!]. Storia sconosciuta della ribellione dei GIs all'interno dell'esercito americano contro la guerra del Vietnam. Intervista di David Zeiger produttore del film documentario "Sir, NO, Sir!" qui ripercorre la lotta all'interno dell'esercito americano del Movimento GI per porre fine alla guerra del Vietnam. Questa lotta è sconosciuta, il Pentagono ha fatto di tutto perché fosse occultata, Hollywood l'ha aiutato. Il fatto che questo documentario ora esca è per tutti questi veterani di cui alcuni sono diventati dei militanti anti-guerra, un'opportunità per opporsi a tutti i guerrafondai del Pentagono



Presentazione

Vietnam, bombardamento al napalm.


L'Oleo Strut era un caffè di Killeen Texas. È stato attivo dal 1968 al 1972. E come indica il suo nome era una base di atterraggio morbido per i GIs in stato di choc di ritorno dal Vietnam.


Conseguenze dei bombardamenti al napalm



Vietnam, Massacro di My Lai 16 marzo 1968.

Di ritorno alla base di Fort Hood, Texas, i GIs storditi dai bombardamenti del Vietnam vi hanno trovato un aiuto tra i clienti regolari del bar, la maggior parte soldati anziani ed alcuni civili che li compativano. Non rimasero a lungo storditi e passarono rapidamente dallo stato di choc alla rabbia ed all'azione.

Stati Uniti, Massacro alla Università dello stato del Kent (4 studenti uccisi), 4  maggio 1970.

I GIs trasformarono l'Oleo Strut in quartier generale anti-guerra, uno di quelli che fiorirono in Texas, pubblicavano un giornale clandestino anti-guerra, organizzavano dei boicottaggi, guidavano delle marce pacifiste. Aprirono anche una sede ufficiale.


Guerra aerea nel Vietnam del Nord 01 di 05.

David Zeiger era uno dei civili che si occupavano del bar Oleo Strut. Si è in seguito costruito una carriera di attivista politico e oggi a 55 anni è produttore di film ed il regista di "Sir, NO, sir!" [Signore, Nossignore!], un documentario sulle attività anti-guerra dei GIs di Ford Hood a Saigon, attività completamente dimenticate.

Stati Uniti, Protesta contro la guerra del Vietnam davanti al Pentagono, 1967.

Il Movimento GI come era allora chiamato, comprendeva sia veterani ritornati da poco dal Vietnam e di soldati attivi. Si sono battuti per la pace conducendo piccole e grandi azioni, che andavano dall'organizzazione di movimenti anti-guerra all'indossare simboli pacifisti al posto delle loro insegne militari.


 

Sin dagli inizi degli anni 70, l'opposizione alla guerra tra i veterani e nelle fila stesse dell'esercito si era esteso in un modo tale che nessuno poteva pretendere che opporsi alla guerra voleva dire opporsi alle truppe. I veterani chiedevano la fine della guerra ed i loro fratelli soldati nel Vietnam erano d'accordo con loro.


GIs, Jane Fonda all'Oleo Strut di Killeen, Texas, 1970

Zeiger ha rimandato per anni la produzione del suo film perché il pubblico non voleva più sentir parlare degli anni 60. Ciò che ha finalmente fatto uscire il progetto dai cassetti, è stata la guerra in Iraq ed il ruolo che alcuni veterani del Vietnam svolgono per evitare che dei giovani americani, donne e uomini, non vedano gli orrori che essi hanno visto in Vietnam.

Quando i GIs impegnati nella dell'Iraq sono ritornati ed hanno cominciato a porsi delle domande sul perché  combattevano, la storia di quel che Zeiger aveva vissuto al caffè Oleo Strut è ridiventata d'attualità.

Il suo film è un notevole montaggio di storie di veterani che raccontano l'intensificazione della loro resistenza alla guerra cominciando con quella degli obiettori isolati della fine degli anni 60 e culminante con la disobbedienza aperta nelle fila dell'esercito degli anni 70.

Uno dei veterani ricorda un episodio del 1972 nel corso del quale dei membri della polizia militare raggiunsero i coscritti per bruciare l'effigie  del loro comandante. Le immagini che accompagnano i racconti sono tutte così forti. Quando un giovane dottore è scortato sino al tribunale militare per aver rifiutato di addestrare dei GIs, centinaia di coscritti sporgono dalle finestre vicine e fanno il segno della vittoria per sostenerlo.

È un'immagine che l'Esercito non voleva che il popolo americano vedesse in quel momento e probabilmente non vuole nemmeno ora.

Il documentario "Sir, No Sir" (Comandante, NO mio comandante) ha ricevuto il documentary audience Reward al festival di Los Angeles.


  Video You Tube contro la guerra del Vietnam


Intervista di " Mother Jones", rivista politica statunitense, a David Zeiger


MJ: Parlateci della vostra partecipazione al Movimento GI.

DZ: Alla fine degli anni 60 ho concluso che non c'era veramente alcuna alternativa per me se non partecipare al movimento anti-guerra. La mia opposizione alla guerra si era approfondita, ma non ero allora direttamente coinvolto. Ho cominciato a guardarmi intorno per vedere qual era il miglior posto per dare un aiuto.

Sono entrato in contatto con questo piccolo gruppo del Movimento GI, alcuni veterani e alcuni civili di Fort Hood a Killeen Texas.

Divenne rapidamente molto chiaro per me che era questo il modo  più diretto e più solido di combattere la guerra. C'era una situazione in cui le persone si opponevano alla guerra là dove non ci si aspettava che vi si opponessero. Non soltanto perché erano degli GIs. Erano soprattutto delle persone provenienti dalle classi lavoratrici, delle persone che si erano ritrovate nell'esercito per dei motivi patriottici o perché era quel che si faceva. E stavano per diventare una delle forze più avverse alla guerra.

MJ: Cosa vi ha condotto verso questo progetto?


DZ: Ho cominciato a fare dei film agli inizi degli anni 90. Sapevo che era una di quelle storie che doveva essere raccontata e che non lo era stata mai. Ma ho sempre pensato che era un film che doveva essere girato ma non da me. All'epoca non era un film che avrebbe potuto avere un impatto sulle persone. Sarebbe stato percepito come una storia in più sugli anni 60. Ciò che mi ha spinto a fare il film sono gli avvenimenti del 11 settembre e la guerra contro il terrorismo che si trasformava nella guerra in Iraq. Ho capito che era una storia in consonanza con quanto  accadeva ora, che era legata alla storia attuale.

MJ: Come avete trovato i veterani che compaiono nel film?


DZ: Molti di loro, li conoscevo già da Fort Hood. Altri facevano parte di organizzazioni di veterani come "Veterani del Vietnam Contro la Guerra" ed i "Veterani per la Pace". Ho utilizzato le loro reti per passare degli appelli ai testimoni. Ho anche incontrato delle persone di cui nessuno aveva mai sentito parlare. La loro missione era così segreta che erano minacciati di essere perseguitati dalla Giustizia Federale se avessero reso di pubblico dominio le loro storie. Sono venuti a trovarmi e mi hanno detto: "Vogliamo finalmente raccontare la nostra storia. Non abbiamo potuto raccontarla per 35 anni". Non sappiamo cosa può loro accadere. Lo sapremo quando le proiezioni cominceranno.

MJ: Ciò ha richiesto degli sforzi per far parlare i veterani? Il pubblico vede sempre il veterano del Vietnam come qualcuno che ha troppo sofferto per parlare delle sue esperienze in pubblico.

DZ: Sì, è un grande mito. Nel nostro caso la cosa non è stata troppo difficile. Ci sono delle persone le cui storie sono state soppresse ed ignorate dalla guerra. Sapevano che le loro storie erano delle storie della guerra del Vietnam che dovevano essere raccontate. Per la maggior parte dei veterani c'era una necessità di raccontare le loro storie, storie che la maggioranza delle persone non volevano sentire. Non è un problema di reticenza.

MJ: Il film ha attirato molta attenzione in Europa. Pensate che sarà lo stesso negli Stati Uniti?

DZ: Sì, come posso dire? Avevo previsto questo tipo di interesse ma non è che una volta che il film è stato realizzato che la TV americana ha capito il legame con la situazione attuale. Prima è stato duro farglielo capire...

MJ: Avete menzionato che eravate un organizzatore civile a Fort Hood durante la guerra del Vietnam. A quest'epoca il pubblico civile aveva una certa conoscenza del Movimento GI?

DZ: Certo. Come si può vedere nel film, vi erano alla CBS delle informazioni notturne riguardanti il Movimento GI. Il Film menziona un presentatore che parla della stampa clandestina GI. Nello stato del Texas, c'era un importante movimento anti-guerra a Houston ed Austin, c'era anche il centro del movimento texano a Fort Hood in un'epoca, là dove si svolgevano delle cerimonie militari importanti per tutto lo stato. Penso che le persone sapevano che vi erano dei movimenti di opposizione all'interno dell'esercito ma non conoscevano i dettagli della loro ampiezza. Ma era certamente più importante di ciò che la gente si ricorda. Ciò è stato minuziosamente cancellato dalla memoria della storia legata a questa guerra.

MJ: Quale visibilità aveva il Movimento GI tra i soldati americani impiegati nel Sud Est Asiatico? Sapevano che i loro compagni d'armi protestavano contro la guerra sulle basi militari degli Stati Uniti?

DZ: Sì. Si trovava la stampa GI anti-guerra dappertutto. Praticamente tutte le basi avevano un giornale clandestino. GI Vietnam fu il primo giornale. Era spedito direttamente in Vietnam dagli Stati Uniti, stampato in 5000 copie e distribuito dappertutto passando di mano in mano. Il Movimento GI era conosciuto a differenti livelli, era ampiamente diffuso.

MJ: Come i GIs riuscivano a scrivere quando le loro azioni erano probabilmente sorvegliate?

DZ: È qui che entrano in gioco i caffè. I GIs fecero la maggior parte del lavoro all'esterno delle basi. Al caffè Oleo Strut c'era un ufficio in cui essi lavoravano ed una tipografia che stampava per noi. Alcuni di questi giornali erano riprodotti segretamente nelle basi militari perché i tipi che ci lavoravano erano degli impiegati che avevano accesso alle risorse adeguate per farlo. Così un foglio che uno aveva battuto a macchina poteva essere riprodotto in 500 esemplari, altri più sofisticati come il Fatigue Press di Fort Hood dove avevamo una tipografia era stampato in 10.000 copie. Erano distribuiti fuori dalla base ma anche all'interno. Degli individui li introducevano di nascosto nella base distribuendoli nelle baracche in cui erano nascosti sotto i letti o nell'armadio delle scarpe.

Una delle storie che non abbiamo incluso nel film, è quella dei tipi di Fort Kawis vicino a Seattle. Volevano portare dei GIs ad una manifestazione anti-guerra, ma non avevano ancora un giornale clandestino. Essi presero un pacco di volantini e li lanciarono dalle finestre. Nell'esercito se vi sono dei rifiuti per terra i graduati non li raccolgono ma inviano i GIs a farlo. Dunque il giorno seguente inviarono diverse compagnie a raccoglierli e prima che realizzassero quanto era accaduto era già molto tardi. È divertente: la repressione sostiene l'innovazione.

MJ: Il film parla molto di questi caffè per GIs e come alcuni tra di loro furono attaccati e chiusi. I GIs si batterono per far rispettare i loro diritti alla libertà di espressione?

DZ: Sì, e vi furono molti casi che giunsero alla Corte Suprema. La Corte Suprema decideva spesso che le considerazioni militari prevalevano sul diritto alla libertà di espressione. Ma vi fu un sostegno fantastico da parte degli avvocati durante questo periodo del Movimento GI che erano di aiuto contro queste decisioni. Vi furono numerosi casi di GIs che contravvenivano gli ordini militari di non distribuire i giornali clandestini nelle basi
. Nessuno ha vinto ma ci furono numerosi tentativi di cambiare le cose.

MJ: Per quali motivi pensate che il Movimento GI si è cancellato dalla memoria pubblica per quel che riguarda il Vietnam?

DZ: Vi sono molti fattori. Vi fu il fatto che alla fine degli anni 70 le persone hanno voluto dimenticare. Hollywood nelle sue produzioni non ha mai menzionato il Movimento GI nei suoi film sulla guerra del Vietnam negli anni 70. Poi negli anni 80, il clima politico durante l'amministrazione Reagan andò nel senso di una riscrittura della storia. Naturalmente se riscrivete la storia della guerra del Vietnam adottando un punto di vista di destra, il Movimento GI non figura. Il Movimento GI non apparve  nei  film di quest'epoca, fu completamente eliminato dalla storia per ragioni politiche ed altro ancora.

MJ: La riscrittura della storia che voi menzionate fa apparire le truppe composte di onorevoli boys americani che sostengono la guerra, in opposizione agli hippies che la contestano. Il vostro film mostra chiaramente che questa distinzione è falsa e che ciò deriva da false etichettature. Quale impatto pensate che il vostro film avrà sulle giovani generazioni la cui sola esperienza del Vietnam è quella di una storia che è stata rivisitata?

DZ: Spero che colpirà veramente le persone. Che usciranno dal cinema pensando "Merda, mi hanno mentito dalla A sino alla Z, bisogna che studi l'argomento seriamente". E penso che è importante soprattutto in rapporto a ciò che accade oggi. Voglio che le persone si pongano seriamente delle domande sul fatto che opporsi alla guerra sarebbe opporsi ai soldati. Spero che giungeranno alla conclusione che non sia così. È una prospettiva politica, quella della destra, una prospettiva pro-guerra.

È una prospettiva politica che scalza la costruzione di ogni movimento serio contro la guerra al contempo sia tra i civili e tra i GIs. Il modo in cui si riassume la guerra del Vietnam è che era "impopolare" e che ciò turbava i GIs. E le persone oggi dicono: "Sì, è vero che la guerra in Irak è impopolare allora ciò turberà i GIs".

La guerra del Vietnam non era impopolare era criminale.

MJ: Una delle immagini più impressionanti del film è quella in cui si vede l'entrata del bastimento mercantile di Fort Dix nel New Jersey in cui appare una scritta che recita "L'obbedienza alla legge è la libertà". La guerra del Vietnam è stata contrassegnata dal fatto che non si poteva più credere negli Stati Uniti a quest'assioma. Quali sono le conseguenze a lungo termine della guerra del Vietnam secondo voi?
DZ: Quella scritta riassume esattamente il punto di vista dell'esercito sulla vita militare. Le conseguenze sono che è almeno possibile tener testa e vincere un Impero molto potente.

Uno dei tizi nel film fa una constatazione che non abbiamo utilizzato: gli Stati Uniti avevano l'esercito pià potente del mondo, il meglio equipaggiato, il meglio addestrato, il meglio nutrito... e abbiamo perso. Ci siamo fatti battere da una forza indigena che ha completamente distrutto la possibilità per gli Stati Uniti di installarsi nel loro paese.

Ed è una lezione universale, una lezione estremamente pericolosa per ogni paese che, malgrado lo neghi, è di fatto incline a voler essere un Impero mondiale. È incoraggiante per chiunque non voglia più vivere questo tipo di situazione.


[Traduzione e ricerca iconografica di Ario Libert]


Copyright Mother Jones


Sito della rivista:
Moter Jones

Domenica 18 settembre 2005

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