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27 maggio 2018 7 27 /05 /maggio /2018 14:08

28 LA MACCHINA DEL CIELO

Ma il lettore moderno, che non si aspetta uno stile da ninna-nanna da un testo di meccanica celeste, insiste, insiste sulla sua capacità di comprensione immediata delle «immagini» mitiche, perché egli rispetta come « scientifiche» soltanto le formule di approssimazione lunghe una pagina e cose simili.
Non gli vien fatto di pensare che in passato una conoscenza altrettanto importante potesse venir espressa nella lingua di tutti i giorni. È una possibilità che nemmeno sospetta, anche se le realizzazioni delle civiltà antiche - basti pensare alle piramidi o alla metallurgia - dovrebbero esser motivo probante per concludere che dietro le quinte lavorava gente seria e intelligente, che non poteva servirsi di una terminologia tecnica... [1].

Il passo citato è del compianto Giorgio de Santillana, professore di Storia della Scienza presso il Massachusetts Institute of Technology. Nei capitoli seguenti ci accosteremo alle sue rivoluzionarie ricerche sulla mitologia antica. A ogni modo, in poche parole, la sua teoria è questa: un'infinità di secoli fa, persone serie e intelligenti misero a punto un sistema per velare la terminologia tecnica di un'avanzata scienza astronomica dietro la lingua comune del mito.
Ha ragione de Santillana? E se sì, chi erano quelle persone serie e intelligenti - quegli astronomi, quegli antichi scienziati — che lavorarono dietro le quinte della preistoria?
Iniziamo con qualche rudimento.

La sfrenata danza celeste

La terra compie un giro completo intorno al proprio asse ogni ventiquattro ore e ha una circonferenza all'equatore di 40.076 chilometri. Quindi, di conseguenza, un uomo che stia in piedi immobile sull'equatore in realtà si muove, girando insieme al pianeta a poco più di milleseicento chilometri all'ora [2]. Visto dallo spazio, guardando verso il Polo Nord, il verso della rotazione è antiorario.
Durante la sua rotazione giornaliera intorno al proprio asse, la terra gira anche intorno al sole (sempre in verso antiorario) descrivendo una traiettoria che non è perfettamente circolare, bensì leggermente ellittica. Segue questa orbita a una velocità davvero folle, visto che in un'ora percorre ben 106.500 chilometri, quanti un automobilista medio ne fa in sei anni. Per riportare questi calcoli in scala, ciò significa che precipitiamo attraverso lo spazio a una velocità molto maggiore di qualsiasi pallottola, ben trenta chilometri al secondo. Nel tempo che avete impiegato a leggere questo paragrafo, siamo avanzati di circa ottocentottanta chilometri lungo l'orbita della terra intorno al sole [3].
Poiché ci vuole un anno per compiere un giro completo, l'unica prova che abbiamo di questa portentosa corsa orbitale a cui partecipiamo è il lento passare delle stagioni. E proprio nell'avvicendamento delle stagioni è possibile vedere all'opera un meccanismo mirabile e imparziale, che distribuisce equamente la primavera, l'estate, l'autunno e l'inverno su tutto il globo, sull'emisfero boreale e su quello australe, anno dopo anno, con regolarità assoluta.
L'asse di rotazione della terra è inclinato rispetto al piano della sua orbita (di circa 23,5° rispetto alla verticale). Questa inclinazione, che determina le stagioni, « punta » il Polo Nord e l'intero emisfero boreale lontano dal sole per sei mesi all'anno (mentre nell'emisfero australe è estate), e punta il Polo Sud e l'emisfero australe lontano dal sole per i rimanenti sei mesi (mentre nell'emisfero boreale è estate). Le stagioni sono il risultato della variazione annuale dell'angolazione con cui i raggi del sole colpiscono un qualsiasi punto dato della superficie terrestre e della variazione annuale del numero di ore di luce solare che quel punto riceve in periodi diversi dell'anno.

L'inclinazione della terra si chiama in linguaggio tecnico «obliquità», e il piano della sua orbita, prolungato a formare un grande cerchio nella sfera celeste, è noto con il nome di «eclittica». Gli astronomi parlano anche dell'«equatore celeste», che è un'estensione dell'equatore della terra nella sfera celeste. L'equatore celeste è attualmente inclinato di circa 23,5° rispetto all'eclittica, poiché l'asse della terra è inclinato di 23,5° rispetto alla verticale. Questo angolo, chiamato «obliquità dell'eclittica», non rimane sempre fisso e immutabile. Al contrario, (come abbiamo visto nell'undicesimo capitolo, a proposito della datazione della città andina di Tiahuanaco) è soggetto a costanti, seppur lentissime, oscillazioni. Queste sono comprese entro un raggio leggermente inferiore a 3° e raggiungono rispettivamente la vicinanza massima alla verticale a 22,1° e la distanza massima a 24,5°. Un ciclo completo, da 24,5° a 22,1°, e di nuovo indietro fino a 24,5° si compie in circa 41.000 anni [4].

Quindi, il nostro fragile pianeta s'inclina e ruota mentre si libra lungo la sua traiettoria orbitale. L'orbita si compie in un anno e la rotazione in un giorno, mentre l'inclinazione ha un ciclo di 41.000 anni. Una sfrenata danza celeste sembra impazzare mentre balziamo, ci lanciamo e piombiamo attraverso l'eternità, e ci sentiamo in balìa di spinte contraddittorie che da una parte ci precipitano contro il sole, e dall'altra ci mettono in corsa verso le tenebre dello spazio esterno.

Influenze recondite

Oggi si sa che il dominio gravitazionale del sole, nei cui cerchi interni la terra è tenuta prigioniera, si estende per più di ventiquattro quintilioni di chilometri nello spazio, quasi a metà strada dalla stella più vicina [5]. Perciò la forza di attrazione che esercita sulla terra è immensa. Ma siamo anche sottoposti all'influenza della forza di gravita degli altri pianeti con cui dividiamo il sistema solare. Ciascuno di questi esercita una forza di attrazione che tende a far uscire la terra dalla sua regolare orbita intorno al sole.

 

 

 

Tuttavia, i pianeti hanno dimensioni diverse e ruotano intorno al sole a velocità diverse. Così l'influsso gravitazionale combinato che riescono a esercitare varia nel tempo secondo modalità complesse ma prevedibili, e per reazione a esso l'orbita cambia costantemente forma. Poiché l'orbita è un'ellissi, questi cambiamenti influiscono sul suo grado di elongazione, conosciuta tecnicamente con il nome di «eccentricità». Questa varia tra un valore basso prossimo allo zero (quando l'orbita si avvicina alla forma di un cerchio.perfetto) e un valore alto intorno al 6% quando è al massimo dell'elongazione e della forma ellittica [6].

Ma ci sono anche altre forme di influsso esercitate dai pianeti. Così, sebbene il fenomeno non abbia ancora trovato una spiegazione, si sa che le frequenze radio a onde corte risultano disturbate quando Giove, Saturno e Marte si trovano allineati [7]. E a questo riguardo sono emerse anche prove: "...di una strana e inaspettata correlazione tra le posizioni di Giove, Saturno e Marte nelle loro orbite intorno al sole, e la presenza di forti disturbi elettrici nell'atmosfera superiore della terra. Questo fatto sembrerebbe indicare che i pianeti e il sole fanno parte di un meccanismo di equilibrio cosmico-elettrico che si estende per trillioni di chilometri dal centro del nostro sistema solare. Un siffatto equilibrio elettrico non è spiegato dalle teorie astrofisiche esistenti [8].

Il New York Times, da cui è tratto il succitato brano, non tenta di chiarire ulteriormente la questione. Probabilmente i suoi autori ignorano quanto riecheggino Berosso, lo storico, astronomo e veggente caldeo del terzo secolo a.C., il quale fece un approfondito studio dei segni che a suo avviso predicevano la distruzione finale del mondo. Così concludeva: «Io Berosso, interprete di Bello, affermo che tutto ciò che la terra ha ereditato verrà consegnato alle fiamme quando i cinque pianeti si riuniranno in Cancro, disponendosi in un'unica fila sicché una retta potrebbe trapassare le loro sfere» [9].

Una congiunzione di cinque pianeti che con ogni probabilità potrebbe avere marcati effetti gravitazionali avrà luogo il 5 maggio dell'anno 2000, quando Nettuno, Urano, Venere, Mercurio e
Marte si allineeranno con la terra dalla parte opposta del sole, causando una sorta di tiro alla fune cosmico [10]. È anche il caso di rilevare che gli astrologi moderni che hanno elaborato la data indicata dai maya per la fine del Quinto Sole, calcolano che a quel tempo si verificherà una disposizione dei pianeti assai singolare, addirittura una disposizione talmente singolare che «si può verificare solo una volta ogni 45.200 anni... Da questo assetto straordinario ci possiamo ben aspettare un effetto straordinario» [11].

Nessuna persona assennata accetterebbe a occhi chiusi un'affermazione come questa. Tuttavia, non si può negare che apparentemente all'interno del nostro sistema solare agiscono vari influssi, molti dei quali non comprendiamo appieno. Tra questi influssi, è particolarmente forte quello del nostro stesso satellite, la luna. I terremoti, per esempio, si verificano con maggiore frequenza quando la luna è piena oppure quando la terra si trova tra il sole e la luna; quando la luna è nuova o si trova tra il sole e la terra; quando la luna attraversa il meridiano della località colpita; e quando la luna tocca il punto di massima vicinanza con la terra della sua orbita.12 Invero, quando la luna raggiunge quest'ultimo punto (tecnicamente denominato «perigeo»), la sua forza di attrazione gravitazionale aumenta di circa il sei per cento. Questo accade ogni ventisette giorni e un terzo. L'attrazione di marea che esercita in queste situazioni non solo influisce sui grandi movimenti dei nostri oceani ma anche sui bacini di magma bollente chiusi all'interno della sottile crosta terrestre (che è stata paragonata a «un sacchetto di carta pieno di miele o di melassa che si muova girando su se stesso a una velocità di oltre milleseicento chilometri orari nella rotazione equatoriale, e più di centomila chilometri orari nell'orbita» [13]).

L'oscillazione di un pianeta deforme

Tutto questo moto circolare, ovviamente, genera delle immense forze centrifughe e queste, come dimostrò Newton nel diciassettesimo secolo, fanno sì che il «sacchetto di carta» della terra si gonfi all'altezza dell'equatore, con il risultato di provocare un appiattimento in corrispondenza dei poli. Di conseguenza, il nostro pianeta si discosta leggermente dalla forma di una sfera perfetta ed è definito con maggiore precisione come un «elissoide schiacciato». Il suo raggio equatoriale (6378,4 chilometri) è più lungo del suo raggio polare di ventuno chilometri e mezzo (6356,9 chilometri) [14].

Per trilioni di anni i poli appiattiti e l'equatore rigonfio si sono cimentati in un'interazione matematica velata con l'influsso recondito della forza di gravita. «Poiché la terra è appiattita», spiega un'autorità, «la forza di gravita della luna tende a inclinare l'asse terrestre in modo che diventi perpendicolare all'orbita lunare, e in misura minore lo stesso vale per il sole» [15].

Contemporaneamente il rigonfiamento equatoriale - la massa in eccesso distribuita intorno all'equatore - agisce come il bordo di un giroscopio per tenere la terra ferma sul suo asse [16]. Anno dopo anno, su scala planetaria, questo effetto giroscopico impedisce alla forza di attrazione del sole e della luna di alterare radicalmente l'asse di rotazione della terra. La forza di attrazione che questi due corpi esercitano unitamente è, comunque, abbastanza forte da costringere l'asse a «precessare», cioè a oscillare lentamente in senso orario, contrario a quello della rivoluzione della terra.

Questo importante moto è il marchio di riconoscimento del nostro pianeta all'interno del sistema solare. Chiunque abbia fatto girare una volta una trottola dovrebbe essere in grado di capirlo senza tante difficoltà; in fondo, una trottola non è altro che un tipo di giroscopio. Quando gira a velocità piena e continua sta in piedi. Ma appena il suo asse viene deviato dalla verticale, comincia a manifestare un secondo comportamento: una lenta e ostinata oscillazione contraria che descrive un grande cerchio. Questa oscillazione, che è la precessione, cambia la direzione verso cui punta l'asse mentre mantiene costante il suo angolo di inclinazione appena raggiunto.

Un'altra analogia, per certi versi differente per approccio, forse potrà contribuire a chiarire un po' di più le cose:

1 Immaginate la terra librata nello spazio, inclinata approssimativamente di 23,5° rispetto alla verticale mentre compie una rotazione intorno al proprio asse ogni ventiquattro ore.
2 Immaginate quest'asse come un perno fortissimo che passi per il centro della terra ed esca dal Polo Nord e dal Polo Sud prolungandosi in entrambe le direzioni.
3 Immaginate di essere un gigante, che attraversi a grandi passi il sistema solare, con l'ordine di eseguire un compito speciale.
4 Immaginate di avvicinarvi alla terra inclinata (la quale, a causa delle vostre dimensioni, ora non vi appare più grande di una ruota di mulino).
5 Immaginate di tendere le mani e di afferrare le due estremità del prolungamento dell'asse.
6 E immaginate di cominciare a farle girare in direzioni opposte, spingendo una estremità e tirando l'altra.
7 Quando siete arrivati la terra già girava.
8 I vostri ordini, perciò, non sono di agire sulla sua rotazione assiale, ma piuttosto di impartirle l'altro suo movimento: quel la lenta oscillazione in senso orario detta precessione.
9 Per eseguire questa commissione dovrete spingere la punta settentrionale del prolungamento dell'asse verso l'alto e descrivere un grande cerchio nell'emisfero celeste settentrionale mentre contemporaneamente tirate la punta meridionale descrivendo un cerchio della stessa ampiezza nell'emisfero celeste meridionale. Per farlo dovrete compiere con le mani e le spalle un lento movimento rotatorio, come se agiste su due pedali.
10 State attenti, però. La «ruota di mulino» della terra è più pesante di quanto non sembri, tanto più pesante, infatti, che vi ci vorranno 25.776 anni [17] per far compiere alle due punte del suo asse un ciclo di precessione completo (alla fine del quale saranno rivolte verso gli stessi punti della sfera celeste di quando siete arrivati).
11 Oh, e a proposito, giacché avete cominciato possiamo anche dirvi che non potrete mai più andarvene. Appena un ciclo di precessione si conclude, deve iniziarne un altro. E poi un altro... e un altro... e un altro... e così via, all'infinito, per sempre.
12 Se volete, potete considerarlo uno dei meccanismi basilari del sistema solare o, se preferite, uno dei comandamenti fonda mentali della volontà divina.

A poco a poco, in questo processo, mentre fate scorrere pian piano il prolungamento dell'asse per i cieli, le sue due estremità punteranno ora in direzione di una stella ora di un'altra alle latitudini polari dell'emisfero celeste australe (e a volte, naturalmente, in direzione del vuoto), e ora in direzione di una stella ora di un'altra nelle latitudini polari dell'emisfero celeste australe. Stiamo parlando, qui, di una sorta di gioco della bottiglia tra le stelle circumpolari. E a tenere tutto in movimento è la precessione assiale della terra, un movimento impresso da immense forze gravitazionali e giroscopiche, regolare, prevedibile e relativamente facile da calcolare con l'ausilio di attrezzature moderne. Così, per esempio, la stella del polo nord attualmente è alfa Ursae Minoris (che noi conosciamo come la Stella Polare). Ma i calcoli con il computer ci permettono di affermare con certezza che nel 3000 a.C. la posizione polare era occupata da alfa Draconis; all'epoca degli antichi greci la stella del Polo Nord era beta Ursae Minoris, e nel 14.000 d.C. sarà Vega [18].

Un grande segreto del passato

Non ci farà male ripassare alcuni dati fondamentali riguardanti i movimenti della terra e il suo orientamento nello spazio:

• La sua inclinazione è di circa 23,5° rispetto alla verticale, un angolo che può variare fino a uri grado e mezzo su entrambi i lati nell'arco di periodi di quarantunomila anni.
• Compie un ciclo di precessione completo ogni 25.776 anni [19].
• Compie una rotazione intorno al proprio asse ogni ventiquattro ore.
• Compie un'orbita intorno al sole ogni trecentosessantacinque giorni (per la precisione 365,2422).
• "L'influsso più importante sulle sue stagioni è costituito dal l'angolazione con cui i raggi del sole la colpiscono in vari punti del suo percorso orbitale.

E anche il caso di osservare che durante l'anno ci sono quattro momenti astronomici cruciali, che segnano l'inizio ufficiale di ciascuna delle quattro stagioni. Questi momenti (o punti cardinali), che avevano un'importanza enorme per gli antichi, sono i solstizi d'inverno e d'estate, e gli equinozi di primavera e d'autunno. Nell'emisfero boreale il solstizio d'inverno, il giorno più breve, cade il 21 dicembre, e il solstizio d'estate, il giorno più lungo, il 21 giugno. Nell'emisfero australe, invece, tutto è letteralmente rovesciato: l'inverno inizia il 21 giugno e l'estate il 21 dicembre.

Per contro, gli equinozi sono i due momenti dell'anno in cui la notte e il giorno hanno uguale durata su tutto il pianeta. Tuttavia, anche qui, come nel caso dei solstizi, la data che segna l'inizio della primavera nell'emisfero boreale (il 20 marzo) segna quello dell'autunno nell'emisfero australe, e la data dell'inizio dell'autunno nell'emisfero boreale (22 settembre) segna l'inizio della primavera in quello australe.

Come le più sottili variazioni delle stagioni, tutto questo è causato dalla benefica obliquità del pianeta! Il solstizio d'estate dell'emisfero boreale cade nel punto dell'orbita in cui il Polo Nord è orientato al massimo verso il sole; sei mesi dopo il solstizio d'inverno segna il punto in cui il Polo Nord è orientato al massimo in direzione opposta al sole. E, com'è logico, il motivo per cui il giorno e la notte hanno esattamente la stessa durata in tutto il pianeta in corrispondenza degli equinozi di primavera e d'autunno è che questi segnano i due "punti in cui l'asse di rotazione della terra si trova di lato rispetto al sole.

E ora diamo un'occhiata a uno strano e bellissimo fenomeno di meccanica celeste.

Questo fenomeno è noto con il nome di «precessione degli equinozi». Ha delle caratteristiche matematiche severe e ripetitive che possono essere analizzate e previste con precisione. Tuttavia, è estremamente difficile da osservare, e ancora più difficile da misurare esattamente senza una strumentazione sofisticata.

Forse cela una traccia che porta a uno dei grandi misteri del passato.

 

NOTE

1. G. de Santillana e H. von Dechend, II Mulino di Amleto, Adelphi, Milano 1983/1990, p. 88.
2. Dati tratti dall'Encyclopaedia Britannica, 1991, 27:530.
3. Ibid.
4. J. D. Hays, John Imbrie, N. J. Shackleton, «Variations in the Earth's Orbit, Pacemaker of the Ice Ages», Science, volume 194, N. 4270,10 dicembre 1976, p. 1125.
5. The Biblical Flood and the Ice Epoch, dt, pp. 288-289. Ventiquattro quintilioni di chilometri equivalgono a ventiquattro miliardi di miliardi di chilometri.
6. Ice Ages, cit, pp. 80-81.
7. Earth in Upheaval, cit., p. 266.
8. New York Times, 15 aprile 1951.
9. Berosso, Frammenti. 10. Skyglobe 3.6.
11. Roberta S. Sklower, «Predicting Planetary Positions», appendice a Frank Waters, Mexico Mystique, Sage Books, Chicago, 1975, pp. 28 e segg.
12. Earth in Upheaval, cit., p. 138.
13. Biblical Flood and the Ice Epoch, cit., p. 49.
14. Numeri tratti dall'Encyclopaedia Britannica, 1991, 27:530.
15. Ibid.
16. Path of the Fole, cit., p. 3
17. Jahe B. Sellers, The Death of Gods in Ancient Egypt, Penguin, London, 1992, p. 205.
18. Skyglobe 3.6.
19. Numero esatto tratto da The Deat of Gods in Ancient Egypt, cit., p. 2O5.

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3 aprile 2012 2 03 /04 /aprile /2012 07:00

Presentiamo un significativo frammento di un'opera assolutamente inedita in Italia e di grandissimo interesse in relazione al sapere arcaico più remoto e più noto genericamente con il nome nebuloso di esoterismo. Si tratta di La Franche-Maçonnerie rendue à sa veritable origine [La frammassoneria restituita alla sua vera origine] di Alexandre Lenoir, un ricercatore vicino alla cerchia di Charles François Dupuis e che ha magnificamente applicato le idee del suo maestro, e cioè il culto della natura e quello degli astri come più remota e universale forma religiosa in assoluto, alla ricerca storica sull'antichità più remota della sua epoca: l'antico Egitto.

 

La frammassoneria restituita alla sua vera origine

 

o antichità della frammassoneria provata attraverso la spiegazione dei misteri antichi e moderni

Lenoir Frontespizio
Frontespizio tratto dall'opera di Alexandre Lenoir La Frammassoneria restituita alla sua vera origine, del 1814. Da notare la sua assoluta somiglianza con quello dello opera du Dupuis L'Origine de tous les cultes.

Descrizione del Frontespizio o della prima Incisione

 

La descrizione che stiamo per effettuare della prima incisione o del frontespizio, può in qualche modo considerarsi come la Prefazione del lavoro dal momento che i simboli che vi sono disegnati appartengono a tutte le religioni e ci offrono un piccolo accenno ai misteri che dobbiamo descrivere. 

 I. 

La religione degli Egiziani è espressa 1°, dal toro sacro o bue Api, posto su di un piedistallo recante sulla fronte il disco della luna, l’immagine di Io o di Iside. 2°, Presso Osiride-bue, si vede il Nilo raffigurato come un vegliardo semi sdraiato che regge in mano un’urna che egli rovescia e nell’altra un corno dell’abbondanza. Il vegliardo, nell'atteggiamento dell’Acquario celeste è l’immagine della piena del fiume-dio, si appoggia sulla celebre sfinge di Tebe, donna e leone ad un tempo, quest'animale è l’espressione enigmatica della posizione che il sole assume nello zodiaco immediatamente dopo il solstizio estivo e precisamente allorquando il Nilo gonfia la sue acque e le versa sulle terre circostanti. 3°, Dietro queste figure emblematiche si vede la grande piramide la cui base appoggiata al centro della terra e la cima che si eleva nei cieli serviva al tempo stesso da piedistallo e da tomba ad Osiride. Questo monumento celebre da sempre attesterà eternamente la scienza degli Egiziani; la sua forma, la sua proporzione e soprattutto il modo in cui è orientata si accordano perfettamente con il movimento del sole e della luna come vedremo in seguito. Infine, non si può dubitare che le figure emblematiche della religione degli Egiziani che figurano qui non siano un’immagine della fecondità e della prosperità dell’Egitto di cui il sole ed il Nilo erano le vere cause prime.

bsb00001269_00060.jpgSistema iero-astronomico, fisico e astrologico dei popoli antichi con tutti i suoi sviluppi. 

 II. 

In primo piano sulla tavola si vede un bassorilievo [1], tutti gli emblemi del culto di Mitra. 

Il dio Mitra, immagine del sole, era la grande divinità dei Persiani. Questo dio, come lo si può vedere nell’incisione, monta il toro celeste distrutto dallo scorpione che gli divora le parti genitali. Questa tavola emblematica è l’immagine del sole che copre il toro con i suoi raggi il primo giorno di primavera e che distrugge questo stesso toro allorché all’equinozio d’autunno appare, nel segno dello scorpione, designato dagli antichi mitologi come un simbolo di morte e di distruzione. 

Mitra è un dio simile a Osiride, Bacco, Attis e Adone. I misteri di ognuna di queste divinità sono relativi al trionfo o alla caduta della luce. Mitra è re della città del sole e gli si dava il titolo Dominus Sol, come lo si dava a Osiride, a Attis e ad Adone. La nascita, la morte e la resurrezione del dio sono solennemente celebrate nei suoi misteri come lo sono negli altri. 

I Persiani celebravano la nascita del loro dio Mitra in un giorno sacro fissandone la data al 25 dicembre, al momento in cui vedevano apparire, a mezzanotte, la costellazione della Vergine che apriva l’anno dando nascita al sole il quale appariva infatti come un bambino che si appoggia al seno della madre. 

La religione mitraica così famosa in Persia, in Armenia ed in Cappadocia ammetteva dei sacramenti ed i membri della setta ne portavano il segno sulla fronte; aveva le sue vergini, i suoi martiri, ecc. Infine, considero questo monumento che potrei descrivere se esso non lo fosse già stato fatto perfettamente dagli studiosi che l’hanno pubblicato prima di me, come una rappresentazione degli equinozi di primavera e di autunno designati con due candelabri da cui uno, che si trova ad essere in piedi, scaturisce della luce; mentre l’altro, semispento, è rovesciato. Così come anche da due alberi, di cui uno è carico di foglie e frutti e l’altro del tutto spoglio. Evidenzieremo anche che questa espressione è ripetuta nel riquadro della parte sinistra del monumento da due uomini, uno giovane che regge un candelabro acceso e l’altro vecchio, barbuto e decrepito che rovescia e spegne quello retto da lui. Sulla parte superiore del monumento che forma una specie di pannello si vede l’immagine rappresentata da sette altari accesi. Il genio del fuoco, posto nel mezzo degli altari sembra proteggere il fuoco sacro da cui essi sono arsi. A Sinistra ed all’estremità del pannello per caratterizzare la primavera il dio Mitra è stato scolpito in un carro trainato da quattro cavalli i cui sguardi si dirigono verso i quattro punti cardinali del cielo, all’altra estremità è stato figurato l’autunno con lo stesso dio posto ancora in un carro trainato soltanto da due cavalli spossati dalla fatica. Questa scultura, secondo la mia opinione, è una pittura geroglifica dell’anno ma che ritrae in particolare l’antica e celebre dottrina dei due principi, l’uno buono e l’altro malvagio o la divisione della natura in un’era di bene e di male, di generazione e di distruzione, di luce e di tenebre di cui si fissavano i limiti ai due equinozi.

 

bsb00001269_00072.jpgPlanisfero iconologico dei segni e dei loro decani. 

 III. 

La religione degli Ebrei è espressa dal sommo sacerdote Aaron posto in piedi presso l’altare dei sacrifici e vestito con gli abiti sacerdotali; egli regge con la mano sinistra il candelabro a sette braccia; il suo petto è coperto dal razionale e la sua veste ornata da trecentosessantacinque piccoli sonagli d’oro.

Il razionale del sommo sacerdote degli Ebrei è decorato da dodici pietre preziose, divise a tre a tre come le stagioni e come i segni dello zodiaco che esse rappresentano. Il candelabro, munito di sette candele accese è l’immagine dei sette pianeti così come i sonagli della sua veste sono quella dei trecentosessantacinque giorni dell’anno. L’animale posto in piedi su di un piedistallo presso il candelabro è il vitello d’oro che fu oggetto del culto degli Ebrei ed in seguito abbattuto da Mosè.

Il vitello d’oro, immagine del Toro celeste sullo sfondo, era la stessa divinità che gli Egiziani adoravano con il nome di Api e di Mnevis.

bsb00001269_00100.jpgLa dea mirionima, Iside, o la personificazione della Natura. 

 IV. 

Accanto al vitello d’oro degli Israeliti si noterà il Giove Ammone dei Greci rappresentato seduto sopra un cubo decorato sulla sua superficie dalla pianta silfio, con la folgore in mano e recante sulla sua fronte le corna del celebre ariete che indicò a Bacco la sorgente d’acqua viva con cui dovette estinguere la sete ardente da cui fu divorato attraversando i deserti dell’Arabia. 

Giove, sotto forma di un ariete, era simbolo della luce celeste o del sole. Gli adoratori del sole, teologicamente parlando, consideravano questo astro all’equinozio di primavera come la salvezza del mondo, il riparatore dei mali dell’inverno, dei giorni corti, o piuttosto delle tenebre. Diedero al loro dio benefattore la forma del segno celeste in cui si mostrava vincitore sui segni inferiori con la sua apparizione in quello che fissava l’equinozio di primavera ed in cui sembrava rivivere per cominciare un nuovo percorso e proseguire, segno per segno, sino all’equinozio d’autunno.

Gli Egiziani dettero il nome Ammone ad Osiride, che raffigurarono con un ariete così come lo avevano rappresentato come toro con il nome di Api. In effetti Luciano ha affermato nel suo Trattato astrologico: L’ariete consacrato nel tempio di Ammone, ed il bue in quelli di Memphis, rappresentavano l’ariete ed il toro celesti al cui aspetto ed alla cui influenza questi sacri animali erano sottoposti.

Così Ammone, o Giove sotto la figura di Ariete, erano considerati come vincitori delle tenebre o del male. Secondo Marziano Capella, Giove aveva a Creta non soltanto una tomba ma anche una celebre iniziazione in cui la principale cerimonia consisteva nel vestire l’iniziato con la pelle di un agnello nero, durante i misteri della notte.

bsb00001269_00152.jpgProcessione in onore della dea Iside.

V.

La religione cristiana è espressa con l’apparizione della Santa Vergine e del Bambino Gesù, che appaiono su nuvole luminose. Questo piccolo bambino sembra identificarsi con il sole e slanciarsi nei cieli per rigenerare la natura. Ai piedi del Salvatore del mondo vediamo l’agnello riparatore disteso sul libro della destino o dei sette sigilli. Questo agnello, protagonista dell’Apocalisse, è il simbolo di un dio di giustizia che illumina ogni uomo venuto al mondo, come dice san Giovanni. È immolato in mezzo ai quattro animali simbolici, leone, toro, uomo aquila di cui si è fatto il suo corteo e che sono posti ai quattro punti cardinali del cielo.

L’agnello dei misteri, che si deve immolare in Giudea ogni anno in onore di un dio di bontà salvatore del mondo ed il cui sangue colorava le case per tutta la durata della festa di Pasqua, presso i Persiani era un simbolo dell’ariete delle costellazioni in cui il sole trionfava sulle tenebre e fissava l’equinozio di primavera.

Infine, seguendo l’Apocalisse, è l’agnello trionfatore del serpente che chiamiamo Diavolo o Satana che seduce il mondo intero e insidia la donna alata recante nelle sue braccia un bambino che deve regnare sull’universo. (Il serpente distruttore è posto sotto i piedi della Vergine, guardate l’incisione).

In secondo piano vediamo elevarsi il cero paschal, altro emblema della luce nuova o del trionfo della luce sulle tenebre. In effetti, questo cero simbolico si innalza e si accende nei templi il giorno stesso in cui Gesù Cristo, dopo aver salvato il genere umano attraverso lo spargimento del suo sangue, si slancia al si sopra della notte delle tombe e si spande sulla terra raggiante di gloria e di maestà. Quel giorno, i preti si vestono di bianco e gli iniziati rinnovano i loro indumenti sacri.

bsb00001269_00166.jpgIside, divinità egiziana. 

VI. 

Il culto dei Romani è qui raffigurato con il fuoco sacro trasportato dalle vestali (vedere il gruppo disegnato al di sopra del monumento di Mitra). Non si può dubitare che i Romani abbiano reso un culto al fuoco, alla luce, al sole sappiamo che i misteri di Iside, quelli di Cerere ed anche quelli di Mitra, furono introdotti presso loro.

I Romani invocavano la dea Vesta che si faceva nascere da Crono e da Rea per la conservazione delle loro dimore perché credevano che avesse inventato la costruzione delle case. Questa dea presidiava al fuoco, era adorata presso ogni focolare ed ogni altare; è per questo che la si rappresentava recante con una patera in mano e nella posizione di spandere l’incenso o di versare il sacro liquido sul sacrificio offerto agli dei. Non parlerò affatto del fuoco sacro, che si accendeva in suo onore nel tempio che gli era consacrato; non dirò nulla anche delle vergini sotto il nome di Vestali, incaricate di conservarlo giorno e notte e delle dure pene inflitte loro se a causa di un incidente o per qualunque altro motivo, questo fuoco, immagine del sole sempre splendente, si fosse spento; la storia di queste giovani donne votate al celibato è nota a sufficienza; avrò occasione di parlare del fuoco sacro quando tratterò degli elementi e dei misteri.

bsb00001269_00174.jpgImmagine di Iside dipinta sul telo di una mummia. 

VII 

Il culto primitivo, o quello del toro, si è allargato su tutta la faccia del globo e se ritrovano tracce dall’estremo Oriente  sino alle regioni più remote del Nord. Il toro è una grande divinità del Giappone e si rappresentava il caos sotto l’emblema di un uovo sui cui si slanciava un toro furioso spezzandolo con le corna e da cui scaturiva il mondo, così come è raffigurato sull’incisione dal lato opposto al monumento a Mitra.

bsb00001269_00180.jpgDivinità egiziane e greche. 1: Annubi, 2: Tifone, 3: Ecate, 4: Marte.

VIII 

La religione di Maometto è designata in questa tavola con il ritratto del profeta che si è rappresentato in piedi sul davanti della scena recante in una mano il Corano che egli presenta alle nazioni e nell’altra una spada per esprimere che è piuttosto attraverso che attraverso la ragione che egli vuole fondare il suo impero. La distruzione dei libri scritti, la devastazione dei monumenti artistici, esercitata da questi settari ignoranti, sono entrambe molto ingegnosamente espresse da una statua spezzata e dai manoscritti che il pontefice-re schiaccia sotto i propri piedi.

bsb00001269_00192.jpgDivinità egiziane: Osiride, Horus, Serapide. 

 

Considerazioni generali

La natura è stata oggetto dell’adorazione dei primi abitanti della terra. I miti antichi non sono in principio che un’immagine dei fenomeni della natura come le divinità che ne sono l’oggetto non sono esse stesse che la rappresentazione degli astri che si muovono nello spazio immenso dei cieli.

Il sole e la luna, capi supremi degli altri astri, sono stati divinizzati dai Magi. Si dette loro il titolo di Re e di Regina del cielo, ed in questa qualità detenevano la direzione delle altre divinità. Si è dunque fatto del Dio-sole un essere vivente, capo della natura. Lo si fa scendere dall’alto dei cieli, un regolatore, un amministratore o un condottiero dei popoli soggetto come tutti gli uomini alle vicissitudini della vita. Le figure astronomiche o piuttosto le costellazioni che egli visita nella suo cammino celeste poste in azione sotto figura di uomini o di animali utilizzati come episodi nelle narrazioni mitologiche, sono considerati dagli inventori dei miti come i motivi di tanti lavori straordinari a cui assoggettano gli eroi o come i soggetti di altrettanti avvenimenti che sembrerebbero successivamente attraversare la felicità o fare trionfare il sole diventato uomo che malgrado ciò deve morire, discendere agli inferi e resuscitare per risalire ai cieli o ricominciare una nuovo percorso.

Di conseguenza, si saprà ben presto quel che si deve generalmente intendere con Osiride e Horus, con Api bue, Anubi cane, di cui si è fatto l’assistente ed il fedele compagno di Osiride. Vedremo perché Mercurio ci viene rappresentato come il dio dell’eloquenza o come quello dei commerci e dei ladri. Si imparerà perché gli Egiziani chiamavano indistintamente Osiride, Re del cielo; Adonai, nome che si è trasformato in Adon-Hiram, che significa Signore grande. Per lo stesso motivo, si conoscerà la forma degli dei dell’India Shiva, Brahma, Poulear, così come le diverse incarnazioni di Visnu, e le funzioni particolari delle dee Parvadi, Lakshmi e Quischena.

Spiegherò anche perché Giove, Esculapio, Plutone ed il re Hiram non sono che un’immagine dell’astro che ci illumina; perché Giove possiede volto e corna di un ariete; perché sotto forma di toro rapisce la bella Europa e perché accarezza la figlia di Tindaro sotto quella di un cigno. Si apprenderà ancora perché il Bacco Toroceros, o dalle corna di toro, dei Greci guida sette donne per mano: perché si rappresenta questo dio anziano e barbuto; perché la dea dell’amore, sotto il nome di Venere, è a volte rappresentata con una lunga barba e con l’elmo in testa, la lancia in pugno e combattente come Minerva; perché infine la si dipinge bianca o nera e sotto forma di un pesce.

Si è rappresentata la fecondità che il sole comunica alla natura in primavera con il dio Priapo che si fa nascere da Adone e Venere. Si attribuiva al dio Priapo la figura degli animali celesti con cui il sole era in congiunzione quando fecondava la natura e si aggiungeva alla sua immagine tutti i caratteri della generazione e le parti sessuali di dimensioni gigantesche per esprimere la forza feconda che riversa sulla terra sia negli animali sia nei vegetali. La terra in amore in primavera, dice Virgilio, richiede il seme che deve fecondarla, è per questa ragione che si poneva un tempo delle statue del dio Priapo nei giardini.

Lasciamo un momento gli dei, sospendiamo le nostre idee mitologiche, richiamiamo quanto ci è stato rivelato allorché trasportati con il pensiero negli immensi sepolcri dei re di Egitto errammo nei sotterranei di Memphis in cui Seti stesso ricevette i primi rudimenti della saggezza e dell’arte di regnare prima di salire sul trono dei suoi padri.

"Armato soltanto del mio coraggio e di una lampada mi trovavo solo sotto una volta immensa unicamente decorata di caratteri emblematici; di nicchie quadrate, senza un numero preciso ma disegnato regolarmente in cui vedevo al tenue bagliore proveniente dalla mia lampada delle statue colossali in basalto ed in granito che giudicavo essere stati ricavati da una sola massa in cui le braccia e le gambe raccolte sul corpo dava loro la postura di semplici mummie e che tuttavia erano sedute su dei tumuli cubici in attesa della resurrezione o della vita eterna [2].

"Lì ero isolato dall’intera natura. Pensieroso e riflettendo all’antico splendore della terra sotto ai miei piedi vidi per prima cosa all’entrata di una lunga galleria divisa in numerosi colonnati l’antro di Mitra, l’immagine simbolica del mondo celeste e terrestre. Notai in seguito le iscrizioni sentenziose dei misteri della grande dea Iside e la prima che si offrì al mi sguardo scolpita su di una porzione di basalto nero era così concepita, secondo la traduzione che si aveva avuto premura di scrivere in basso: Chiunque intraprenderà questa strada solo e senza guardare dietro di sé sarà purificato dal fuoco, dall’acqua e dall’aria; e se può vincere la paura della morte uscirà dal seno della terra, rivedrà la luce ed avrà diritto di preparare la propria anima alla rivelazione dei misteri della grande dea Iside.

"Più avanti trovai il modello del vulcano usato per la prova del fuoco; poi attraversai a piedi il canale in cui l’aspirante doveva gettarsi a nuoto prima di arrivare alla porta del tempio dove a oriente, cioè al trono della felicità o alla sede della luce poiché l’iniziato al momento della sua ricezione vedeva le luci divine. Vidi gli strumenti necessari alle iniziazioni come la griglia di ferro, la celebre ruota a cui l’iniziato si trovava improvvisamente sospeso e girava diverse volte. Vidi anche gli idoli degli dei e generalmente tutto quanto serviva all’augusta cerimonia dei misteri. Questi diversi oggetti gettati ala rinfusa riportarono presto il mio pensiero al di là dei calcoli ricevuti sull’origine del mondo e non potei impedirmi di riflettere un momento sul destino degli imperi come sulle vicissitudini umane. Malgrado ciò le lezioni ricevute nelle logge massoniche mi furono di grande aiuto, ne trassi grande vantaggio per quanto mi si offriva allo sguardo ed ebbi presto l’intima convinzione che la Frammassoneria fosse un’iniziazione dei grandi misteri che si insegnava al collegio di Memphis.

"Proseguendo mi ritrovai nella celebre cripta in cui gli Egiziani avevano deposto le spoglie mortali del faraone. Un gran numero di sarcofagi, una volta immensa ancora vergine e non profanata apparvero ai miei occhi. La volta, del tutto stellata, mi presentò uno zodiaco ben disegnato che mostrava il solstizio d’estate sotto il segno del capricorno. Questa pittura del cielo mi dette la misura della scienza degli Egiziani, mi fece conoscere la grande antichità di questa grande ed illustre nazione che, da questa posizione astronomica si può riportare a quasi dodicimila anni ammettendo il sistema della precessione degli equinozi.

"Le mura di questa camera funeraria erano decorate con dipinti emblematici. Il primo rappresentava il trionfo della luce sulle tenebre, espresso attraverso un combattimento tra degli uomini rossi e degli uomini neri. I primi, vincitori dei secondi, sono rappresentati nell’atto di tagliar loro la testa. È in tal modo che gli Egiziani fanno di Horus vincitore di Tifone ed è sempre così che si vede presso i Greci Giove schiacciare i Titani con la sua potente mano. L’altro dipinto mi sembrò aver avuto come scopo la rappresentazione del trionfo di Sesostris sugli Indiani, ma l’eroe, rappresentato giovane nel suo carro trionfale, accompagnato dal toro (boeuf) Api e dalle altre divinità tutelari dell’Egitto mi fecero ben presto conoscere un nuovo trionfo del sole allorché questo astro, il primo giorno di primavera, vincitore delle tenebre, riportava la gioia sulla terra e appariva nei templi sotto forma della perfetta bellezza e sotto il nome di Osiride. L’eroe è vincitore, perché si contano davanti a lui le mani abbattute dei suoi nemici per esprimere il numero di giorni che trascorsero durante l’assenza del sole sulla terra. Questi dipinti sono dunque una rappresentazione del trionfo della vita sulla morte e un simbolo di resurrezione; caratteri singolarmente espressivi dell’opinione degli Egiziani sull’immortalità dell’anima [3]. Delle donne inginocchiate, munite di arpe d’oro di segno elegante e di uno stile severo si stagliavano sul fondo della cripta. Dal loro portamento, dai loro occhi animati, dall’apertura della loro bocca come dalla forma delle loro labbra, valutai che erano il dipinto di un concerto organizzato secondo le usanze del paese. (Consultate la grande opera della commissione d’Egitto).

Esaminai questi capolavori dell’arte e della scienza con un’attenzione particolare, li studiai e nella mia ammirazione, ispirato io stesso dallo spirito filosofico degli antichi Magi, i miei occhi si aprirono in mezzo ai monumenti delle arti che i secoli di Sesostri, di Mendes e di Ramses avevano fatto nascere, e con una sfera in mano, riconobbi presto che i geroglifici o la scrittura sacra degli Egiziani, così come le loro figure emblematiche, non erano che un dipinto misterioso delle rivoluzioni celesti o dei differenti aspetti dei pianeti a cui si attribuiva il potere di governare il mondo".

bsb00001269_00287.jpgProve attraverso i quattro elementi

 

[Traduzione di Ario Libert]

 

NOTE

 
[1] Questo monumento in marmo risulta essere di grande antichità, lo si trova anche nell’opera di Hyde, in quella di de la Torré, vescovo di Adrin, in Kircher ed in Montfaucon.
[2] Gli Egiziani credevano nell’immortalità dell’anima e alla resurrezione dei corpi.
[3] Quel che c’è di notevole in questo dipinto geroglifico, è che era d’uso presso alcuni popoli dell’antichità, privare i prigionieri di guerra delle loro mani e delle parti genitali. Questo monumento sarebbe dunque una prova che gli usi così come i fatti storici degli antichi ci sarebbero pervenuti attraverso il connubio che si sarebbe operato degli uni e degli altri con l’astronomia per presentarli all’uomo sotto forma di dottrina a cui devono essere sottomessi. È così che la maggior parte dei simboli dell’antichità sono scambiati per fatti storici allorché non sono altro che delle allegorie.
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8 dicembre 2011 4 08 /12 /dicembre /2011 07:00

La Verità sul culto delle "Vergini Nere"

 

vergini-nere--1.jpg Cosa nasconde questo culto molto più antico del Giudeo-cristianesimo? È l'albero che nasconde un'immensa foresta di verità falsificate.

 

 

di René-Louis Parfait Etilé

 


HOTEP!


Un falso mistero per nascondere due grandi verità: In principio"Dio" era una Dea nera e l'Africa aveva civilizzato il mondo. È quanto il culto delle "Vergini nere", un culto molto più antico del Giudeo-cristianesimo e che celebra una donna nera, la nostra Grande madre ma anche lo splendore del continente nero!

 

vergini-nere--2.jpg

Falsi misteri e vere menzogne

Innanzitutto, alcuni tra noi potrebbero chiedersi se ci sia una reale utilità di parlare di "vergini Nere" su un sito come Africamaat. Sarebbe dimenticare che tutto quanto riguarda il mondo nero, ci interessa per forza ma soprattutto, sarebbe dimenticare che il culto delle vergini nere è molto più antico del Giudeo-cristianesimo! Infatti questo "falso" mistero, mantenuto dai falsificatori della Storia dei Neri sull'esistenza di queste donne, è in realtà "un albero che nasconde un'immensa foresta!".

 

In secondo luogo, lo abbiamo già spiegato: l'esistenza terrena di colui che chiamiamo "Gesù" non è mai stata dimostrata scientificamente (la stessa cosa vale per i patriarchi della Torà). Tuttavia dobbiamo guardare in faccia la realtà: milioni di Neri, dappertutto su questo pianeta, sono cristiani e dipendono religiosamente, per la maggior parte, dalle decisioni prese dagli europei in Vaticano: Ora il mezzo più efficace, secondo noi, di ricondurli verso le vere religioni negro-africane, è di non dimenticarle o abbandonarle, ma di chiarire per esse le numerose stranezze che l'ideologia razzista occidentale evita molto spesso di spiegare correttamente nella sua letteratura (soprattutto il perché dell'esistenza di tutte queste Madonne nere!).

 

Dal falso Mistero alla Verità

 

Non c'è mistero delle "Vergini nere". Innanzitutto poniamo in rilievo le domande valide:

 

* Perché dei cristiani in Europa adorano delle vergini nere, mentre il colore "nero" è svalorizzato nell'ideologia cristiana? (I pelegrinaggi sono estremamente importanti durante l'epoca medievale quando a quest'epoca, il nero appartiene soprattutto al campo diabolico).

* Perché il Papa Giovanni Paolo II accordava la più grande importanza ad una "vergine nera" nel suo paese, la Polonia?

* Perché le più antiche "vergini" d'Africa, d'Asia e d'Europa sono di colore nero?

* Quali sono i rapporti tra queste "Vergini Nere" e l'Africa antica? (e più precisamente con le civiltà Civiltà della Valle del Nilo: Kemet e Kush).

* In cosa un certo cristianesimo primitivo può essere legato alle credenze plurimillenarie africane?

* Perché quest'odio dei Negri e perché questa demonizzazione degli Africani (in particolare) e dei Neri (in generale)? Al di là delle conseguenze dei testi razzisti, quali sono le cause di questi scritti? Perchédegli storici razzisti tentano di rubare ai Neri il loro glorioso passato e soprattutto nella Valle del Nilo?

* Cos'ha preceduto l'apparizione delle "vergini nere" cristiane?

* Quale ruolo ha svolto il patriarcato dei popoli leucodermi (ariani, ebrei, arabi) nella demonizzazione della donna? Come si è passati dalla Madonna nera alla Madonna bianca?

* Perché il Giudaismo, il Cristianesimo o l'Islam non sono le soluzioni religiose per noi Camiti? (Kamiti sono i Neri coscienti e fieri della loro vera storia e che si battono per la Rinascita dell'Africa?).

 

Nel nostro articolo, delle risposte alle domande precedenti saranno avanzate secondo i fatti storici veri, senza pretendere allo studio esaustivo.


La nostra super grande madre-dea nera. Le origini.


Numerosi sono i lavori oggi che confermano che non soltanto i più antichi homo sapiens sapiens sono africani (l'origine africana degli uomini moderni è stata confermata dai genetisti, gli archeologi ed i paleontologi) e che inoltre la più antica divinità conosciuta è una donna nera.


vergini-nere--3.jpgDea nera Madre primordiale


dea--01.jpgÈ una realtà e ciò dispiace ad alcuni: "Dio fu innanzitutto una donna; Dio fu dapprima una dea". La riluttanza degli uomini misogini, ad ammettere il predominio antico della dea-madre, è un fatto storico relativamente recente. La totalità del sistema di riferimenti filosofici, religiosi e civili dell'Occidente attuale è patriarcale. Tuttavia, molto prima le religioni "patriarcali" (il Giudaismo, il Cristianesimo e l'Islam), la divinità unica era femminile. Il dio sessuato e maschile proviene dall'Oriente (Testi babilonesi, Genesi, ecc.).

 

ragusa_Ibla.jpgDurante la preistoria, l'archeologia ha dato una molteplicità di figure femminili. Esse sono state qualificate come "Veneri". Queste donne steatopigie (dalle natiche grandi e dai seni prominenti) sono in realtà la rappresentazione della Dea originaria (venere africana), Signora universale anteriore a tutti gli dei. La fertilità delle donne era tanto preziosa quanto quella della terra per sopravvivenza di queste società. Dopo il paleolitico, la fecondità della donna ha assicurato l'equilibrio della vita materiale; molto naturalmente si è onorato quest'essere. A quest'epoca il culto della donna implicava la supremazia della donna.

 

kaaba.jpgSino a due millenni prima della nostra era, l'Europa ed i paesi del Mediterraneo orientale hanno rappresentato le loro divinità sotto forma femminile molto chiaramente sessuata per eliminare ogni ambiguità. Circa 5.000 anni, tutti i migratori provenienti dall'Africa erano sempre dei Neri. E prima delle invasioni dei popoli Ariani, tutta la popolazione mediterranea e tutte le sue divinità erano nere! C'è una subordinazione delle Madonne nere del Cristianesimo di fronte alla Dea originaria nera ma anche subordinazione della Kaaba, la pietra nera dell'Islam di fronte alle pietre nere sacre vulcaniche delle dee nere (Ibla Nera in Sicilia e Cybele in Anatolia). In Turchia, paese islamico, c'è un pellegrinaggio annuale per la Madonna nera di Efeso. (Approfittiamo per segnalare delle Madonne nere in luoghi che potrebbero stupire qualcuno: come a Cuba o quella che si trova sulla Piazza Rossa in Russia; o presso gli Olmechi; o sulle Ande): Il celebre padre della storia (per gli Europei) Erodoto ha ricordato che gli Africani furono i primi a costruire dei Templi. Bisogna attendere il VIII secolo a. C. perché o pantheon europei comincino a mascolinizzarsi, senza tuttavia mai eliminare le dee e soprattutto la dea della terra.

 

Dalla Dea Iside alle Madonne nere

 

 

Durante il millennio che precede la nostra era e sino ai primi cinque secoli dopo, la divinità maggiore del mondo mediterraneo era la dea Iside (Aset/Aseta), una dea nera d'Africa. Iside fu venerata su una vastissima area alla fine dell'Antichità ed all'inizio del Cristianesimo. Questa "Madre nera" era chiamata con numerosi nomi al di fuori dell'Africa. Iside ereditava dalla lunga tradizione delle società matriarcali africane. Iside, dea africana, aveva delle origini nubiane. La Nubia è una regione in cui la Civiltà è fiorita molti secoli prima della costruzione delle piramidi dell'antico Egitto (kemet). La Nubia diede la donna nera Iside a Kemet e poi al resto del mondo.

vergini-nere--4--Isis_et_Horus_2.jpg

La Dea Iside e suo figlio Horus

 

 

Nel suo santuario a Philae in Africa, Iside era nera. Metafora della Madre nera dell'umanità e precorritrice delle Madonne nere così come di quelle che sono state imbiancate. A partire dal microcosmo Valle del Nilo, il culto di Iside diventerà veramente "la prima religione internazionale e sovranazionale". Philae diventerà una città santa per gli Africani, i Greci, i Romani, ed i nomadi del deserto. Il culto antico della Dea della fertilità venuta dall'Africa, precederà il ruolo del Cristianesimo e dell'Islam nel Medioevo. L'immagine di Iside più popolare all'apogeo dell'impero romano sembra essere quello di Iside che allatta suo figlio Horis (Hor).


santuario_di_Iside_Philae.jpgSantuario di Iside a Philae 


Le legioni dell’impero romano di cui i militari erano costituiti da uomini subordinati (più o meno bruni) dei tre continenti (Africa, Asia, Europa), trasportavano l'immagine di Iside l'Africana, così come le immagini di Iside mischiate con divinità asiatiche Cibele, Inanna, Astarte, nel mondo conosciuto, dall'Africa all'Asia, verso Roma, Francia, Inghilterra, il Danubio. Adorata con molti nomi attraverso l'Africa, l'Asia, l'impero greco e l'impero romano, era nota come Iside, Hathor, Maât, Sekhmet (aspetto formidabile della Madre nera africana, era una donna con una testa di Leonessa), Yemonja (Yoruba), Atena, Artemide, Demetra-Persefone, Hera, Kali (India), la Mahadevi dravidica (Indu), ecc. A Meroe, la religione di Iside onorava la religion del dio dalla testa di leone Apedemek così come il dio Ammone.

YEMONJA.jpgYemaja, la grande madre Yoruba.


 

Eredità della "Madre nera" primordiale dell'Africa è la Verità, la Giustizia, la protezione contro ogni oppressione, la protezione degli oppressi, l'incarnazione di ogni vita. Con l'ellenizzazione, Iside diventa la "Grande" madre (del Mediterraneo). Il suo compagno Osiride (Asar/Ausar) o "il Grande negro" (Kem Our), diventa Zeus, Plutone, o Dioniso. In tutto il mondo conosciuto e nei primi secoli dell'era cristina, gli schiavi e le nobildonne veneravano l'africana Iside come una divinità che prevaleva attraverso al forza dell'amore, la pietà, la compassione, e il suo interesse perdonale per il dolore. Prima che il Cristianesimo lo facesse, la religione di Iside prometteva la vita dopo la morte terrena. Dei templi di Iside erano stati fondati nell'impero romano; in Gallia, Portogallo, Spagna, Bretagna, Germania, Italia, soprattutto in luoghi che diventeranno più tardi dei santuari di Madonne nere. Una caratteristica significativa di Iside, più tardi associata alla madonna cristiana, era la sua compassione di madre. Durante l'epoca cristiana, suo figlio Horus fu rappresentato come una figura di Cristo. L'acqua è sempre stata associata ad Iside, essa racchiudeva una qualità sacra.

 

osiride.jpgOsiride, dio-re dell'Egitto, sposo-fratello di Iside e padre di Horus


 

Durante quest'epoca, Padrona della religione a Kemet, Iside era in qualche modo "Dio la Madre". Così, non c'era divisione tra femminile e maschile. Era beneamata dalle donne e gli uomini, i giovani e i vecchi, e tutte le classi sociali. Il suo status a Philae, è creato tra il secondo e il primo secolo avanti "Gesù", reggeva il sistro in una mano e la croce ansata (simbolo di vita eterna) nell'altra mano. Nella sua rappresentazione (600 a. C.) al Museo del Cairo, Iside appare come una madre-nutrice, che possiede delle somiglianze notevoli con le immagini (icone, statuette, ecc.) delle Madonne-nutrici del Cristianesimo primitivo. Non dimentichiamo che la venerazione di Iside, del suo sposo Osiride e di suo figlio Horus, è persistita durante tutte le dinastie faraoniche. Iside aveva dunque più di 3000 anni di storia quando il suo culto si propagò da Meroe e da Alessandria verso tutto il bacino del Mediterraneo.

triade_egiziaca.jpgTriade egiziaca.


 

La Trinità Iside/Osiride/Horus diventerà nel Cristianesimo popolare Maria/Giuseppe/Gesù che differisce dalla Trinità del Canone cristiano Padre, Figlio, Spirito Santo: sparizione dell'elemento femminile dovuto al Patriarcato e alla supremazia militare dei leucodermi). In Africa a Memphis (Men-Nefer), gli inni celebravano Iside come civilizzatrice, divinità universale che aveva soppresso il cannibalismo, istituito le leggi e i principi divini, e aveva inventato l'agricoltura, le arti e le lettere, i costumi divini, e la giustizia. Iside, la grande Maga, era Padrona della Medicina, guaritrice delle malattie umane, sovrana dei continenti e degli oceani, protettrice contro i pericoli durante la navigazione e le battaglie. Iside era la divinità della Salvezza per eccellenza. Ritroviamo tutte queste qualità presso Madonne e Vergini nere. La sua "Sorella" Maât era la dea della "Verità-Giustizia". Iside fu recuperata dai Greci e i Romani in alcuni culti (Hera, Demetra, ecc.).

 

sacra_famiglia.jpgLa Sacra famiglia cristiana.


 

Una grande specialista delle religioni Lucia Chiavola Birnbaum pensa che la più antica immagine della madonna della Cristianità si trovai in Sicilia. Si tratterebbe della Madonna nera dell'Adonai. Secondo lei, il più antico santuario di Maria (madre di Gesù) si troverebbe dunque in Sicilia. Un altro ricercatore si orienta piuttosto in Italia (la Basilica di Santa Maria Maggiore). Il ricercatore Jean-Pierre Bayard parla di "Vergini nere" risalenti in Francia all'epoca di Clodoveo. Ma le più antiche, secondo noi, sono da ricercare in Africa (d'altronde quella di Clodoveo proverrebbe dall'Africa). Non sembra impossibile trovare un giorno la più antica Madonna nera della cristianità presso i copti d'Egitto. Infatti, l'Egitto è il primo paese al mondo ad aver adottato il Cristianesimo come religione di Stato. (È ad Alessandria che per la prima volta l'Antico Testamento è tradotto dall'ebraico in greco. Alessandria è una delle prime città, con Gerusalemme, ad avere un vescovo). Ma la cosa più importante è il fatto che tutte le più antiche Madonne e "vergini" della storia della Cristianità erano nere. (Non dimentichiamo che a quest'epoca, i Neri non sono più i padroni dell'Egitto!). Queste madonne portano alcuni attributi di dee e regine dell'antico Egitto (ad esempio il fiore). Mentre Gesù bambino (dai tratti adulti) regge lo scettro, attributo del Faraone.


 

La demonizzazione della donna da parte dei leucodermi

e l'imbiancamento delle Madonne.

 

 

Sono gli ariani (gli Arya, e cioè "i nobili" in lingua sanscrita. Hanno la carnagione chiara e gli occhi blu) che introducono delle divinità maschili in Europa. Le civiltà minoiche e micenee che sono fiorite nel mediterraneo all'inizio del III millennio prima della nostra era in un perimetro circoscritto dal Pelloponneso, le Cicladi e Creta, posteriori alla prima invasione indo-ariana, praticavano ancora il culto della dea madre. Soltanto gli Ariani adoravano degli dei maschili. Gli Ariani dilagarono per la prima volta nel nord dell'India verso il 3.200 a. C. Vi trovarono una civiltà (dravidica) molto più avanzata della loro. Grazie alle loro vittorie militari, gli Ariani imposero il sistema razzista delle caste. Infatti, il termine "casta", in sanscrito, si dice "varna", significa "colore". Gli Ariani vogliono evitare il mischiarsi delle "razze", ciò che essi chiamano "la corruzione delle donne". Nulla potrebbe dimostrare più chiaramente che, nella filosofia, il sistema razzista delle caste e la certezza dell'inferiorità costitutiva delle donne sono ineluttabilmente legati. Per gli Ariani, le donne non sono tenute in briglie che attraverso delle caste, ed è la loro soggezione a questo sistema che garantisce la stabilità della società e la purezza dei costumi.
maha-devi.jpgLa divinità dravidica Mahadevi.

Ad ogni modo, il Rig Veda dimostra del tutto chiaramente la poca stima che gli Ariani hanno delle donne: "Lo spirito della donna non sopporta la disciplina. Il suo intelletto è di poco peso". Troviamo qui, dodici secoli prima dell'era cristiana, e descritta con una chiarezza senza difetto, l'associazione del maschilismo e del razzismo che caratterizzerà l'insieme delle culture occidentali e condurrà progressivamente  alla concezione di un Dio maschile. L'universo apparterrebbe oramai agli uomini, del cielo sino agli inferi. Dio sarebbe un uomo bianco, e il suo nemico il Diavolo diventerà un uomo nero. Le donne non erano più che il riposo dei guerrieri e le procreatrici della loro prole. Lo storico Diodoro siculo riteneva che gli Ariani sono dei soldati feroci e primitivi, e che la loro "razza" intera "adora la guerra ed è sempre pronta all'azione" e che, ingenui, li si può sempre vincere con l'astuzia.

 

vergini-nere--5--Vierge_noire_et_Jesus_Premier_France-2.jpgVergine nera Maria e il bambin Gesù


Per gli Ariani, la donna innanzitutto rivale dell'uomo, finisce con il diventare la nemica, prima di essere identificata al male. Ritroviamo questa stessa visione presso gli Ebrai dell'Antichità ad esempio nelle epistole di san Paolo: "Il capo di ogni uomo, è il Cristo; il capo della donna, è l'uomo; e il capo del Cristo, è Dio"; "Non è certo l'uomo, a essere stato creato per la donna, ma la donna per l'uomo"; "Che le donne siano sottomesse ai loro mariti come al Signore: infatti, il marito è il capo della suia donna..."; "Durante l'istruzione, la donna deve conservare il silenzio, in tutta sottomissione. Non permetto alla donna di insegnare né di fare la legge all'uomo. Che essa conservi il silenzio. È Adamo infatti che fu formato per primo, Eva successivamente. E non è Adamo che si lasciò sedurre, ma la donna che, sedotta, si rese colpevole di trasgressione" (1Cor 11/3, 1 Cor 11/8 a 11/9, 1 Cor 14/34 a 14/35, Ep. 5/21 a 5/24, Col3/18, 1 Tm 2/11 a 2/14, Tt 2/5).

Ritroviamo anche questa visione presso i padri della Chiesa (ad esempio sant'Agostino) e nel Medioevo europeo (quando le donne erano accusate di praticare la stregoneria e poi bruciate vive). Nel Corano, così come nella Torà, è inferiore all'uomo allo stesso modo ed è essa che commette il peccato originale.

La cultura greca antica apporta la violenza di un popolo indoeuropeo ariano che invade la Macedonia e la Dalmazia nel millennio che ha preceduto l'era cristiana, mascolinizzando e deformando l'immagine della "Madre nera", torturando e sfruttando degli schiavi, e subordinando la donna all'uomo. Allorché l'armonia tra l'uomo e la donna caratterizzerebbe l'Africa. Poi, questa cultura greca è diventata l'icona ariana degli europei/americani razzisti e imperialisti alla fine del XIX secolo, e dei nazisti, con "la supremazia bianca" e delle persone che trasmettono il razzismo, a volte inconsciamente, sino a oggi.

vergini-nere--6.jpg


Malgrado le distruzioni dei templi di Iside da parte degli imperatori romani e dai padri del Cristianesimo (la memoria della Madre nera fu trasmutata nella venerazione della Madonna, soprattutto attraverso le sue immagini nere), l'eredità della Madre nera d'Africa è persistita nell'arte. Le madonne nere in Europa, e le altre divinità femminili nere nel mondo, sono la prova della memoria profonda e persistente della Madre nera venuta dall'Africa e ciò malgrado le religioni patriarcali come il giudeo-Cristianesimo e l'Islam.

 

Prima dell'arrivo dei popoli ariani, i popoli mediterranei erano sotto l'influenza  africana (in molti campi, soprattutto quello della "razza"). La violenza giunse a Malta, in Grecia, in Sicilia e nel sud Italia, quando dopo il 2.500 a. C. gli Ariani invasero queste regioni. Ad esempio a Malta, gli invasori sottometteranno un popolo pacifico che sotterrava i suoi morti, in opposizione con gli invasori ariani che utilizzavano delle armi in bronzo e che incinerivano i loro morti. Essi imposero il loro sistema patriarcale sui popoli vinti (Malta, Sicilia...). Molto più tardi, i Romani riuscirono a battere i Cartaginesi (dei neri, africani-cananei) poi gli imperatori bizantini della Chiesa d'Oriente imposero un papato cristiano patriarcale.


Sleeping Lady Hypogeum Hal SaflieniDea madre di Malta.

 

 

Durante il XV secolo, gli invasori spagnoli portarono l'inquisizione a Malta e in Sicilia: malgrado tutti questi fatti, la memoria della Madre nera primordiale resistette e persiste ancora oggi (un amalgama dell'africana Iside con l'anatolica Cibele, la cananea Astarte, la cartaginese Tanit, e le altre madonne nere!).



 

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La dea anatolica Cibele.

 

 

I Cananei e i Sumeri furono tra i primi neri (homo sapiens sapiens) a uscire dall'Africa. Questi fatti sono confermati dalla genetica (ad esempio da Cavalli-Sforza et al. History and Geography of Human Genes [Storia e geografia dei geni umani]). I Sumeri chiamavano se stessi "umani dalla testa nera". I Cananei, contrariamente ai Greci, non avevano la mania della conquista. I Greci li chiamavano Fenici. Le violenze greche e romane aggredirono la prima civiltà non-violenta, la civiltà della Madre Nera primordiale.



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I moderni storici eurocentristi che si riferirono più tardi soltanto alle Sibille (donne profetesse) di Efeso in Asia minore, di Samo in Grecia, di Cuma  vicino a Napoli in Italia, non parlarono affatto della Sibilla africana di Libia. Una omissione che potrebbe segnare l'inizio dell'obliterazione storica delle origini africane della Civiltà mondiale. Eppure, tutte le Sibille ricordano la Madre nera primordiale e i suoi valori. Questa donna ispirata trasmetteva gli oracoli degli dei. Le Madonne e "Vergini" nere testimoniano anche della resistenza della prima Civiltà (quella dell'Africa) di fronte alle filosofie nordiche.

 

 

 

[SEGUE]

 

 

 

 

 

René-Louis Parfait Etilé

 

 

 

 

[Traduzione di Ario Libert]

 

 

 

 

LINK al post originale:

La Verité sur le culte des "Vierges Noires" 
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22 dicembre 2010 3 22 /12 /dicembre /2010 20:58

Nerezza degli antichi Egiziani: "La messa è finita!"


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di Etilé René-Louis Parfait
La Melanità degli antichi Egiziani ammessa da specialisti del greco antico
Gli Africanisti e gli egittologi falsificatori della storia dei Neri stanno per prendere un duro colpo. L'onestà intellettuale sembra tornare in alcune traduzioni francesi dei testi greci che testimoniano delle origini negro-africane antiche, in particolare il celebre passaggio di Erodoto considerato il padre della storia dagli Europei [1].

 

INTRODUZIONE

Perché questo ritorno su fatti già consolidati e che hanno dimostrato scientificamente da alcuni ricercatori kamiti (di cui il primo fu Cheikh Anta Diop)? È semplicemente un articolo in più sulle origini nero-africane degli antichi Egiziani? No di certo! Per progredire nella giusta direzione, non siamo alla ricerca di letteratura europea; tuttavia stiamo attenti all'effetto prodotto dalle ricadute delle nostre diverse azioni nella societa europea (ed in particolare in Francia); soprattutto quando queste azioni riguardano la lotta che conduciamo contro la falsificazione storica. Perché va da sé che se non avessimo agito da molti anni (in tutta umiltà), vi sarebbe molta meno buona volontà presso i leucodermi. È il rapporto delle forze scientifiche, a nostro favore, che ha permesso di far passare la nostra giusta causa nella testa dei ricercatori aventi abbastanza grandezza per rimettere in questione delle tesi erronee ed opere razziste.

 

L'onestà intellettuale sembra ritornare soprattutto in certe traduzioni dei testi greci che testimoniano delle origini negro-africane degli antichi egiziani. Tanto meglio!

 

 

Atto I: Erodoto ed il suo Libro II

 

Chi è Erodoto?


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Greco nato ad Alicarnasso, in Asia Minore, detto il padre della storia, visitò l'Egitto verso il 450 a. C., e gli dedicò tutto il suo libro II, ritornandovi sopra spesso nelle altre parti della sua opera. Questo padre della storia e del giornalismo, rimane una fonte ineguagliata. Sa vedere e raccontare, grazie a lui, conosciamo dei tratti precisi della vita degli Egiziani.

 

 

Erodoto ci ha lasciato dei dettagli preziosi sulla vita quotidiana, la religione, le feste religiose popolari a cui egli ha assistito e sullo stesso paese. Le sue narrazioni, spesso confermate dalle rappresentazioni dei templi e delle tombe, sono utilizzate dagli egittologi.

 

- Il passaggio che ci interessa

Erodoto, storico greco, è dunque andato a Kemet. Ci dice che gli Egiziani antichi sono dei neri; impiega "melagkhroes" per dire "pelle nera" e "oulotrikhes" per "capelli crespi": "i colchidi sono di razza egiziana... inanzitutto, perché hanno la pelle nera ed i capelli crespi..." cfr. Libro II, 104.

Erodoto non lascia posto ad alcuna incertezza, nessuna approssimazione perché scrive: "sono andato ed ho visto con i miei occhi sino alla città di Elefantina", cfr. Libro II, 29.

 

All'inizio, come fa notare il linguista Jean-Marc Egouy, le traduzioni erano corrette: "Così, dal XVI secolo ai nostri giorni, non si smise di tradurre il padre della Storia in seno ad istituzioni erudite di fama. In Francia è l'Accademia Reale delle iscrizioni e belle lettere, riformata nel 1716 ma la cui creazione originale data al 1634 ed è dovuta a Richelieu, che forniva nel 1786 una traduzione rigorosa della "Ricerca", con uno dei membri onorevoli P. H. Larcher. È utile precisare che, anche se alcuni dei traduttori precedenti di Larcher contestavano in modo ostinato questa testimonianza del padre della Storia sull'aspetto etnico degli egiziani, quest'ultimi optarono sino alla fine del XIX secolo per una traduzione fedele ed autentica del testo greco di Erodoto. È il caso di un professore inglese di filosofia comparata, A. H. Sayce (1883). Per le traduzioni fedeli del passaggio che ci interessa, si può citare inoltre Larcher, Pierre Salia (1556), P. Du Ryer (1645), André-François Miot (1822), E. A. Betaut (1836), P. Giguet (1864), Henri Berguin (1932), J. Enoch Powell (1949)" [2].

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Atto II: La falsificazione:


Seguiamo sempre Jean-Marc Egouy:  "  Philippe Ernest LEGRAND era professore all'Università di Lione quando fu richiesto  attraverso la sua corrispondenza con l'Istituto di Francia, per una nuova traduzione del testo di Erodoto. Perché infatti, la sua qualità di ellenista competente glielo permetteva. Si vide dunque pubblicata, negli anni trenta del XX secolo, un'edizione tardotta da Legrand del tomo II della "Storia" di Erodoto, tomo dedicato all'Egitto, ma questa volta tradotto da Legrand: "[...]  essi avevano la pelle bruna".

 

"(...) Con questa nuova edizione, assistiamo ad una sostituzione del senso del termine greco, che fa stranamente passare il colore della pelle degli egiziani da nero (melas) a bruno (melanophaios)".

 

"(...) La traduzione di Legrand d'inizio secolo XX fu ripresa da altri (Jacques LACARRIERE, Andrée BARGUET),ed è essa che attualmente funge da traduzione ufficiale di riferimento ad Erodoto".

 


Atto III: Dalla "Bomba" di Cheikh Anta Diop al nostro sito Web AfricaMaat
Cheikh Anta Diop

Nel 1954, una "bomba" esplodeva: Nations Nègres et Culture [Nazioni Negre e Cultura], libro dello scienziato Senegalese Cheikh Anta Diop. L’Egitto è veramente una civiltà negra. Sin dal primo capitolo intitolato "Cos'erano gli Egiziani", l'uomo di scienza Senegalese regola "la questione" Erodoto. Nella rubrica "Testimonianze degli scrittori e dei filosofi antichi", Cheikh Anta Diop écrit: "Tutti questi testimoni oculari affermano formalmente che gli Egiziani erano dei Neri".


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  "(...) Per dimostrare che gli abitanti della Colchide erano di origine egiziana e che bisognava considerarli come una frazione dell'esercito di Sesostri che si sarebbe installata in questa regione, Erodoto affermerà: "Gli Egiziani pensano che questi popoli sono dei discendenti di una parte delle truppe di Sesostri. Lo congetturai anche da due indizi : il primo è che essi sono neri e che hanno i capelli crespi...".

 
In breve, l'Egitto antico era un paese africano nero: gli Egiziani antichi lo sapevano essi stessi, i Greci ed i Latini lo avevano detto (testimoni occulari e questo per più di un millennio), degli egittologi lo hanno dimostrato con una grande erudizione: il professor Cheikh Anta Diop, seguito dal professor Théophile Obenga poi dai Professori A. M. Lam, M. Bilolo, B. Sall, A. Anselin, Oum Ndigi e oggi quelli dell'Istituto Africamaat.
"Mélas" , parola impiegata dai Greci per il colore degli egiziani, è il termine greco più forte per dire "nero" come sosteneva il grande uomo di scienza Cheikh Anta Diop.

 

Κελαινός , kélainos ("il sangue nero", Iliade, I, 303) ’ερεμνός , eremnos ("un turbine tenebroso", Iliade, XII, 375) αίθων, aithôn ("un toro rosso", Iliade, XVI, 488) μέλας , melas ("la nave nera", Iliade, I, 300) [4].

 

 

 

Atte IV: Il battello dei falsificatori imbarca acqua, o l'inizio della caduta


In realtà, l'inizio della caduta risale a Jean-françois Champollion, il celebre decifratore dei geroglifici, che ha riconosciuto la caratteristica nera degli egiziani antichi. Perché malgrado la moltitudine dei falsificatori, alcuni eruditi non si schierano con la montatura; altri lo fanno in parte.

 

Citiamo alcuni (vivi o morti) al di fuori di J-F Champollion: Volney, Amélineau, Blanchard hanno detto la verità. Jean Leclant (uno dei più grandi pilastri della Scuola di egittologia francese) ha concesso che il sud dell'Egitto era all'origine della civiltà faraonica. E sempre più, per non dire di recente, "un vento caldo proveniente dal sud" soffiava sul battello che imbarcava acqua.

 

nerezza--Tutankhamun.jpgTutankhamun, ricostruzione del volto del celebre faraone


Béatrix Midant-Reynes, archeologa, incaricata di ricerca al CNRS, scrive nel suo libro intitolato Aux origines de l’Égypte [Alle origini dell'Egitto] del 2003: "L’Egitto è in Africa. Evidenza troppo a lungo superbamente ignorata per focalizzare le grandi correnti civilizzatrici verso un brillante Oriente".


Nella prefazione del libro intitolato Egitto faraonico (2004) di Bernadette Menu, egittologa e storica del diritto, direttrice onoraria al CNRS, è scritto: "Lei (B. Menu) mostra infatti che la formazione dello Stato egiziano non è un caso ma l'effetto della volontà di alcuni grandi re (la "dinastia 0" e i due fondatori), sorti da clan o da lignaggi originari del sud, e puramente africani".

 

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Ma torniamo al nostro famoso passaggio di Erodoto:

 

Alcuni traduttori utilizzano una specie di astuzia che consiste nel commettere la menzogna nella traduzione dicendo "Pelle bruna" ma dicendo qualcosa di diverso nelle note. Esempio, il libro delle Edizioni Gallimard, FOLIO Classique (Hérodote, l’Enquête, Libri dal I al IV, Edizione di Andrée Barguet): il testo alla pagina 213, dice "pelle bruna" ma una nota 131 rinvia a pagina 503, e cosa leggiamo?: "L'esistenza di una piccola comunità di Neri è stata effettivamente notata vicino a Sukhoum; essi sarebbero allora i superstiti degli antichi Colchidi, che erano forse (sic) di origine africana...".

 

Sorprendente, vero!?

Atto V: La Torre infernale, o la caduta finale
Ma l'ora della fine della ricreazione è suonata. Ed ecco il momento di annientare i falsificatori razzisti.

Le Éditions PALEO hanno stampato l'ultima traduzione del famoso libro di Erodoto (2005). E la traduzione è valida. Questo libro mette a fuoco la Torre di Babele dei nostri falsificatori.

 

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Etilé René-Louis Parfait



[Traduzione di Ario Libert]

 

 

Bibliografia:


[1] Libro II, paragrafo 104.


[2] Vedere: Les Racines de l’Égypte ancienne, la supercherie médiatique, et Cheikh Anta Diop, Jean-Marc Egouy, Éditions Menaibuc, 2003.


[3] Vedere Engelbert Mveng, Les sources grecques de l’histoire négro-africaine, Présence africaine, 1972, page 85.


LINK al post originale:

 Noirceur des Egyptiens Anciens: "La messe est dite!"

 

LINK a saggi pertinenti all'argomento trattato:

 

Dio è nato in Africa nera

 

Testimonianza di Jean François Champollion sull'impossibile origine indo-europea degli antichi Egiziani

 

Testimonianza di Vivant Denon a proposito della Sfinge di Giza

 

 
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14 luglio 2010 3 14 /07 /luglio /2010 09:20




Dio è nato in Africa nera

di Doumbi-Fakoly

 

 

Madrepatria dell'universo, l'Africa nera è stata il primo campo d'azione della vita rivelatasi a se stessa prima di diversificarsi nei suoi diversi componenti floristici, faunistici ed umani. Madrepatria dell'umanità, l'Africa nera è stata il primo campo d'azione in cui le prime creature pensanti, la Coppia Primordiale negro-africana, hanno acquisito la nozione del tempo nella trinità di quest'ultimo: il Passato, il Presente e il Futuro. Madrepatria di Dio, l'Africa nera è stata il primo campo d'azione  in cui il Grande Architetto, allo stesso tempo ieri, oggi e domani, si è lasciato scoprire tra le prime delle sue ipostasi umane, la Coppia Primordiale negro-africana.

  

Rivelandosi Dio, al termine delle sue interrogazioni e delle sue riflessioni sul perché ed il come della sua esistenza terrestre, la Coppia primordiale negro-africana ha compreso che, oramai, il suo atteggiamento globale di fronte alla totalità della vita, doveva essere conforme all'idea che si era fatta di questo Grande Architetto.

  

Per riconoscenza verso Dio e per essergli gradito, la Coppia Primordiale negro-africana ha organizzato la società ed emesso, per il suo funzionamento armonioso, delle regole di condotta spirituale, morale cultuale e culturale. 

 

 

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Osiride, primo inviato da Dio, seduto sul trono di Dio per giudicare i vivi ed i morti (Testi sacri dell'Africa antica). Per la prima volta nella storia dell'umanità, le nozioni di "trono" di Dio, di "giudizio" (Maat), di "santità" (Maakherou), di "resurrezione" (Aktu), e di "paradiso" (Campo di Ialou), apparivano, in Africa nera, verso il 3000 a. C., fatto scientificamente provato.

 

Così è nata la prima visione globale del mondo fisico e del suo archetipo celeste. Diversamente chiamata, essa ha portato e continua a portare i nomi: usi e costumi così come tradizione, malgrado la scienza ragionante stabilita, in qualche modo, ha sostituito questi ultimi con i termini religione e civiltà.

  

Terminologie recenti, create per seminare la confusione, la religione e la civiltà veicolano lo stesso contenuto degli usi e costumi o la tradizione. Cioè, l'insieme dei comportamenti e atteggiamenti propri ad un popolo nella sua relazione con Dio, a lui stesso, ai suoi simili, al suo ambiente visilbile e invisibile. Cioè, l'insieme delle cerimonie commemorative destinate ad conservare la memoria del passato.

  

Perché la Coppia Primordiale negro-africana è stata la prima a scoprire l'esistenza di Dio, perché la Coppia Primordiale negro-africana è il genitore dell'umanità in tutte le sue componenti razziali, perché, infine, la Coppia Primordiale negro-africana ha solcato il mondo, con evidenza, le sue speculazioni teologiche e le sue realizzazioni morali culturali ed artistiche, sono anteriori a tutte quelle dei suoi discendenti.

 

 

 

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 La Trinità divina africana: Horus, Osiride, Iside.

 

 

La Trinità divina africana

  

Dio ha dunque viaggiato nei bagagli del suo scopritore negro-africano che l'ha rivelato agli altri egli stesso, semiti e indoeuropei, che non hanno operato il movimento di ritorno alle fonti per venire ad abbeverarsi nelle mani generose di Kamita [1], l'Egitto negro-africano.

  

Avendo perduto la sua melanina, come la Coppia Primordiale negro-africana, Dio ha assunto dei colori e l'insegnamento iniziale elaborato per onorarlo è stato interpretato ed adattato ad altre realtà mentre allo stesso tempo era deviato dal suo obiettivo primario, e cioè il servizio all'umanità.

  

 Tuttavia, questo Dio che rimane l'unico Dio autore della Creazione così come il suo scopritore negro-africano continuano a segnare con la loro impronta indelebile tutte le religioni esistenti.

 

Il Dio negro-africano: l'antenato ispiratore

 

Iside_horus.jpgNell’instante stesso della sua nascita, questo Dio Negro-africano detto Amon detto Ra, afferma, per la bocca dei suoi sommi sacerdoti: "... Ero la totalità quando ero solo nel Nun e sono Ra nella sua gloriosa apparizione quando comincia a governare ciò che ha creato.. Sono il grande dio venuto all'esistenza da se stesso... A me appartiene lo ieri e conosco il domani..." [2]. Ed aggiunge: "Ho creato tutte le forme con ciò che è uscito dalla mia bocca" [3], prima di precisare: "...Sono il padrone dell'eternità... la mia vera forma è nascosta in me, perché sono l'inconoscibile..." [4].

 

Quando dopo due millenni e pochi secoli dopo, nascerà, verso il 1300 a. C., il primo Dio bianco, Javeh, detto Jehovah detto Elohim, quest'ultimo, per presentarsi alla sua creazione, si iscriverà  nella stessa procedura del suo maggiore e modello negro-africano.

 

Infatti, Javeh detto Jehovah detto Elohim verrà all'esistenza da se stesso, alleggerà al di sopra dell'abisso che contiene, come il Nun, i germi di tutta la creazione, poi, attraverso il verbo, procederà alla creazione ma rimarrà sempre il Mistero dei Misteri.

 

Le ipostasi di questo Dio bianco, cioè Dio-Padre ed Allah rivendicheranno la sua eredità, il primo attraverso un silenzio consensuale, il secondo attraverso qualche richiamo sulla sua creazione dell'universo e dell'umanità.

  

atum-ra.jpgInoltre, "Aëloim", altra grafia di Eholim, significa "Lui-gli-Dei [5]", e che i cabalisti rappresentano Dio sotto una forma umana di cui ogni parte del corpo compie una funzione, questi nuovi prestiti fatti ad Atum detto Amon Detto Ra mostrano che l'antenato negro-africano era veramente il modello da seguire.

  

Infatti, per significare la sua unicità plurale, il Dio negro-africano non dice forse: "Non c'è in me membra che siano prive di un dio... [6]", prima di nominare, uno ad uno, dai suoi capelli alle sue inghie, le sue divine membra protette ognuna da una di quelle numerose altre se stesse, cioè, le divinità del suo seguito.

 

Se il Cristianesimo si accontenta della tripla dimensione il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo" di Dio-Padre, l'Islam, per quel che lo riguarda, riconosce ad Allah cento nomi di cui soltanto 99 sono ancora conosciuti. Il centesimo, l'ineffabile, rimane sempre il Mistero dei Misteri.

 

È interessante, tuttavia, ricordare che Atum detto Amon detto Ra aveva egli stesso un centinaio di nomi e che quello che rimane Il Mistero dei Misteri lo è ancora per tutti, tranne per Iside, la grande Nera, che è riuscita a farglielo rivelare.

 

L’anteriorità dell'insegnamento religioso negro-africano

L’insegnamento religioso di un popolo narra i miti fondatori di questo popolo, emette le regole di comportamento da osservare verso questo Dio, definisce i rapporti dell'uomo verso la donna, i suoi simili, il suo ambiente, consiglia le preghiere, le offerte ed i sacrifici propiziatori ed espiatori, ecc.

  

L'essenziale dell'insegnamento religioso negro-africano è contenuto nei testi sacri è contenuto nei testi sacri redatti dagli avi dei nostri antenati durante il loro soggiorno a Kamita.

  

Concepiti e scritti tra il 2300 ed il 1550 prima dell'era cristiana, i "Testi delle Piramidi", i "Testi dei Sarcofagi", il "Libro delle due Vie", le "Formule per Uscire alla Luce del Giorno", precederanno di un millennio quelli delle tre religioni del libro.

 

Pesatura-dell-anima.jpg

  

 

Composto di tre versioni sovrapporte [7], l’Antico Testamento sarà redatto tra il XIX ed il VI secolo a. C, seguito dal Nuovo Testamento che lo sarà tra gli anni 50-60 d. C. ed il Corano verso il 650 d. C.

  

Questo ritardo considerevole nella redazione di quest'ultimi testi spiegano, nell'essenziale, l'influenza molto netta che hanno subito dai loro predecessori abbondantemente osservati dagli autori.

  

Maat.JPG1- I precetti morali: Per avere il cuore leggero quanto la piuma di Maat e riuscire nell'esame di passaggio davanti al tribunale divino, il primo scopritore di Dio, il negro-africano, doveva aver praticato per tutta la sua vita, le raccomandazioni della grande dea riassunte nelle 42 "dichiarazioni di innocenza". Basta rileggere, dopo aver preso conoscenza delle raccomandazioni di Maat, i "10 comandamenti" fatti a Mosé da Javeh per rendersi conto dell'evidente ma imperfetta imitazione che ne è stata fatta. Per scrivere il Libro dei Proverbi, i redattori della Thorà non hanno esitato, nemmeno, a fare ampiamente appello alle sentenze e massime morali, altrimenti detto alle "Saggezze" negro-africane di Amenemope, di Ptahhotep, di Ani, di Rekhmire e di Kagemi [7] soprattutto.

  

2- L'azione di grazia: Allo scopo di testimoniare la sua ammirazione di fronte alla bellezza della creazione, di ringraziare Dio di aver reso e di continuare a rendere la natura così generosa e per sollecitare un piccolo aiuto dal destino, il negro-africano passava attraverso la via della:


2-1- Preghiera: accumulando lodi e venerazioni, invocazioni e incantesimi, la preghiera può essere fatta individualmente o collettivamente ed in luoghi appropriati. Tuttavia, secondo l'obiettivo preso in considerazione, la partecipazione della collettività può essere necessaria. Per questo motivo, "la casa della vita" è stata creata per accogliere le cerimonie riguardanti la vita della collettività, soprattutto. Se la preghiera può essere detta ad ogni momento, vi sono tuttavia tre momenti privilegiati indicati dalla trinità Khepri-Ra-Atum: l'alba, il mezzogiorno ed il crepuscolo. I fondatori del giudaismo, del Cristianesimo e dell'Islam seguiranno il primo scopritore di Dio passaso. Essi creeranno delle lodi e venerazioni, delle invocazioni e incantesimi, costruirono dei luoghi di adorazione (templi, chiese e moschee), conserveranno gli stessi momenti di preghiera ai quali gli imam aggiungeranno il pomeriggio e la sera. Il Cristianesimo insisterà sul giorno della Domenica, giorno del sole, dunque giorno di Osiride il maggiore e giorno di tutte le altre divinità calendarie.

  

2-2- Le offerte, i sacrifici e le fumigazioni: per il fatto della sua conoscenza perfetta di Dio e del profondo rispetto che aveva per lui, dunque per la Vita, il primo scopritore di Dio si era prescritto delle offerte e dei sacrifici che bandivano totalmente l'effusione di sangue umana. Così, piante, frutta, volatili, pesci, bovini, ovini e caprini sostenevano i suoi atti di devozione ed i suoi incantesimi ed invocazioni. I fondatori del Giudaismo saranno talmente sensibili a questa procedura umanista, che rinunceranno ai sacrifici dei loro primi nati alle loro divinità ssanguinarie che erano Moloch e Baal ed anche Jahveh. È così che essi sostituirono l'ariete a queste vittime innocenti e trasmetteranno questa nuova pratica ai loro successori Musulmani. Se i fondatori del Cristianesimo sembrano aver rinunciato al sacrificio, fatta eccezione del giorno del "venerdì santo" in cui il pesce serve a comunicare più intensamente non si sa con quale divinità, hanno ben conservato le offerte, soprattutto di ceri e ricorrono abbondantemente, come i rabbini anche alle fumigazioni allo scopo di purificare i loro luoghi di culto.

  

Osiride3.jpg2-3- Il pasto sacramentale: ribattezzato Eucaristia dai fondatori del Cristianesimo, il pasto sacramentale è un rito che consiste in una teofagia totale o parziale. Dopo che la passione di Osiride fu vissuta, i mistici si ritrovavano in un posto segreto per procedere al pasto del Grande Nero allo scopo di comunicare, in questo modo con lui e tra di loro. Mangiavano il suo corpo simbolizzato dal pane e bevevano il suo sangue simbolizzato dal vino. Come si vede, i fondatori del Cristianesimo non hanno inventato nulla.

  

3- Il giudizio dei morti: il primo scopritore di Dio, è stato la sola ed unica creatura ad aver immaginato questo tribunale divino davanti al quale deve svolgersi la sorte finale dell'umanità al termine di molteplici reincarnazioni destinate a purificare il suo cuore, sede della coscienza e dell'intelligenza. I membri di questo tribunale incaricato di valutare il grado di purezza degli aspiranti alla Beatitudine prima di autorizzare la loro fuzione con la fonte originale della vita, e cioè con Dio, sono nel numero di 42. Ognuno di essi ha la particolarità di rappresentare allo stesso tempo un nome di Kamita, il Doppio Paese ed una delle quarantadue qualità contenute nella "dichiarazione d'innocenza" e la cui acquisizione è indispensabile per chiudere il ciclo delle reincarnazioni.

  

Il negro-africano ha anche immaginato il tribunale divino e l'Amenti per convincere che la ricompensa suprema è alla fine dello sforzo, allo stesso modo, egli ha immaginato un altro luogo simbolico, ma di terribili sofferenze quello in cui saranno ammessi per sempre gli esseri che non meritano di reincarnarsi. Questa situazione di non ritorno è la seconda morte riservata alle anime gravate dal peso di mancanze morali troppo pesanti. Avendo perduto ogni identità individuale questi spiriti malfattori contribuiscono a densificare i fluidi del basso astrale per formare un magma di larve nel quale vanno ad attingere gli iniziati traviati per compiere le loro azioni criminali.

  

Non avendo subito una vera iniziazione nei templi di Kamita, i fondatori del Giudaismo, del Cristianesimo e dell'Islam hanno preso quest'insegnamento esoterico dal primo scopritore di Dio per un punto fondamentale del suo insegnamento esoterico. Così, mentre erano destinati a far comprendere ai profani alcune verità che superano la loro comprensione, hanno fatto del "paradiso" e dell'"inferno" immaginati dai negro-africani per due realtà tangibili.

  

L'incomprensione che essi hanno di questo punto dell'insegnamento negro-africano è evidente.

  

Infatti, una volta sbarazzatosi della sua veste carnale, l'anima, che è la vera essenza dell'essere umano, riprende pienamente la sua natura puramente fluida. Non priva nessun bisogno fisiologico: non avendo più sesso, non ha più bisogno dell'amore carnale; non avendo né bocca né ventre né corpo essa non ha più bisogno di mangiare né di bere e non sente più il freddo né il calore. Ecco perché non può gioire di nessun piacere paradisiaco né soffrire di nessuna ustione infernale.

  

Se l'influenza del pensiero religioso negro-africano è evidente in quella delle tre religioni di cui abbiamo parlato in queste righe, non lo è meno in altre filosofie religiose nate in altri continenti.

 

Tula--Olmechi.jpg1.- In America: attraverso l'adorazione del sole come simbolo di Dio, la costruzione di piramidi, l'utilizzazione della mumificazione, la rappresentazione delle ipostasi di Dio sotto forma ibrida, semi-umana semi-animale, la pratica dell eofferte e dei sacrifici, soprattutto gli Olmechi ed i Maya precolombiani, gli Aztechi avevano direttamente o indirettamente preso esempio dal primo scopritore di Dio. L'emigrazione di gruppi umano negro-africani e/o la fondazione di colonie da parte degli stessi potrebbe essere una spiegazione di questa influenza.

 

India--Ganesha.gif2.- L'India: attraverso la credenza nella reincarnazione, la teoria dell'ipostasia (Brahma, Vishnu e Shiva), la rappresentazione ibrida delle sue divinità, la sua credenza nell'efficacia delle offerte e dei sacrifici, la venerazione della vacca (lo Hapi negro-africano), l'Induismo si è a sua volta, arricchito dell'insegnamento del primo scopritore di Dio.

 

China_Pyramid.jpg3.- La Cina: attraverso la credenza nella reincarnazione (Buddismo e Confucianesimo), rafforzata dalla credenza in Dio e le sue ipostasi divine così come attraverso la credenza nell'esistenza degli spiriti, attraverso la pratica delle offerte e l'utilizzo degli incantesimi e degli amuleti (Taoismo), cone le sue piramidi, soprattutto, la Cina non è stata da meno.

 

  

Amaterasu.jpg4.- Il Giappone: attraverso la credenza nella reincarnazione (Buddismo), rafforzata dalla credenza in divinità protettrici, le Kami, di cui la più celebre Amida, sull'esempio di Horus uscente da un loto, usciva sempre da un calice di fiori e attraverso la pratica delle offerte e dei sacrifici (Shintoismo), il Giappone è un altro beneficiario della civiltà negro-africana.

 

Se è stata diversamente e spesso erroneamente interpretata dagli altri popoli, il pensiero religioso negro-africano è rimasto lo stesso in tutta l'estensione dell'Africa negro-africana. La religione negro-africana di Kamita è, infatti, la forma compiuta della religione concepita dagli Avi dei nostri Antenati. Allo stesso modo la lingua di Kamita è il melting-pot delle lingue dei popoli negro-africani che si sono ritrovati nel delta del Nilo, allo stesso modo l'addizione della credenze di questi stessi popoli ha dato nascita alla più compiuta delle religioni mai creata dallo spirito umano.

  

Ovunque nell'Africa negro-africana, ovunque nella diaspora negro-africana in cui il pensiero negro-africano ha potuto preservarsi, la visione del mondo, nel suo doppio aspetto visibile ed invisibile è, nell'essenziale, identico.

  

Ecco in breve, riassunti i punti fondamentali comuni delle manifestazioni diversificate della religione negro-africana.  

  

 

  androginia di Dio,
  unicità di Dio,
  Dieu nel contempo parte e totalità della creazione,
  creazione di tutte le creature a sua propria immagine,
  eternità della vitaper il fatto del carattere eterno della forza vitale,
  complementarità tra la donna negro-africana ed il suo compagno di milioni di anni,
  culto degli antenati,
  pratica della magia,
  sacralizzazione dell'ecologia,
  interdipendenza totale tra il mondo visibile ed il mondo invisibile,
  offerte e sacrifici propiziatori ed espiatori di vegetali, minerali e di animali,
  

  

Perché non è necessario essere un superdotato della ragione ragionante né un tecnico superiore in scienze occulte per capire che nessuna copia vale l'originale, è indispensabile per l agioventù negro-africana d'Africa e del Mondo nero ritornare ad abbeverarsi alle fonti.

È a questo solo ed unico prezzo che sarà liberata spiritualmente, intellettualmente, psicologicamente dai legami alienanti di spiritualità straniere che infecondano la sua energia creatrice.

È a questo solo ed unico prezzo che sarà in grado di avere ricoprire tutta la sua fiducia in se stessa, nel suo atteggiamento a congiungere la vita al modo ed al tempo delle sue proprie aspirazioni ad una felicità da se stessa e da se stessa definiti.

  

 



Doumbi-Fakoly

 
[Traduzione di Ario Libert]


NOTE

 

[1] Nome negro-africano dell'Egitto.

 

[2] Livre des morts des anciens Egyptiens ; Ed. du Cerf, Paris 1967, chapitre 17, page 57; Tr.it.: Il libro dei morti degli antichi Egiziani, Mediterranee, Roma, 1992.

 

[3] Papyrus Nesmin; vedere Enel, Les origines de la Genèse et l’enseignement des temples de l’ancienne Egypte.

 

[4] Idem, capitolo 42, p. 85.

 

[5] Enel, Op. cit., p. 180.

 

[6] Livre des morts des anciens Egyptiens, capitolo 42, p. 85.

 

[7] La versione Yahivista (IX secolo a. C.), la version elohimista (VII secolo a. C.), la versione sacerdotale (Vi secolo a. C.).

  

[8] Livre des morts des anciens Egyptiens,  op. cit., da pp. 160-162.

 

[9] Obenga Théophile: La philosophie africaine de la période pharaonique, 2780-330 avant notre ère [La filosofia africana del periodo faraonico, 2780-330 prima della nostra era], Ed. l’Hamattan, Parigi 119.

 

 
 
LINK al post originale:
  
 
LINK You Tube a "Il libro dei morti Egiziano", prima parte di nove:
1a parte:
  


           LINK a saggi afrocentristi:

Platone: uno studente greco in Africa nera!

La prima Signora di Francia, la Signora di Brassempouy, è una donna africana!

Testimonianza di Jean François Champollion sull'impossibile origine indo-europea degli antichi Egiziani

Testimonianza di Vivant Denon a proposito della Sfinge di Giza

I Greci non sono i precursori della filosofia

Gli egiziani erano neri come il "carbone"

 

 

LINK ad un saggio concernente la tecnica costruttiva reale delle piramidi in Egitto:

La Stele della Carestia: geroglifico sulla costruzione delle piramidi 

 

 

 

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28 gennaio 2010 4 28 /01 /gennaio /2010 09:00
Platone: uno studente greco in Africa nera!



Scopriamo le numerose fonti autentiche, attestanti l'iniziazione africana di Platone. Questa trama importante della sua vita è generalmente falsificata, edulcorata o semplicemente passata in silenzio dagli storici attuali.


platon.jpg


 

1- Platone ed il dogmatismo storico universitario

Platone (428-348 a. C.) è un filosofo greco nato ad Atene, famoso per aver fondato nella sua città natale, l'Accademia, una scuola filosofica verso il 387 a.C. La sua particolarità era dovuta ad una riflessione dialettica e matematica. È l'autore di 28 dialoghi tra cui Il Simposio, Fedone, La Repubblica, FedroIl SofistaIl Timeo, Le Leggi, ecc.

Ha soprattutto elaborato, ci dicono, una filosofia idealistica nella quale egli distingue il sapere dall'opinione, il mondo delle idee e della verità dal mondo sensibile. La sua visione si articola anche con una teoria dell'essere, della natura, del linguaggio e della politica. Ma soprattutto, Platone è "tassato" da tutti gli storici occidentali, di padre spirituale della filosofia, e cioè la scienza la scienza che si vorrebbe amante della saggezza. È il primo, ci dicono anche, ad aver filosofato, cioè ad essersi interrogato sull'origine ed il divenire delle cose.

Ma ecco, per glorificare il personaggio, la maggior dei biografi attuali, passa generalmente sotto silenzio le fonti del suo sapere ed il suo viaggio iniziatico in Egitto, sulle vie della saggezza presso i sacerdoti, cosa eppure confermata dai suoi biografi greci.

La maggior parte delle sue idee, come l'Uno ed il Molteplice; l'Identico e l'Altro; i quattro elementi: acqua, terra, aria, fuoco; il divenire; l'immortalità dell'anima; la vita nell'aldilà; il dualismo materia-spirito; il corpo come tomba dell'anima; la nozione dell'anima del mondo, ecc., sono delle nozioni che egli ha scoperto per la prima volta nell'Africa nera durante il periodo faraonico. I suoi contemporanei, come Strabone o Erodoto (che conferma inoltre l'origine strettamente egiziana dell'idea dell'immortalità delle anime umane), ci aiutano a saperne di più sulle fonti africane del suo sapere.

2. Platone riportato alla verità storica

Sacerdote-egizio--epoca-tolomaica--Palermo-.jpgColoro che amano la saggezza, dovrebbero soprattutto, amare la fonte della saggezza. L'una non procede senza l'altra, eppure...
Si cerca di nascondere l'iniziazione ai saperi egiziani di Platone attraverso le sue relazioni con Socrate. Infatti, Platone fu anche inizialmente un allievo di Socrate (470-399 a. C.) Ma l'iniziazione stessa di Socrate ai saperi egiziani sembra essere un fatto reale. Infatti, la maieutica (cioè, l'arte di guidare il proprio interlocutore a scoprire egli stesso le risposte alle sue domande e le verità che egli reca in sé senza saperlo) non è altro che il metodo pedagogico impiegato dai sacerdoti neri di Kemet, secoli prima di Socrate, per formare i giovani spiriti egiziani.
Quest'ultimi potevano giungere sino a far dubitare i loro discepoli per dimostrar loro che alcune delle loro certezze potevano anche nascondere delle incertezze. Socrate credeva anche nell'immortalità delle anime. Ora Erodoto ci informa che sono gli Egiziani che hanno insegnato ciò ai Greci. Infine il giorno della sua morte, Socrate chiese di sacrificare un gallo nero ad Asclepio che non è altro che l'appellativo greco del sapiente nero egiziano Imhotep.
A dir il vero, la testimonianza dei Greci antichi svela che Platone ha veramente scoperto queste nozioni filosofiche con i sacerdoti neri Seknuphis del tempio di Eliopoli (Iunu, On) e Conuphis del tempio di Memphis (Menefer) in Egitto. Ha studiato per più di tredici anni in Egitto nel segreto dei templi egiziani.
Il suo discepolo. Ermodoro ha inoltre ammesso che il maestro aveva ricevuto gli insegnamenti dei più alto sacerdoti di Eliopoli, cosa confermata da Strabone.
Strabone.jpg
Infatti, dal ritorno dal suo viaggio in Egitto, il geografo greco Strabone (contemporaneo di Cristo) conferma da una parte, i 13 anni di apprendistato filosofico di Platone e di Eudosso in Egitto nella città di Eliopoli e dall'altra, lo sfruttamento in Grecia del sapere Egiziano [1]: "Abbiamo visto degli edifici destinati un tempo ad ospitare i sacerdoti, ma non è tutto, ci fu mostrato anche la dimora di Platone e di Eudosso: perché Eudosso aveva accompagnato Platone sino a li. Arrivato a Eliopoli, vi si stabilirono ed entrambi vissero là per tredici anni nella comunità dei sacerdoti (...). Questi sacerdoti, così profondamente versati nella conoscenza dei fenomeni celesti, erano allo stesso tempo delle persone misteriose, poco comunicativi e non è che con il passare del tempo ed abili accortezze, che Eudosso e Platone poterono ottenere di essere iniziati da essi  ad alcune delle loro speculazioni teoriche. Ma questi barbari conservarono per sé, nascosta, la parte migliore. E se il mondo deve loro di sapere oggi quante frazioni di giorni bisogna aggiungere ai 365 giorni pieni per ottenere un anno completo, i Greci hanno ignorato la durata vera dell'anno e molti altri fatti della stessa natura, sino a quando delle traduzioni in lingua greca delle memorie dei sacerdoti egiziani hanno diffuso queste nozioni tra gli astronomi moderni, che hanno continuato sino ad oggi ad attingere ampiamente in questa stessa fonte come negli scritti ed osservazioni dei Caldei".

Eudosso.gifSe Eudosso si era rivolto ai suoi amici per finanziare il suo viaggio in Egitto, Plutarco ci informa che Platone aveva dovuto trasformarsi in mercante [2]: "Platone sostenne  le sue spese di viaggio vendendo olio in Egitto". Infatti, come evidenzia il professor Abel Jeannière (Cfr. Platon,
édition Seuil), egli ha dovuto negoziare dei carghi d'olio prodotti dai suoi oliveti. A questo riguardo, il professor Godel, che conosce le fonti che trattano dell'iniziazione di Platone in Egitto (Cfr. Platon à Héliopolis d'Egypte, Paris, Belle Lettres, 1956), ammette che: "Se le guide dei tempi di Strabone poterono mostrare presso il tempio, la camera in cui egli (Platone) risiedette per diversi anni, è perché il soggiorno gli fu utile. I santuari egiziani disponevano da un secolo, di interpreti accreditati per conversare con i Greci. Si erano ricevuti, istruiti ed a volte iniziati dei viaggiatori qualificati: Solone, Pitagora, Erodoto, Democrito (...). A proposito dell'insegnamento del sacerdote egiziano (Sechnuphis) si può leggere: 'Platone ascolta come ascoltava Socrate, il suo compagno africano esaltare la giusta via davanti alle prospettive della morte (...)'. Se Platone giunse ad intrattenersi con i più alti dignitari di Eliopoli, come ha dichiarato per scritto il suo discepolo Ermodoro, le comunicazioni  che egli ricevette dovettero appartenere a questo fondo perfettamente unificato. Le comunità di Eliopoli offrivano ad un ricercatore immense risorse. A condizione di essere gradito e di ispirare fiducia, poteva consultare attraverso persona interposta delle biblioteche di un valore inestimabile, una raccolta di osservazioni astronomiche continue di millenni" (Cfr. Platon à Héliopolis d'Egypte, Parigi, Belles Lettres, 1956). 


Tempio-di-Luxor--Egitto.jpg 

solone.jpgPlutarco.jpgNella sua opera "Iside e Osiride", (Tr. it.: Adelphi, Milano, 1990), opera  lo scrittore greco Plutarco (50-125 d.C.) si è impegnato a dimostrare che Platone e molti altri ricercatori greci, hanno studiato in Egitto presso uomini di scienza neri. Prende come testimoni tutti i "Saggi" della Grecia, il che è del tutto esplicito: "È quanto attestano unanimamente i più saggi tra i Greci, Solone, Talete, Platone, Eudosso, Pitagora e secondo altri, Licurgo stesso, che viaggiarono in Egitto e vi conferirono con i sacerdoti del paese.

 

Si dice che Eudosso fu istruito da Conuphis, Solone da Sonchis di Saïs, Pitagore da Enuphis l'Eliopolitano. Pitagora soprattutto, pieno di ammirazione per questi sacerdoti, a cui aveva ispirato le sue opinioni, imitò il loro linguaggio enigmatico e misterioso e avvolse i suoi dogmi nel velo dell'allegoria. La maggior parte di questi precetti non differiscono affatto di ciò che in Egitto si chiamano i geroglifici. Eccone alcuni: Non mangiate in un carro; Non sedetevi  sopra uno staio; Non piantate palme; non attizzate il fuoco con la spada in casa vostra*. Credo anche che i pitagorici, assegnando ad alcuni dei loro Dei dei numeri particolari, ad Apollo la monade, a Diana la diade, a Minerva il settennario ed a Nettuno il primo cubo, abbiano voluto imitare ciò che si praticava o ciò che era rappresentato nei templi d'Egitto".

 

talete.jpgFacendo una dimostrazione sulle riflessioni spirituali di Platone, Plutarco prova che quest'ultimo ha effettivamente seguito l'insegnamento dei sacerdoti Egiziani: "mostrerò la conformità del sistema filosofico di Platone con la teologia degli Egiziani (...). Platone sostiene che lei (Iside, una divinità egiziana maggiore) è il recipiente universale, la nutrice di tutti gli esseri". La stessa constatazione può essere applicata ad Eudosso, poiché Plutarco aggiunge: "Eudosso dice che Iside presiedeva alla tenerezza". Diodoro siculo inoltre, ha egli stesso confermato i fatti [3]: "Licurgo anche, Platone, Solone hanno incluso molto delle regole prese in presitito all'Egitto nelle loro legislazioni".

 

Diodoro-siculo.jpgAbbiamo detto all'inizio che fu l'Egitto e non Sicrate ad aver veramente segnato il percorso intellettuale di Platone. Lo sostiene egli stesso d'altronde. Attraverso una discussione sulla natura dell'ignoranza originale dei Greci di fronte alle scienze del numero (matematica), della misura (geometria) e dell'astronomia, tra un vecchio ateniese che risponde a due altri vecchi, il Cretese Clinia ed il Lacedemone Megillo, Platone si svela con grande sincerità [4]: "O caro Clinia, è tardivamente che mi si è rivelata da sé la nostra abituale deficienza a questo proposito (...) ebbi vergogna non soltanto per me stesso ma per tutta la razza ellenica".

 

Nel Timeo, Platone che affronta ancora il viaggio del legislatore ateniese Solone (uomo di stato ateniese, 640-558 a. C., considerato uno dei sette saggi della Grecia) in Egitto, ci confessa lui stesso ancora che i sacerdoti neri consideravano i Greci come degli spiriti relativamente infantili, senza tradizione storica [5]: "Poiché egli (Solone) interrogava un giorno sulle antichità i sacerdoti più versati in queste materie, aveva scoperto che ne lui né che nessun altro Greco non sapeva per così dire quasi nulla su tali argomenti (...). Pregò i sacerdoti di esporgli passo passo ed in dettaglio tutto ciò che essi sapevano dei suoi concittadini di un tempo".

 

Archimede-di-Siracusa.jpgMa il professor Cheik Anta Diop rimprovera tuttavia ai Greci la loro assenza di onestà e di sincerità di fronte alle loro fonti [6]: "Sappiamo oggi in modo quasi certo che Talete di Mileto, Pitagora di Samo, Archimede di Sicilia, Platone, Solone, ecc... sono stati allievi dei sacerdoti egiziani che durante quest'epoca anche secondo la testimonianza di Platone, consideravano i Greci come degli spiriti relativamente infantili. Ora, è notevole che nessuno dei ricercatori greci così formati in Egitto, Pitagora il fondatore della scuola matematica greca in particolare, non abbia pensato a distinguere le cose da lui scoperte e quelle ricevute dall'Egitto. È tanto più inspiegabile che Plutarco in Iside e Osiride insiste sul fatto che tra tutti gli uomini di scienza greci che sono stati iniziati in Egitto, Pitagora sia il più amato dagli Egiziani, per via del suo spirito mistico (...). Tutte le invenzioni meccaniche attribuite ad Archimede presentano un carattere sospetto: esse esistevano in Egitto millenni prima della nascita di Archimede. I costruttori  di piramidi dell'antico impero conoscevano il principio della leva; essi impiegavano quest'ultima in vari modi per sollevare tonnellate di pietre in cima alle piramidi in costruzione. Ora, è impossibile servirsi di un tale strumento senza associare immediatamente il rapporto delle masse e delle distanze, senza teorizzare (...). Archimede avrebbe scoperto la vite senza fine che è all'origine di un immenso progresso meccanico. Ma Diodoto siculo è formale, Archimede non ha potuto fare quest'invenzione che dopo il suo viaggio in Egitto in cui la vite idraulica era già in uso e serviva a pompare l'acqua".

 

Conclusione

 

Ecco i fatti! Le conoscenze di Platone, come lo confermano i suoi compatrioti Greci, sono il risultato del suo percorso iniziatico in Egitto che durò 13 anni. Se gli storici occidentali restano ancora incapaci di parlarne degnamente per orgoglio fuori posto e ridlesso ideologico raziale, resta tuttavia anormale che i panafricani continuano ad ignorare questi fatti!

 

La verità storica è lì, implacabile e resta valida per tutti.

 

Rimane che i panafricani devono oggi tenerne conto nel loro sistema educativo e valorizzare come si deve, il genio africano. Ogni atteggiamento contrario torna a disapprovare il principio dell'eguaglianza intellettuale tra gli uomini.

 

 

 

Jean-Philippe Omotunde



[Traduzione di Ario Libert]



 

Riferimenti bibliografici:

 

[1] Cfr. Strabone, Geografia, libro XVII.

 

[2] Cfr. Solone, 2. 

 

[*] Nell'edizione della casa editrice milanese Adelphi, la nota al testo relativa a questo passo e recante il numero 33, spiega il senso di questi che possono sembrare dei precetti privi di senso: "Il significato dei passi riportati si può svolgere rispettivamente come segue: -Non fare due cose alla volta; -Pensa al domani, non appagarti dell'oggi; oscuro è il terzo, forse relativo ad un tabù; poi -Non provocare chi è già furioso, oppure:-Non metterti contro chi è potente" [N. d.T.].

[3] Cfr. Libro I. 
[4] Cfr. Platone, Le Leggi. 
[5] Platone, Timeo, 21e, 22a e 23d. 
[6] Cfr. Cheikh Anta Diop, l’Unité culturelle de l’Afrique Noire [L'unità culturale dell'Africa Nera],  éd. Présence Africaine, p. 198.

 

 


LINK al post originale:

Platon: un étudiant grec en Afrique noire!
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1 gennaio 2010 5 01 /01 /gennaio /2010 07:23

La prima Signora di Francia, la Signora Brassempouy, è una donna africana!


Una testimonianza preistorica di un valore inestimabile pone in evidenza la storia ancestrale della pettinatura a trecce.

  


Brassempouy.gif

La Signora di Brassempouy


La più antica rappresentazione femminile ritrovata in Francia è una piccola forma scolpita nell'avorio e chiamata La Signora di Brassempouy !

brassempouy--02.gif


La Signora di Brassempouy


Visibile oggi al museo della preistoria di saint Germain en Laye (Museo delle Antichità Nazionali), La Signora di Brassempouy è dunque il nome dato a questa statuetta d'avorio di 3,65 cm, trovata nel 1894 in un villaggio delle Landes (nel Sud-Ouest) chiamato Brassempouy e datata a circa 23 000 a. C. Quest'ultima daterebbe dunque al gravettiano (Paleolitico superiore).


La bellezza del volto e la finezza del lavoro compiuto dall'artista fanno di quest'opera scolpita, la più bella testimonianza conosciuta sinora. Tuttavia, l'interpretazione scientifica di quest'opera fa aleggiare un mistero che dobbiamo chiarire.



Brassempouy--4.jpg


Questa statuetta è anche stranamente chiamata "la donna dal cappuccio", perché gli specialisti, avendo preso coscienza che il tipo di capigliatura rappresentato, essendo molto lungi dal tipo classico europeo, hanno elaborato la tesi del cappuccio o del copricapo, per eludere la questione dell'origine etnica di questa donna.


Nessuno osa dire infatti, in quale materiale sarebbe stato fabbricato questo cappuccio, a partire da quale tecnica, quale sarebbe la sua funzione e perché avrebbe quella forma.


L’analisi di africamaat


Esaminando da vicino questa statuetta, constatiamo subito che questa donna porta semplicemente delle trecce africane. Se una collaborazione nazionale tra ricercatori bianchi e neri fosse stata creata per analizzare questa scoperta, la tesi dell'origine africana di questa donna sarebbe oggi evidente.


Vista dal retro


Hervé Marie Catta dice lei stessa sul suo sito che più probabilmente si tratta di una capigliatura pettinata [1]. Come si vede, la tesi del copricapo non convince nessuno. Si effettuano due passi in avanti riconoscendo la non solidità della tesi del copricapo e quella di un acapigliatura pettinata.


Ma, se si tratta in modo formale, non di una capigliatura pettinata ma di una capigliatura intrecciata. Se si ammette che il primo uomo moderno è nato in Africa nera circa 160.000 anni fa [2], si può giustamente affermare che la prima struttura di capelli mai essitita era di natura crespa (specifica del tipo africano, detto "capelli crespi"). La questione della bellezza, del mantenimento e della disposizione di questa capigliatura particolarmente densa, si è dunque posta, sin dalla preistoria.


Ed è molto probabilmente cercando di valorizzare la loro bellezza e facilitare il trattamento e le cure dei loro capelli, che le donne africane dell'epoca preistorica ebbero l'idea di ricorrere alle trecce. In seguito, la perdita progressiva della cheratina, durante il processo di differenziazione fisiologico dell'umanità a motivo dell'acclimatazione dei primi Homo Sapiens Sapiens Africanus al clima freddo del nord, ha fatto nascere il capello del tipo europeo (detto "capelli di seta"), che resta inadatto per le piccole trecce  del tipo di quelle della Signora di Brassempouy. Questa statuetta è dunque importante perché ci rivela l'esistenza di trecce africane durante l'epoca preistorica.


L'artista scultore ha dunque realizzato una donna che porta dei capelli lunghi intrecciati. Per simbolizzare le trecce africane, ha fatto come d'abitudine, cioè ha simbolizzato la capigliatura intrecciata con dei piccoli cubi regolari che partono dalla sommità del cranio sino al di sopra delle spalle. Orizzontalmente, i cubi sono allienati a forma d'arco di cerchio intorno al cranio, lasciando apparire un magnifico volto femminile i cui tratti sono tipicamente africani.

 

  

Come essere certi che si tratta di trecce africane?

Piccola dimostrazione attraverso A + B.

 

Prendiamo il tempo di apprezzare la capigliatura intrecciata della regina faraonica Ahmes, Nefertari, dite "Ahmôsis Néfertary". Fu la fondatrice della XVIII dinastia faraonica e ricevette il titolo supremo di Sposa Divina di Dio (Amon) il che dimostra la posizione elevata che essa occupa all'interno del clero. Nessuna donna al di fuori dell'Africa nera, non ha potuto occupare una tale posizione nell'antichità.

  

NEFERT_1.jpg

TRECCE DI AHMES NEFERTARI, mummia della regina.
  
Se guardiamo ora da vicino la scultura che l'artista ne ha fatto, si constata che ha scelto anch'egli di rappresentare la sua capigliatura a trecce per mezzo di cubi allineati.
  


 

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 Statuetta di Ahmes Nefertari

Anche i Greci rappresentavano così i capelli a trecce delle donne nere. Così, la treccia o intrecciamento armoniosi di tre ciocche di capelli crespi rispondeva dunque ad una funzione pratica (cura e durata), estetica (la bellezza del volto) e culturale (indicazione dello status sociale) nella società africana. 
[Traduzione di Ario Libert]

 

 

LINK:
La première Dame de France, la Dame de Brassempouy est une femme africaine! 

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19 dicembre 2009 6 19 /12 /dicembre /2009 11:14




Testimonianza di Jean François Champollion sull'impossibilità dell'origine indoeuropea degli antichi Egiziani

 

Jean François Champollion, si appassionerà molto presto all'egittologia  dopo aver acquisito la conoscenza di diverse lingue orientali (copto, sanscrito, ebraico, arabo, siriano, etiopico...) tra il 1805 ed il 1810.

Sin dal 1809, tenterà di decifrare una copia della stele di Rosetta scoperta nel 1799. Pubblica allora la sua Teoria sulla scrittura egiziana dopo aver realizzato due grammatiche di copto ed un dizionario.

È infine a partire dalla famosa Stele di Rosetta, trovata durante la spedizione napoleonica vicino alla città di Rosetta e grazie alla sua padronanza del Copto, che egli giungerà a decifrare i misteri della lingua egiziana (geroglifici).

La stele di Rosetta è più esattamente una pietra di granito sulla quale fu inciso un decreto del faraone Tolomeo V nel 196 a. C. Questo decreto fu redatto in due lingue (Greco ed Egiziano) ma in tre scritture: geroglifico, demotico e greco. Questa pietra è oggi al British Museum di Londra.

Ma è soprattutto recandosi in Egitto e scoprendo i monumenti che egli comprenderà che la sua tecnica di lettura funziona. Scoprirà allora una pagina essenziale della storia dei popoli dell'Europa.

Durante i suoi scavi, Jean François Champollion (1790-1832), scopre con grande stupore, alcune iscrizioni realizzate in alcune tombe reali. Ci ha lasciato un racconto appassionante nella tredicesima lettera che egli ha indirizzato a suo fratello a Parigi.

Tutto è cominciato nella valle di Biban el-Muluk, luogo delle sue ricerche. La, un bassorilievo del faraone Usirei I ha attirato in modo particolare la sua attenzione. L'affresco murale data del XVI secolo a. C. ed è stato realizzato all'epoca della XVIII dinastia faraonica. È uno dei più antichi documenti etnografici di cui disponiamo per conoscere la storia dei popoli dell'antichità. Sorpreso dalla scoperta di diversi affreschi della stessa natura, Champollion costata che gli Egiziani antichi hanno voluto semplicemente rappresentare gli abitanti dell'Egitto e quelli delle contrade straniere gerarchizzandoli in funzione del loro grado di civiltà.

Constata che gli Egiziani (Camiti) si sono posti al primo posto, poi vengono, secondo gli affreschi, i Nubiani, poi i Semiti e gli Asiatici. Constata anche che gli Egiziani ed i Nubiani sono rappresentati allo stesso modo come per sottolineare la loro origine comune (abiti e capelli identici ma i Nubiani sono alcune volte rappresentati più scuri degli Egiziani a causa del sole più torrido nel sud).


Ma, ciò che lo colpirà, è il sesto ed ultimo posto degli abitanti dell'Europa. La sua testimonianza è la seguente: "Infine, l'ultimo (...) presenta il colore della pelle che chiamiamo color carne o pelle bianca della sfumatura più delicata, il naso dritto o leggermente arrotondato, gli occhi blu, barba bionda o rossa, taglia alta e molto slanciata, vestiti di pelli di bue conservanti ancora il pelo, vero selvaggio tatuato in varie parti del corpo, sono chiamati Tamhu (...). Mi misi a cercare il quadro corrispondente a quest'ultimo nelle altre tombe reali e ritrovandoli in effetti in molte di esse, le variazioni che osservai mi convinsero pienamente che si è voluto qui figurare gli abitanti delle quattro parti del mondo, secondo l'antico sistema egiziano, e cioè:

1°- gli abitanti dell'Egitto (...)
2°- gli abitanti dell'Africa, i Negri;
3°- gli Asiatici;
4°- infine (ho vergogna nel dirlo, poiché la nostra razza è l'ultima e la più selvaggia delle serie) gli Europei che, durante queste epoche remote, bisogna essere giusti, non facevano una troppo bella figura in questo mondo.
 
 

Bisogna intendere qui tutti i popoli di razza bionda e dalla pelle bianca abitanti non soltanto l'Europa, ma ancora l'Asia, il loro punto di partenza. Questo modo di considerare questi quadri è tanto più veritiero che, nelle altre tombe, gli stessi nomi generici riappaiono e costantemente nello stesso ordine (...). Ho fatto copiare e colorare questa curiosa serie etnografica. Non mi aspettavo certo, arrivando a Biban-el-Muluk, di trovare delle sculture che potrebbero servire da vignette alla storia degli abitanti primitivi dell'Europa, se non si ha mai il coraggio di intraprenderla. La loro vista ha tuttavia qualche cosa di adulatore e di consolante, poiché ci fa apprezzare validamente la strada che da allora abbiamo percorso".

[Champollion-Figeac, Egypte ancienne, coll. L’Univers, 1839].

 


Cheikh Anta Diop lo ha detto molto spesso: J. F. Champollion era un ricercatore in buona fede. Cioè che era capace, per amore della verità storica, di dire la verità. La sua descrizione dell'Europeo è qui relativamente chiara. Giunge persino a sostenere: "SE NON SI HA MAI IL CORAGGIO DI INTRAPRENDERLA", perché conosce le debolezze umane degli storici della sua epoca.


Gli studenti che si chinano ancora oggi sulla storia dei popoli d'Europa non hanno per la maggior parte mai visto questi affreschi. Ciò significa che Champollion aveva ragione.


Infine, è chiaro che la tesi dell'esistenza di faraoni indoeuropei in Egitto è una visione erronea dello spirito falsificatore degli storici occidentali.




Supplemento di informazione


di Nubian


Osservando meglio, si constata che J. F. Champollion è andato molto più lontano nella sua analisi a proposito degli antichi Egiziani.


Nel suo diario [1], fa una distinzione tra Arabi (i conquistatori ed impostori che si sono fatti passare per i discendenti degli Egiziani antichi) ed i Nubiani. Durante la sua visita a Wadi-Halfa, un villagio nubiano vicino alla seconda cataratta (30 dicembre 1828), dice a proposito di questi nubiani oppressi dal governo arabo (come ai nostri giorni...): "Questo popolo sfortunato che non ha nulla in comune con gli arabi, né per lingua, né per l'aspetto fisico".


A proposito di questi stessi nubiani Champollion il Giovane dicendo: "... Sono delle persone gradevoli e naturalmente felici come tutti i nubiani. Sono magri ed i loro tratti (facciali) sono delicati, la complessione rosso-marrone della loro pelle è vicina al colore nero e ricorda quella della razza Egiziana antica".


Champollion parla nache di un suo incontro con un Nubiano e dice: "Un Nubiano con un bel viso entrò nella nostra tenda, il suo copricapo somigliava a quello dei faraoni come si può osservare in alcuni bassorilievi, i suoi capelli erano intrecciati in modo che si sarebbe detto che avesse una parrucca nello stesso stile ricordante le pettinature degli antichi Egiziani. I suoi tratti pieni di vita e di nobiltà, ricordano quelli di Ramses i cui monumenti non sono molto distanti. Vestito di una lunga veste blu e coperto di una coperta bianca, questo Nubiano è nativo dell'Isola di Argo vicino a Dongola".


L'Isola di Argo si trova nell'Alta Nubia e la città di Dongola si trova a nord del Sudan attuale. Penso che questa testimonianza complementare di Champollion il Giovane è altrettanto esplicita in quanto all'impossibiltà di un'Egitto Antico indoeuropeo o semitico.



[1] Cfr. Harle, Diane, Christine Ziegler, e Herve Champollion,  1998, L’Egypte de Jean-Francois Champollion Lettres & Journaux De Voyage (1828-1829) [L'Egitto di Jean-François Champollion, Lettere e diari di Viaggio (1828-1829)].



LINK al post originale:

Témoignage de Jean François Champollion sur l’impossible origine indo-européenne des Egyptiens anciens



LINK pertinenti all'argomento trattato:

Costruzione delle piramidi secondo Erodoto

Testimonianza di Vivant Denon a proposito della Sfinge di Giza

I Greci non sono i precursori della filosofia!

Le piramidi sono fatte di calcestruzzo?

Gli egiziani erano neri come il "carbone"



 

 

 

 

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23 novembre 2009 1 23 /11 /novembre /2009 18:18

L'evidente volto negroide della Sfinge.


Testimonianza di D. Vivant Denon a proposito della Sfinge di Giza

 

 

Un celebre disegnatore francese, membro della spedizione d'Egitto di Bonaparte, confida le sue impressioni sulla Sfinge di Giza
L’Egittologia deve al francese Dominique Vivant Denon, un formidabile disegno della Sfinge di Giza intitolato: "La Sfinge vicino alle Piramidi".

di
Jean-Philippe Omotunde

 

 

 

1. Un artista francese rinomato per il suo talento: Disegnatore, incisore ed artista di talento, Dominique Vivant Denon era anche molto apprezzato in Francia per la sua erudizione. È dunque a motivo di tutte queste qualità artistiche che Napoleone Bonaparte fece appello a lui nel quadro della sua spedizione in Egitto (1798-1799).


La sua missione fu di raccogliere per mezzo di numerosi schizzi e disegni, tutto il patrimonio (fauna, flora, oggetti, steli, staute, monumenti, barche, ecc...) dell'Egitto antico allo scopo di far meglio conoscere  questa civiltà in Francia. La fotografia non esisteva all'epoca da qui la preziosità dei disegni di Vivant Denon.


Per i suoi buoni e leali servizi, divenne ufficialmente membro dell'"Istituto d'Egitto" creato da Bonaparte e fu anche nominato direttore del Museo del Louvre di cui uno degli ingressi porta ancora oggi il suo nome.

 


2. Un
prezioso testimone per la storia africana


Naturalmente, Denon non poteva mancare l'occasione di disegnare la celebre Sfinge di Giza, nel quadro della spedizione di Bonaparte. Il suo disegno del viso della Sfinge, lo ha lui stesso commentato. Ecco testualmente le sue considerazioni: "Non ebbi molto tempo per osservare la Sfinge che merita di essere disegnata con la cura più scrupolosa e che non è lo è mai stata in tal modo. Benché le sue proporzioni siano colossali, le forme che ne sono state conservate sono tanto delicate quanto pure: L'espressione del volto è dolce, grazioso e sereno; il carattere è africano: ma la bocca, le cui labbra sono spesse, ha una delicatezza nel movimento ed una finezza di esecuzione veramente ammirabile; è carne e vita".


 

Disegno della Sfinge realizzato da VIVANT DENON


Pocdo distante comentatndo l'arte egiziana, scrive: "In quanto al carattere della loro figura umana, non prendendo a prestito nulla dalle altre nazioni, essi hanno copiato la loro propria natura, che era più graziosa che bella. [...] in tutto, il carattere africano, di cui il Negro rappresentante, e forse il principio". [1]


Jean-Philippe Omotunde

 

 

 


 
[Traduzione di Ario Libert]

 

 

 

 

 

 

NOTE

[1] Vivant DENON, Voyage dans la Basse et la Haute Égypte pendant les campagnes du Général BONAPARTE, vol. 1;  Voyage dans la Basse et la Haute Égypte pendant les campagnes du Général BONAPARTE, vol. 2;  edizione del 1817 scaricabile in formato PDF dal sito Gallica della BNF di Parigi.





 

LINK al saggio originale:
Témoignage de D. Vivant Denon à propos du Sphinx de Guizeh


LINK pertinente all'argomento trattato in questo post:

Gli egiziani erano neri come il carbone

 


LINK ad argomenti afrocentristi:

I Greci non sono i precursori della filosofia!

Il vero ruolo dei missionari durante l'epoca coloniale

La nostra vocazione e Il nostro sito porta il nome di una dea

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14 novembre 2009 6 14 /11 /novembre /2009 07:00




I Greci non sono i precursori della filosofia!

Perché ci nascondono la testimonianza dei Greci antichi relativi alle loro fonti di ispirazione intellettuali? Coloro che dicono di amare la filosofia dovrebbero imparare ad amare le fonti.


Di Jean-Philippe Omotunde

 


1. Il dogma eurocentrico dell'origine greca della filosofia


La maggior parte dei manuali occidentali manifestano un comportamento storiografico egocentrico: noi e soltanto noi! Ogni idea di collaborazione internazionale o di diffusione del sapere tra i popoli in epoca antica è affrontata in filigrana e nessuna possibilità di sviluppare questo aspetto della storia dell'umanità.

 

Allora a questo giochino perverso, ecco la culla originaria del pensiero filosofico mondiale arbitrariamente trapiantato in Europa. La Grecia sarebbe dunque l'epicentro di questa "nuova" dinamica intellettuale verso un periodo storico collocantesi tra il VI ed V secolo a. C.

 

 

 

 

Alcuni storici non esitano inoltre a vedervi un avvento della ragione nel mondo, cioè una invenzione europea della ragione e più globalmente, del pensiero. Di fatto, la definizione stessa della filosofia si ritrova profondamente erronea e sfortunatamente impoverita... A mo' di esempi, prendiamo alcune dichiarazioni tratte da diverse opere. Trasportato dal suo slancio eurocentrista, lo storico della filosofia François Chatelet dichiara:

"Credo che si può parlare di un'invenzione della ragione. E per comprendere come la filosofia ha potuto sorgere come genere culturale nuovo, sceglierò di far riferimento ad una situazione privilegiata: la Grecia classica.  Non è che creda che tutta la filosofia sia greca. Ma è chiaro che la Grecia ha conosciuto, per delle ragioni contingenti, storiche, degli eventi tali che degli uomini hanno potuto fare apparire questo genere originale che non aveva equivalenti all'epoca".


Così, la filosofia sarebbe  secondo Hegel, ma anche Heidegger un'invenzione specificamente e propriamente europa (sic). A questo titolo, in una conferenza celebre fatta a Cérisy-la-Salle (Normandie) nel Agosto 1955 sul tema "Che cos'è la filosofia?", il filosofo tedesco Martin Heidegger (1889-1976) ha dato la seguente definizione: "La parola philosophia ci dice che la filosofia è qualcosa che, innanzitutto e prima di tutto, determina l'esistenza del mondo. C'è di più: la philosophia determina anche nel suo fondo il corso più intimo della nostra storia occidentale-europea. La locuzione trita di 'filosofia occidentale-europea' è in verità una tautologia. Perché? Perché la 'filosofia' è greca nel suo stesso essere; greco vuol dire qui: la filosofia è nel suo essere originale, di tale natura che è innanzitutto il mondo greco e soltanto esso che essa ha afferrato reclamandolo per dispiegarsi... La filosofia è greca nel suo essere proprio non significa nient'altro che: l'Occidente e l'Europa sono, ed essi soltanto sono, in ciò che ha di più intimo il loro segno storico, originalmente 'filosofici'".


È ciò che attestano la nascita e il dominio delle scienze. È perché hanno come fonte in ciò che ha di più intimo il progresso storico dell'Occidente europeo, intendiamo il percorso filosofico, è per questo che esse sono oggi nello stato di dare alla storia degli uomini su tutta l aterra l'impronta specifica [...]. La lingua greca non è semplicemente una lingua, come le lingue europee in quanto hanno di noto. La lingua greca, ed essa soltanto, è logos. [Martin Heidegger, Che cos'è filosofia?] [2].

 


PLATONE ED ARISTOTELE



Per il filosofo africano Yoporeka Somet [3], cio che Heidegger intende dire in questo punto a proposito della lingua greca, è che essa è la sola (tra le lingue europee ed a maggior ragione tra le lingue del mondo) a poter esprimere adeguatamente la razionalità. Da cui il so famoso gioco di parola tra logos (ragione) e  legein (raccogliere): la lingua greca sarebbe il ricettacolo della ragione! Questo autorizza François Châtelet a scrivere, del tutto naturalmente e dunque senza dover spiegazioni, che: "La filosofia parla greco. Si hanno dei motivi di ridirlo dopo Heidegger".

È attraverso questo tipo di petizione di principio [4], con il razzismo appena appena velato, che inizio il primo capitolo del primo volume della sua monumentale storia della filosofia, pubblicata in 8 volumi.

Nel 1921, Sir Thomas Heath pubblicava un classico intitolato Storia delle matematiche greche in cui sosteneva: Sempre più degli sforzi sono intrapresiper stabilire una giusta valutazione ed una chiara comprensione dei doni che i Greci hanno fatto all'umanità. Non sono stati soltanto dei precursori. Ciò che hanno intrapreso, l'hanno portato al vertice della perfezione e non sono in questo stati mai superati. Di tutte le manifestazioni del genio greco, nessuna è più impressionante o impone maggior rispetto di quella che ci rivela la storia delle matematiche (...). I Greci, più di ogni altro popolo dell'Antichità, possedeva l'amore della conoscenza per la conoscenza; presso loro si riconduceva ad un istinto, una passione. I Greci erano una razza di pensatori.

I Greci erano una "razza di pensatori"
, che fandonia. Non hanno mai smesso di perseguitare addirittura uccidere i loro pensatori.

Così, gli antichi rivelano che è a Talete che si deve la parola "filosofia". In effetti, Talete che i Greci dicevano fosse un "Sophos", cioè un saggio, rispondeva che era piuttosto un "Philo", un amico "Sophos" (della saggezza). Il filosofo greco è dunque in principio, un "amico della saggezza". Viste le mostruose dichiarazioni di Platone e di Aristotele sulla schiavitù, ci permettiamo di dubitarne!


2. La manifesta volontà di mentire


Tutte queste dichiarazioni miranti a dimostrare l'origine esclusivamente europea della filosofia, sarebbero valide se, gli antichi Greci (Erodoto , Strabone, Platone, Diodoro siculo, Giamblico, Plutarco, Ecateo di Abdera, ecc.), nelle loro testimonianze storiche sulle origini del loro sapere, avessero confermato questa origine europea. Ebbene non vi è nulla di ciò.

 

Possiamo allora obiettivamente chiderci, qual è la natura del complesso o della volontà di potenza che spinge il 99% degli storici occidentali a travisare i fatti, quando affrontano le origini della filosofia. Cioè qual è l'idea nascosta che li spinge a scrivere cose che non sono assolutamente conformi alle dichiarazioni dei loro propri antenati, perché una cosa simile rimane del tutto eccezionale nella storia dell'umanità!


Vediamo insieme alcune dichiarazioni tramandateci dai Greci

 

 

Il discepolo più vicino a Pitagora (580-500 a. C.), e cioè Giamblico, narra nella sua biografia che egli dedica al suo maestro che quest'ultimo avendo inteso parlare del matematico e filosofo fenicio Talete di Mileto (640-547 a. C. circa) decise di incontrarlo per proporgli di diventare suo discepolo. Durante il loro incontro riportato da Giamblico, Talete gli disse che tutto quel che sapeva, lo doveva ai sacerdoti neri dell'Egitto e lo invitò a recarsi sul posto se avesse voluto diventare un giorno come lui un "filosofo" [5]: È così che Talete lo accolse con gioia ed avendo ammirato la sua superiorità in rapporto agli altri giovani, avendo riconosciuto che era più grande e superavaanche la reputazione che lo aveva preceduto, lo rese partecipe di tutte le conoscenze di cui disponeva e invocando la sua vecchiaia e la sua debolezza, lo esortò a salpare verso l'Egitto ed andare ad incontrare soprattutto i sacerdoti di Memfis e Diospolis [nome greco per indicare l'antica Tebe, N. d. T.], è da essi in effetti, che anche lui, egli diceva, aveva acquisito il bagaglio che gli era valso presso il volgo il nome di saggio (...). È per questo che si recò presso tutti i sacerdoti, istruendosi presso ognuno di essi su tutto quel che faceva di essi dei saggi. Egli trascorse quasi 22 anni in Egitto nel segreto dei templi dedicandosi all'astronomia ed alla geometria ed a farsi iniziare non superficialmente né importa come, a tutti i misteri degli dei (...). Pitagora acquisì in Egitto la scienza per la quale lo si considera in genere come sapiente.

 

È da essi in effetti, che anche lui, egli diceva, aveva acquisito il bagaglio che gli era valso presso il volgo il nome di saggio, (sophos)... con questa frase, Pitagora, Giamblico e Talete riconoscono qui apertamente che la filosofia, lungi dall'essere europea, ha per essenza l'Africa e più particolarmente, L'Egitto.

 

Questo fatto era riconosciuto da tutti i Greci, come l'oratore Isocrate (436-338 a. C.), che ci informa che la filosofia proviene effettivamente dall'Egitto ed è stata introdotta in Grecia da Pitagora. Per lui, lo stesso nome "filosofia" proviene dall'Egitto. Così su Pitagora egli scrisse: Pitagora di Samo, andato in Egitto e facendosi discepolo della gente di laggiù, fu il primo a riportare in Grecia ogni filosofia [6].

 

Veniamo a Talete. Quest'ultimo che faceva parte dei sette sapienti della Grecia è anch'egli menzionato da Platone che conferma la sua iniziazione egiziana alla filosofia [7]: Talete, figlio di Examio, Fenicio secondo Erodoto. Portò per primo il nome di Saggio (...) Ricevette in Egitto l'educazione dai sacerdoti".


Lo scrittore greco Diogene Laerzio (300 d. C.)ci conferma ancora che le conoscenze di Talete in materia di astronomia, di filosofia e di geometria gli vennero dall'Egitto: "Egli (Talete di Mileto) non ebbe maestri, eccettuato il fatto che durante il suo soggiorno in Egitto, visse presso i sacerdoti" [8].

 

E per provare che all'unanimità, i Greci designavano il continente africano come luogo di nascita del pensiero, Plutarco (50-125 dopo Cristo) nella sua opera Su Iside e Osiride (Tr. it.: Adelphi, Milano), dedicata alle due principali divinità egiziane, prende a testimonianza tutti i saggi della Grecia: "È quanto attestano unanimemente i più saggi tra i Greci, Solone, Talete, Platone, Eudosso, Pitagora e secondo alcuni, lo stesso Licurgo, che viaggiarono in Egitto dove discorsero con i sacerdoti del paese. si dice che Eudosso fu istruito da Conuphis di Memfi, Solone da Sonchis di Sais, Pitagora da Enufis l'eliopolitano".

 

È dunque costernante vedere che ancora oggi l'informazione storica distillata nei manuali a proposito della storia dell'umanità, resta ancora fortemente improntata di romanticismo storico, di favole cioè di idee che non hanno nulla da invidiare all'ideologia coloniale veicolata dal modello di approccio storico eurocentrico detto "modello ariano" che vuole arbitrariamente che soltanto le esperienze umane europee siano munite del sigillo dell'universalità. Tale è la deriva filosofica del mondo occidentale oggi [9].


 

3. Qual era dunque lo statuto del saggio o del filosofo Africano del periodo faraonico?


I Greci hanno chiaramente ammesso che i loro maestri in materia di filosofia erano i preti kamiti dell'Egitto antico. Dico "Kamiti" perché li hanno descritti così: "Hanno la pelle nera, i capelli crespi e discendono dagli Etiopi residenti nel sud del paese".

 

In Grecia, Talete ha definito il filosofo come un "amico della saggezza". Ma questa dichiarazione è incompleta, priva di senso e senza sapore. Perché? Per capirlo, bisogna innanzitutto indagare il mistero della sagezza egiziana.

 

Secondo una dichiarazione proposta dall'egittologo africano Mubabinge Bilolo, "Dal punto di vista africano, la filosofia è mrwt-n-maât, amore della verità; verità presa nel senso di ciò che è vero, della conoscenza, della giustizia, della solidarietà della rettitudine, dell'ordine e della bilancia (...). L'innamorato della maât è hm-n-maât "servitore-della-maât" [10].

 

Il sacerdote egiziano si definisce dunque come un "Servitore dell'ordine, della verità, della giustizia, dell'equità, della saggezza divina, dell'armonia universale, della rettitudine e della conoscenza divina" e cioè della "Mâat". Considera che i parametri della saggezza sono stati definiti all'alba del tempo da Dio stesso.

 

Ciò che chiamiamo comunemente "i 10 comandamenti" in ragione di Mosè l'Africano, è rivelativo di fatto delle 42 virtù cardinali di Mâat, nella tradizione africana del periodo faraonico.

 

Questi 42 commandamenti erano pronunciati dal defunto duranyìte il suo passaggio nel Luogo della Verità (sala del giudizio) in cui le divinità dell'Egitto si recavano davanti Mâat a constatare se quest'ultimo aveva realmente vissuto conformemente ai principi divini enunciati da Mâat, cioè se aveva rispettato alla lettera o 42 commandament divini di Dio. In caso contrario, non accedeva al paradiso.

 

Dunque la filosofia africana è mrwt-n-maât (meru n mâat), cioè, "Amore della verità, della giustizia secondo la visione divina". Altro aspetto teorico o puramente intellettuale, c'è qui una dimensione etica della saggezza, che il Saggio deve coltivare con precisione.

 

Di questo doppio punto di vista, il saggio, nel senso africano, è non soltanto un Servitore della verità-giustizia (Hm-n-maât), ma anche, nel senso morale del termine, un Grande "Wr" in egiziano [11].

 

In questo preciso senso, lo storico africano Cheikh Anta Diop è veramente un "Wr", come lo ha fatto notare l'artista Seva (Ibrahima Ndiaye) sulla stele che gli è stata dedicata davanti l'IFAN a Dakar. Cheikh Anta Diop è qualificato come ndty wr n t3w kmw e cioè Grande protettore delle nazioni nere.

 

Le menzogne storiche perpetrate sull'origine reale della filosofia, spingono il professor Bilolo a dichiarare che "abbiamo constatato che la maggior parte dei filosofi sono anti-maâticrati, nemici della verità-giustizia. Sono al servizio della menzogna e di jsft "l'iniquità" [12].

 

Isefet, appare qui chiaramente come il contrario di Mâat, cioè la menzogna, l'ingiustizia, l'ipocrisia, la falsificazione, la cattiveria, l'iniquità ed i servitori di Isefet, gli "Isefetiu", sono descritti dagli Egiziani, semplicemente come al servizio del disordine!

 

Qual è dunque il fallo incommensurabile della filosofia greca che fa sì che essa  rimanga incompleta, imperfetta e incapace di essere un appoggio reale per rimediare alla deviazione ideologica e filosofica degli occidentali?

 

I Greci non le hanno dato l'etica, cioè non hanno fissato chiaramente i limiti della loro saggezza (frontiera chiara tra il bene ed il male, il giusto e l'ingiusto, l'umanesimo e la barbarie). Di origine nomade e guerriera, la società greca era profondamente individualista, maschilista (patriarcato) e schiavista (Platone ed Aristotele ci hanno d'altronde lasciato delle dichiarazioni destinate a giustificare lo schiavismo nella loro città).

 

Bisognava dunque delimitare delle "virtù cardinali" cioè fissare un'etica, al di fuori delle preoccupazioni della città, per poter in seguito farle applicare e modificare così il comportamento degli uomini e non per adattare le virtù della saggezza agli usi e costumi molto tendenziosi delle città greche per infine ottenere una zuppa insipida, nel senso del rispetto della persona umana (donna, bambino, straniero).

 

È esattamente la stessa procedura che ritroviamo nel comportamento delle divinità greche che prendono in prestito dagli uomini tutti i loro vizi. Questa visione è molto poco compiuta o incompleta.

 

Certo i pitagorici hanno enuciato dei principi. Ma sono spesso stati assimilati a delle superstizioni. "Tali sono questi: Non mangiate in un carro. Non sedetevi sullo staio. Non piantate palme. Non attizzate il fuoco con la spada in casa vostra", ci testimonia Plutarco.

 

Conclusione:

Quando si ama la filosofia o la saggezza, si devono apprezzare e rivelare le fonti della saggezza.


Oggi, lo schema secondo il quale la storia della filosofia è molto spesso presentata in numerosi manuali è dunque questo: la filosofia comincia in Grecia con i presocratici, evento che non si manca di salutare come un "miracolo" (sic).

 


Il che dispensa di doversi interrogare sull'origine del sapere dei presocratici. Ma peggio di questo, questa nozione assurda di "miracolo greco in filosofia" permette di occultare la testimonianza stessa dei presocratici così come degli storici dell'Antichità sul loro debito riconosciuto nei confronti degli Egiziani.

 

Un esempio, tra i tanti, del modo in cui questo "obblio" della fonte del sapere greco è stato costruito è fornito dallo storico della filosofia Emile Bréhier.

 

La seconda edizione della sua Histoire de la philosophie [Storia della filosofia] datata 1938 è preceduta da un  Premier Fascicule Supplémentaire [Primo fascicolo supplementare] in cui Paul Masson-Oursel tratta succesivamente dell'Asia occidentale, dell'Egitto, della Mesopotamia, dell'Iran, l'India e della Cina, come altrettante fonti di ispirazione possibili dei Greci.

 

Ora nelle riedizioni attuali del libro di Bréhier, chiunque può constatare che il Fascicolo di Masson-Oursel è semplicemente sparito per lasicar posto ai... presocratici!


Perché questa rimozione? La procedura di Masson-Oursel è a tal punto indegna di interesse o contaria alla deontologia della riflessione filosofica? In questo caso, perché non sottoporla all'esame critico che dovrebbe essere di fondamento di ogni procedura riflessiva, invece di scartarla senza discussione?

 

Sia quel che sia, ecco il senso che Masson-Oursel egli stesso alla sua procedura e che apre la prefazione del suo libro:


   "L'opera a cui fanno seguito le pagine che qui presentiamo, è una storia della filosofia della nostra civiltà occidentale: Nessuno oggi non può più credere che la Grecia, Roma ed i popoli dell'Europa medievale e moderna abbiano essi soltanto posseduto una riflessione filosofica. Immensi focolai di speculazione astratta sono stati accesi, hanno persino brillato di viva luce, in altre parti dell'umanità. A dir il vero, poiché questi diversi focolai non furono mai così separati come un tempo è stato supposto, bisogna riconoscere che il pensiero del nostro Occidente non basta a se stessa: la sua spiegazione storica esigerà che la si ricollochi in un vasto ambiente umano, perché la sola storia che possa essere vera sarà la storia universale. Il presente libro ha come oggetto di situare la filosofia occidentale nell'insieme del pensiero umano, in quanto quest'ultima si lasci studiare storicamente...".

 

Ecco una procedura molto più onesta! La nostra volontà di sostituire l'Africa nella storiografia universale e la nostra procedura di appoggiarci su fatti e documenti concreti per combatetre egocentrismo "razziale" europeo, svela il nostro desiderio di fondare una nuova umanità, più umana, più solidale e meno predatrice.

 

 

NOTE:


[1] Cfr. Une histoire de la raison, Entretiens avec Emile Noël, [Una storia della ragione, Colloqui con Emile Noël], Paris, Seuil, 1992, p. 17.


[2] In: Questions II, p. 321 et p. 326, Tel Gallimard.


[3] Per scoprire la sua brillante analisi sulle origini egiziane della filosofia, oltre quest'articolo, consultare anche la rivista Ankh.


[4] Il Dizionario Larousse definisce la petizione di principio come "un ragionamento vizioso consistente nel ritenere vero ciò che costituiscfe l'oggetto stesso della dimostrazione".

[5] Cfr. Vita di Pitagora, Rusconi, Milano, 1998.


[6] Cfr. Busiris.


[7] Cfr. Repubblica, X, 600 a. Scolio.


[8] Cfr. Diogene Laerzio, Vita di Talete.


[9] Per scoprire tutte le dichiarazioni dei Greci antichi, leggere l'opera di Jean Philippe Omotunde, l’Origine négro-africaine du savoir grec, [L'Origine negro-africana del sapere greco], éditions Menaibuc.


[10] Cfr. M. Bilolo, L’idéal du progrès historique en Egypte ancienne, [L'ideale del progresso storico nell'Egitto antico], in: Ankh, n°4/5, luglio 1996, p. 73-90.


[11] In: Parenté génétique de l’égyptien pharaonique et des langues négro-africaines, [Parentela genetica dell'egiziano faraonico e delle lingue negro-africane], p. 341, Cheikh Anta Diop dimostra come questa dimensione morale dell'egiziano Wr è continuato nel termine walaf Wër che significa anche "grande in senso morale"!


[12] M. Bilolo, Op. cit., Ankh, n°4/5, luglio 1996, p. 73-90.


 

 

[Traduzione di Massimo Cardellini]

 

 

 


LINK al post originale:
Les Grecs ne sont pas les précurseurs de la philosophie!

 

 

LINK pertinenti:

"La nostra vocazione" e "Il nostro sito porta il nome di una dea"

Gli egiziani erano neri come il "carbone"

Le piramidi sono fatte di calcestruzzo?


 

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