Un eccellente studio, di cui offriamo in questo post la prima parte. I mass medi ci ubriacano quotidianamente in più o meno edificanti ritratti del volto santo di madre Chiesa? Che sia allora la ricerca storica a mostrarcene il grugno, cioè il lato autentico (e non stiamo che parlando di un passato recente...).
Il Vaticano
Dall’antisemitismo degli anni Trenta al salvataggio-riciclaggio dei carnefici
Di Annie Lacroix-Riz*
Si sostiene che papa Pio XII avrebbe, costringendosi al “silenzio” sulle vittime, soprattutto ebree, del nazismo, vissuto un “dramma interiore di una rara acutezza”. La consultazione degli archivi degli anni trenta e quaranta rivela però al contrario, la virulenza dell’antisemitismo clericale. Bisogna interrogarsi sulla partecipazione ai massacri, sul rifiuto di aiuto alle vittime o sull’eventuale saccheggio dei beni ebrei. Si deve anche portare una grande attenzione al salvataggio-riciclaggio dei carnefici, operazione di massa che delle opere di ricerca hanno cominciato ad affrontare sin dal 1969.
Si presta oggi grande attenzione all’osservazione pubblica di Pio XI del settembre 1938: “l’antisemitismo è inammissibile; spiritualmente siamo tutti dei semiti” o si presuppone che Pacelli, diventato Pio XII avrebbe, costringendosi al “silenzio” sulle miserie delle vittime, soprattutto ebree, del nazismo, vissuto un “dramma interiore di una acutezza rara [1]”. Gli archivi degli anni trenta e quaranta restituiscono sull’”antigiudaismo” della Chiesa romana un altro senso, di cui riassumeremo qui alcuni elementi o paletti chiarificatori [2]. Il loro contenuto rivela la virulenza dell’antisemitismo clericale, di cui testimoniano, tra gli altri, i casi tedesco ed austriaco (unificati di fatto attraverso un'adesione formale del Vaticano all’Anschluss dal 1918-1919 e Benedetto XV) le sue manifestazioni prima, durante e dopo la guerra, coperte o suscitate dalla Curia, ci portano subito alle questioni:
1° della partecipazione ai massacri di elementi clericali sotto copertura e diretti dai loro superiori gerarchici, del rifiuto di aiuto alle vittime confermate attraverso circolari ecclesiastiche, o dell’eventuale saccheggio dei beni ebrei;
2° della negazione vaticana diretta del genocidio degli hitleriani e dei loro fanatici devoti di diverse nazionalità;
3° del salvataggio dei carnefici, operazione di massa che dei lavori stranieri soprattutto hanno cominciato ad occuparsi dal 1969 [3].
L’Antisemitismo: di alcuni prelati e della Curia romana anteguerra
Nunzio a Monaco (dal maggio 1917) poi del Reich (dicembre 1919), “di fatto, solo rappresentante del papa in Germania ed in Austria”, poi, come lo avevano sin dal 1920 previsto i Francesi “cardinale segretario di Stato”, di “Berlino” [4] (rispettivamente nel dicembre 1929 e febbraio 1930), continuò da questo posto ad occuparsi del Reich come prima.
Pacelli era pangermanista sino all’ossessione antisemita di questa corrente ideologica: la sua corrispondenza sulla Baviera dell'anteguerra con il Vaticano brulica di riferimenti odiosi all'"Ebreo" inferiore, da Eisner a Lavine, ogni rivoluzionario essendo essenzialmente un "ebreo gallicano". Nominò o promosse (alla porpora) tutto l’episcopato tedesco ed austriaco e si circondò di prelati il cui contributo all’emergere del nazismo ed all’antisemitismo fu notevole.
Si dipingerebbe la stessa tela con il segretario di Stato (dal 1914 al 1929) Gasparri, sempre pronto ad adoperarsi in proposte antisemite, per esempio degli ungheresi o del suo caro ambasciatore tedesco (dal 1920) von Bergen la cui carriera si dispiegò tra il II Reich, Weimar ed il III Reich. Ricordiamo a qual punto i disordini della restaurazione del dopoguerra radicarono a Roma e nell’insieme del mondo clericale la vecchia equazione ebrei = rossi: tutta la stampa ultramontana sostiene l’Ungheria bianca nella campagna antisemita che seguì la sconfitta di Bela Kun, parte integrante dell’orribile repressione del calvinista Horthy (a cui la Curia perdonava il suo protestantesimo).
Il quotidiano cattolico La Croix inclusa che, l’11 novembre 1920, assimilò “a giusto titolo” i due nemici vinti, stigmatizzò “la razza conquistatrice” che aveva tentato di imporre il bolscevismo all’Ungheria cattolica e giustificò la legge sul numero chiuso universitario indispensabile “per salvare la gioventù cattolica magiara”, ridurre il potere della stampa ebraica, assicurare “la rinascita Cattolica”: l’Ungheria era così “guarita moralmente (…) Lo spirito cattolico è diventato il grande organizzatore della vita economica e della politica” [5].
Ci limiteremo a segnalare, di questo antisemitismo cattolico romano o nazionale, soltanto gli esempi significativi di alcuni dignitari tedeschi di cui il nunzio Pacelli creò o migliorò la carriera: Monsignor Gröber, nominato arcivescovo di Friburgo nel giugno del 1932, strumento essenziale dei concordati del Baden (12 ottobre 1932) e del Reich (20 luglio 1933): passato dal sostegno netto dei nazisti prima della loro ascesa al potere al nazismo puro e duro, questo “membro promotore” delle SS (förnderndes Mitglied) pagante le sue quote mensili dal 1933, presto soprannominato “il vescovo bruno” (der brune Bischof), scriveva molto.
Le sue opere, conformi ai canoni del Santo Uffizio, gettano luce sul contributo del cattolicesimo tedesco alla “soluzione finale”: il suo “manuale delle questioni religiose del tempo presente” (Handbuch der religiösen Gegenwartsfragen) pubblicato nel 1935 lo erige a campione del sangue e della razza, l’anno delle leggi di Norimberga, che l’articolo “razza” giustificava così: “ogni popolo porta esso stesso la responsabilità del mantenimento della sua esistenza e l’apporto di un sangue interamente straniero rappresenterà sempre un rischio per una nazionalità che ha provato il suo valore storico. Non si può dunque rifiutare a nessun popolo il diritto di mantenere senza perturbazione il suo vecchio strato razziale e di decidere delle misure di salvaguardia a questo scopo. La religione cristiana chiede semplicemente che i mezzi utilizzati non offendano la morale e la giustizia naturale”. L’opinione era precisata dall’articolo “marxismo” del manuale sull’”ebreo Karl Marx”; l’articolo “bolscevismo”, “dispotismo di Stato asiatico, in verità al servizio di un gruppo di terroristi diretto dagli ebrei”; dall’articolo “arte”, sul giudaismo ateo e pervertito responsabile degli “aspetti antitedeschi dell’arte dal secolo XIX” (e dalla sua lettera pastorale del 30 gennaio 1939 contro gli ebrei assassini di Gesù e animati da un inespiabile “odio mortale”) [6].
Monsignor Hudal, rettore dal 1923 di Santa Maria dell’Anima (Chiesa nazionale dell’Austria e della Germania, uno dei collegi elettorali del pangermanesimo a Roma), è oggi conosciuto come uno dei principali responsabili vaticani dell’”esfiltrazione” dei nazisti dal 1944. Hudal era il protetto di Innitzer, cardinale-arcivescovo di Vienna di cui si conosceono meglio gli “Heil Hitler” dal marzo 1938 che il passato pacelliano: questo “tedesco dei Sudeti” nato nel 1875 a Weipert nella “Boemia tedesca”, compì essenzialmente la sua carriera a Vienna dopo gli studi a Santa Maria dell’Anima, “collegio tettonico” di cui Pacelli divenne il “protettore” il 31 marzo 1930, dopo la morte di Merry del Val (il suo titolare dal 8 novembre 1907).
Innitzer fu nominato all’università dal 1911 e ascese tutti i gradini della sua gerarchia, sino al posto di decano poi di rettore, nel 1928-1929- periodo in cui firmava pubblicamente dei proclami “annessionisti” (in favore dell’Anschluss)-, prima di diventare ministro nel settembre 1929. Pacelli lo incaricò di realizzare due tappe dell’espansione tedesca, l’Anschluss e il suo corollario, la liquidazione della Cecoslovacchia: riorganizzò tra 1929 e 1933, prima di affidargliela, una “piccola congregazione” tedesca installata in Cecoslovacchia, “l’ordine teutonico”, “organo di propaganda” incaricato di preparare le operazioni tedesche contemporaneamente in Austria ed in Cecoslovacchia. Missione che gli valse un’ascesa vertiginosa: fu nel novembre 1932 nominato arcivescovo di Vienna e ricevette alla metà di febbraio 1933 la tiara, uno dei doni per la felice ascesa di Hitler, “ricambio di favore” tanto più notevole perché si trattava di una magra promozione (sei eletti per diciotto posti vacanti) succedendo a più di due anni senza nomine [7].
Protettore di Hudal, da dieci anni suo sottoposto e nazista precoce, Innitzer trovò in lui un porta parola formidabile, che ebbe anch’egli una carriera pacelliana sulla quale convergono i fondi francesi degli anni trenta, quelli dell’Office of Strategic Services (OSS) del decennio successivo e le inchieste di Simon Wiesenthal. La sua ascesa romana accelerò quando Pacelli divenne secretario di Stato: Hudal, nominato mandante dal cancelliere Schober, aveva discusso di un futuro concordato austriaco con Pacelli sin dal 1929, “capo della comunità cattolica tedesca di Roma”, fu nel 1930 nominato consigliere al Santo Uffizio, santuario della dottrina: è a questo titolo che egli moltiplicò i “giri di conferenza” in Italia e in Germania, predicando a “enormi folle di cattolici germanofili” la formula del 30 gennaio 1933.
Esprimeva regolarmente il suo fervore, anche nel maggio del 1933, in cui egli dichiarò “davanti ad una platea” di diplomatici e dignitari nazisti riuniti all’Anima “che in questa ora segnata dal marchio del destino, tutti i cattolici tedeschi viventi all’estero salutano l’avvento del nuovo Reich, la cui filosofia si accorda tanto ai valori nazionali quanto ai valori cristiani”: Ricevette nel giugno del 1933 una ricompensa “piuttosto rara” per un rettore di collegio, il titolo di “vescovo titolare di Ela”, consacrato da una messa celebrata all’Anima da Pacelli. Hudal, dopo essere stato associato al concordato austriaco, e senza dubbio a quello tedesco, rinforzò la sua amicizia con von Papen, di cui fu consigliere quando gli hitleriani, dopo il fallito putsch di luglio 1934, delegarono questo “serpente” – secondo l’espressione di Göbbels- a Vienna.
Dopo il Te Deum celebrativo all’Anima per il plebiscito della Saar, lo si nota spesso nel 1935, in cui fu l’intermediario del tentativo romano di conciliazione dottrinale di cui l’anticlericalismo nazista si faceva beffe come di un portasfortuna: pubblicò a Innsbruck e fece pubblicare sotto forma di “studio” dalla Bayerische Volkszeitung l’opera Rom, Christentum und deutsches Volk, (Roma, il cristianesimo e il popolo tedesco), auspicando un’alleanza intima tra “germanesimo” e “cristianesimo”.
Si “rivelò soprattutto dopo l’accordo austrotedesco” del 11 luglio 1936, “figlio di von Papen” (e di Schacht), attraverso il quale Schuschnigg consegnò l’Austria alla “Germania di Hitler”: accolse “questo atto pacificatore” con degli “articoli lusinghieri (…) augurandosi con tutto il cuore una stretta collaborazione tra il cattolicesimo austriaco ed il nazionalsocialismo tedesco per il progresso e la gloria della razza e dell’ideale germanici”.
Teorizzava allora sulle meraviglie della futura regolamentazione della questione ebraica (Schönere Zukunft. Gedanken zur Judenfrage, giugno 1936) e sugli aspetti generali della collaborazione cattolico-nazista. Nel novembre 1936, il suo libro esaltante il nazismo e la sua opera antisemita, Le basi del nazionalsocialismo, apparve provvisto di una nota dell’Osservatore, secondo il quale non era “stato ispirato da nessuna autorità romana”. Posdatato al 1937, fu pubblicato a Lipsia ed a Vienna, con l’imprimatur di Innitzer che “sottoscriveva calorosamente questo prezioso tentativo di pacificazione della situazione religiosa dei tedeschi”.
Batteva sul doppio chiodo di rito, "la lotta contro il bolscevismo" e gli ebrei, esaltando le leggi di Norimberga, "Una misura necessaria di autodifesa contro l’invasione di elementi stranieri": il diritto canonico aveva escluso gli ebrei "sino a quando le mura del ghetto non furono abbattuti durante il XIX secolo dallo stato liberale e non dalla Chiesa" , "i principi dello Stato moderno fondati sulla regola dell’eguaglianza del trattamento davanti alla legge sono stati creati dalla Rivoluzione francese e non sono quanto di meglio ci sia dal punto di vista del cristianesimo e della nazionalità".
Egli subì ufficialmente nel Reich la sorte comune a tutti i "teorici" clericali che si auguravano che il NSDAP "Per collaborare con il cattolicesimo, (…) si purificasse preliminarmente dei suoi pregiudizi anticristiani. I nazisti respinsero questa proposta. I giornali attaccarono vivamente il prelato ed il suo libro, dapprima autorizzato dall’intervento personale di von Papen, fu posto all’indice nazionalsocialista”. Questo conflitto fu utile alla tesi vaticana delle divergenze cattolico-naziste, ma l’opera fu massicciamente diffusa in Austria- solo luogo dove esso fu utile-, e Hudal, ricevette "l’insegna d’oro di membro del partito". Il lettore curioso leggerà altrove il dettaglio delle operazioni germano-austro-vaticane che sfociarono all’Anschluss, tanto funesta per gli ebrei austriaci quanto ai “rossi”, di cui gli episcopati festeggiarono in delirio il trionfo plebiscitario. Hudal lo celebrò all’Anima, con un Te Deum seguito dal “Deutschland über Alles”, e ricevette le lodi di von Bergen per la sua lunga azione in favore di "una Grande Germania" e le sue premure verso "noi" (i nazisti) [8].
Di von Faulhaber, cardinale-arcivescovo di Monaco (rispettivamente nel 1921 e 1917), intimo tra gli intimi del vecchio nunzio, la diplomazia della “decadenza” francese [9] si ostinò negli anni trenta a fare una “resistenza” al nazismo: gli archivi tedeschi e francesi sono ricolmi di questa vernice adatta a dare una patina di lucido ad un filonazista, riutilizzato nuovamente nel dopoguerra dagli Alleati americani prima- francesi e inglesi poi-, sino alla pretesa eccezione che il prelato avrebbe istituito in materia di antisemitismo cattolico tedesco. Questo “cappellano generale degli Forze armate del regno di Baviera” durante la prima guerra mondiale, tanto pangermanista quanto lo esigeva la sua funzione, si era pubblicamente dedicato a farneticazioni antisemite agli inizi degli anni venti: così al “congresso cattolico” del 27-30 agosto 1922 a Monaco, dove, accanto a Pacelli come d’abitudine, maledisce la “rivoluzione” giudeo-bolscevica del 1918-19, “uno spergiuro ed un alto tradimento (…), segnata nella storia del crimine di Caino”, e tuonò contro gli ebrei e la “stampa ebraica”, “professione di fede antirepubblicana ed antisemita” che gli valse gli “applausi frenetici” del pubblico.
Nei suoi sermoni dell’Avvento 1933 sui “valori morali dell’Antico Testamento” l’Occidente cristiano, Parigi inclusa, riconobbe “in qualche modo il processo dell’antisemitismo”. Il 14 dicembre, l’Osservatore lodò la sua “coraggiosa affermazione dottrinale” sulla validità dell’Antico Testamento per fare dimenticare, commentò l’ambasciatore di Francia Charles-Roux, il mutismo delle “autorità superiori della Chiesa, custodi dell’ortodossia cattolica”, sulla politica antisemita di Hitler. Il filosemitismo di Faulhaber non resiste agli archivi: "la stampa americana ha", telegrafò il 30 marzo 1933 a Mundelein, arcivescovo (tedesco) di Chicago, “enormemente esagerato le violenze fatte agli ebrei”, il suo sermone del dicembre 1933, spiegò definitivamente nel 1934, non prendeva “la difesa degli ebrei perseguitati dal regime hitleriano”: “non prendeva posizione nei confronti della questione ebraica così come essa si pone oggi”, fece notare il 31 agosto al segretario della conferenza israelitica mondiale di Ginevra, a novembre, rese pubblico, per scritto e “in modo chiaro (…) la sua protesta” contro la reputazione di filosemita che gli attribuivano dalla file del 1933 "degli emigrati e dei pubblicisti stranieri (…) in certi giornali di Praga, di Basilea e di Sarrebruck", che egli “maledisce” nome per nome [10].
Coprendo o promuovendo dei prelati che contavano tra le sue personae gratissimae, la Curia non fece altro che trincerarsi dietro coloro che, in ultima analisi, esprimevano la sua posizione profonda sulla "giuderia arrogante" espressione nel 1936 del molto fedele Monsignor Baudrillart. La Curia spingeva Baudrillart, difensore di uno dei portaparola dell’antisemitismo della Chiesa e dell’alleanza (precaria) della Polonia con il Reich hitleriano, il Polacco August Hlond [11], primate-arcivescovo di Poznan e Gniezno poi cardinale (nel 1926 e 1927), contro il "nazionale" Verdier (ci torneremo sopra tra poco). Questa opposizione non risparmiò la sfera della "questione ebraica", e questo molto presto: la Santa Sede non trovò nulla da ridire sulla persecuzione ufficializzata dal boicottaggio dei magazzini ebrei del 1° aprile 1933 e le violenze delle SA e delle SS. Pacelli mise, secondo Charles-Roux, la mano su queste “questioni” concernenti Berlino: allorché “le persecuzioni contro gli ebrei” avevano provocato “l’indignazione del mondo”, censurò Monsignor Verdier, autore di una lettera di solidarietà al gran rabbino di Francia, “la cui pubblicazione fu annunciata [in aprile?]: essa non fu pubblicata”.
I documenti tedeschi mostrano che il preteso intervento prescritto al nunzio successore di Pacelli (ed intimo di quest’ultimo e del papa), Orsenigo, non andò oltre la preoccupazione di lasciare qualche fallace traccia scritta. Ne è testimonianza un episodio del lungo ma vuoto romanzo d’appendice delle “negoziazioni” e “note di Pacelli” sul concordato del luglio 1933, tipico esempio di corrispondenze paravento di cui la corrispondenza ufficiale della Santa Sede rigurgita. Il 12 settembre, Pacelli rimise all’incaricato degli affari di Germania in Vaticano Klee, un “memorandum in tre punti”, di cui il 3° concerneva soprattutto "i cattolici di origine ebraica": li restrinse al primi due quando Klee argomentò che il punto 3 non aveva "nulla a che vedere con il concordato", "obiezione che egli riconobbe giusta".
Klee ritornando su questo problema “non religioso ma di razza”, Pacelli ricordò che questo testo “era sottoposto all’attenzione del papa, che non era guidato che da punti di vista religiosi ed umani”, poi Klee insistette sull’impegno del Vaticano “sin dall’inizio” a non “immischiarsi degli affari politici interni della Germania”, sulla necessità di eliminare la parte ebraica del punto 3 e di “abbassare il tono su tutto il resto”: Pacelli “decise [allora] di non consegnare il memorandum”. Indirizzò a Klee, la sera stessa, una nota conforme ai suoi desideri e predatata al 9 (dunque prima della ratificazione del concordato del Reich, del 10, tattica che lasciava credere che si continuava a negoziare su questo testo): consacrava 5 righe e mezzo “per aggiungere una parola per i cattolici tedeschi di origine ebraica” recente o remota, “e che per ragioni note al governo tedesco soffrono ugualmente di difficoltà economiche e sociali” [12].
Resta il caso personale di Pio XI, germanofilo fanatico servito da un nunzio poi segretario di Stato pangermanista. Supponendo che non sia stato antisemita come il suo subordinato, sta di fatto che egli lo protesse e lo promosse; che egli gestì il complesso della politica tedesca della Santa Sede sino alla sua morte – in particolare incoraggiò e sostenne l’espansionismo germanico a spese dell’odiata Europa di Versailles, che la famosa enciclica del marzo 1937; Mit brennender Sorge, redatta nel quadro di una campagna di opinione internazionale destinata all’antica Intesa, non fu più filosemita di quanto non sia stata antinazista: si divideva tra litania della “patria” e del Reich e riferimenti religiosi, soprattutto all’Antico Testamento, senza profferire una parola sulla sorte degli ebrei tedeschi; e che il papa, infine, vessato nel più profondo dal rifiuto di Hitler di rendergli nel maggio del 1938 la visita che egli non aveva cessato di sollecitare, “lasciò” nel corso dell’estate “gli ebrei al governo italiano, in cambio di concessioni che [aveva appena] ottenuto” sull’Azione cattolica dopo un nuovo attrito con il Quirinale sulla questione.
Davanti ad un religioso francese, l’8 settembre, "il papa ha giudicato molto severamente le misure antisemite del governo italiano". Ma, a metà novembre, il suo giornale fu "muto" sulla "combinazione" negoziata a fine agosto sull’interdizione dei matrimoni misti; la “soluzione (…) trovata” attraverso l’articolo 6 del decreto legge permetterebbe alla Chiesa di benedire una unione che, in violazione dell’articolo 34 del concordato italiano del 1929 desse valore civile al matrimonio religioso, non avrebbe “alcun effetto civile (…) Il diritto canonico è salvo e la legislazione fascista è soddisfatta”. L’Osservatore rivendicò “il carattere universale della Chiesa” e il suo attaccamento alla “eguaglianza delle razze”, e pretese che questa rottura del concordato era stata decisa “senza l’accordo della Santa Sede”, da qui la sua “dolorosa sorpresa”; ma aggiunse ben presto: “il cattolicesimo è sfavorevole ai matrimoni misti e li sconsiglia” perché “non si fida delle ibridazioni”. Nel gennaio 1939 nell’Avvenire d’Italia (giornale risolutamente filonazista fondato dall’Azione Cattolica nel settembre 1933, a seguito del concordato del Reich, organo favorito di Pacelli, rettore dell’Università del Sacro Cuore di Milano, il “più importante Istituto cattolico”, personaggio più in vista del mondo universitario confessionale d’Italia, conosciuto (…) per godere della fiducia e della stima del papa” e filofascista convinto, precisò: “i cardinali e i vescovi hanno sempre e ovunque combattuto il razzismo esotico, ma (…) questo non ha nulla a che vedere con la politica razziale dell’Italia [13].
* Annie Lacroix –Riz professore di storia contemporanea all’università Parigi VII, autore di Le Vatican, l’Europe et le Reich de la Premiére Guerre mondiale à la Guerre froide (1914-1945), Armand Colin, 1996, 540 pp.; (Il Vaticano, L’Europa e il Reich dalla Prima Guerra mondiale alla Guerra fredda, 1914-1945).
NOTE
[1] Gérard Cholvy e Yves-Marie Hilaire e alii, Histoire religieuse de la France, [Storia religiosa della Francia], Toulouse, Privat, 1984-86, tomo 3, pagina 57; e Xavier de Montclos, Les chrétiens face au nazisme et au stalinisme. L’épreuve totalitaire, 1939-1945, [I cristiani di fronte al nazismo ed allo stalinismo. La prova totalitaria, 1939-1945], Bruxelles, Editions Complexe, 1991, pagina 278 e 34 e seguenti.
[2] Ciò che resta qui allusivo è ampiamente esposto nei diversi capitoli (undici, soprattutto 4 e da 7 a 11) della nostra opera Le Vatican, l’Europe et le Reich de la Première Guerre mondiale à la Guerre froide, [Il Vaticano, l’Europa ed il Reich dalla Prima Guerra mondiale alla Guerra fredda], Armand Colin, 1996: tutti i riferimenti vi figurano con le citazioni precise.
[3] Werner Brockdorff, Flucht vor Nürnberg. Pläne und Organisation der Fluchtwege der N-S Prominenz im "Römischen Weg", [Fuga da Norimberga. Piani e organizzazione dei percorsi di fuga delle personalità naziste nella “Strada Romana”], Verlag Welsermühl, Munich-Wels, 1969; vedere anche Mark Aarons e John Loftus, Des nazis au Vatican, [Dai nazisti al Vaticano], Paris, O. Orban, 1992.
[4] Nota, 10 febbraio, 10 aprile 1920 (sottolineato nel testo), Santa Sede 1918-1940 (nome di paese più remoto + …), vol. 13 e 2 e lettera n° 6470 di Tirare, Coblenza, 20 agosto 1920, Germania…, vol. 370, archivi del MAE, Quai d’Orsay (fonte di tutti i fondi originali qui citati).
[5] Emma Fattorini, Germania e Santa Sede: le nunziature di Pacelli tra la grande guerra e la Reppubblica di Weimar, Laterza, 1992, p. 105-106, e successive, Ungheria…, vol. 42-43, e Il Vaticano…, cap. 4.
[6] Gunther Lewy, The Catholic Church and Nazi Germany, London, Weidenfeld [Tr. it., I nazisti e la Chiesa, Il Saggiatore, Milano, 1965; e Nicholson, 1964, p. 45-46, 275, 277; Gordon Zahn, German Catholics and Hitler’s war, New York, Sheed and Ward, 1962, p. 123 e seguenti; e fondi del MAE citati, Le Vatican…, cap. 7.
[7] Corrispondenza dal 1928 al 1938, Santa Sede…, vol. 47, Canet, vol. 33, 40, 41. Austria…, vol. 82, 83, 190.
[8] Corrispondenza dal 1935 al 1938, Austria..., vol. 190, 191, 198, 199, 200; Germania..., vol. 692, Italia..., vol. 264; scheda OSS, settembre 1944, Mark Aarons e John Loftus, p.49; Gunther Lewy, p. 165, 281, 211-218; von Bergen, 25 mai 1938, Documents on German Policy, series D, vol. I, p. 1039 e 1042 e cap. 7 e 8 di Le Vatican, l’Europe et le Reich de la Première Guerre mondiale à la Guerre froide, l’Europe et le Reich de la Première Guerre mondiale à la Guerre froide.
[9] Jean-Baptiste Duroselle, Politique étrangère de la France, la décadence 1932-1939 [La politica estera della Francia, la decadenza 1932-1939], Paris, Le Seuil, 1983.
[10] Settembre 1922, Germania..., vol. 367, Canet, vol. 56, e Jacques Nobécourt, "Le Vicaire" et l’histoire, [Il "Vicario" e la storia, Paris, Le Seuil, 1964, p. 138-140. 1933, Germania..., vol. 700 e 689, Canet, vol. 36; Gunther Lewy, p. 275, e cap. 9-10; 1934, Germania..., vol. 691. Documenti... e fondi del MAE.
[11] Espressione di Baudrillart nel suo commento dei piani di alleanza antirusso di Hlond pubblicati integralmente (colloquio, 19 dicembre 1936) nel notiziario del suo "comité catholique des Amitiés françaises à l’étranger", Polonia..., vol. 328 (ed il gioco contro Verdier, Le Vatican..., cap. 9).
[12] Charles-Roux n° 233, 19 giugno 1933, Allemagne..., vol. 689, settembre-ottobre 1933, Documents..., C, vol. I, p. 782-786, 789-790, 793-794 (sottolineato da me), p. 927-928. Courriers-paravents, Le Vatican..., passim.
[13] 1938, Allemagne..., vol. 697-698, 700, Canet, vol. 40 ; Gitta Sereny, Au fond des ténèbres. De l’euthanasie à l’assassinat de masse: un examen de conscience [In fondo alle tenebre. Dall'eutanasia all'assassinio di massa: un esame di coscienza], Ginevra, Ed. Famot, 1977 (traduzione di Into that Darkness, London, 1974), p. 374; febbraio, marzo, maggio, Documents..., D, vol. I, p. 1022, 1023, 1036-1039; Italie..., vol. 264, 267, Saint-Siège..., vol. 38, Canet, vol. 42 (e Le Vatican..., cap. da 7 a 9).
[Traduzione di Ario Libert]
LINK al post originale:
Le Vatican, de l’antisémitisme des années trente au sauvetage-recyclage des bourreaux
Link interno a documenti pertinenti alla tematica tratatta:
Il vero ruolo dei missionari durante l'epoca coloniale
LINK ad un filmato You Tube:
Il Vaticano: alleato del nazismo e del fascismo
LINK ad un interessante scritto in Italiano sulle ratlines:
Ratlines