Per fortuna la storia, pur di monopolio di uno strato sacerdotale chiuso e dogmatico, conosce numerosi ficcanaso della levatura di Davidovits, le cui felici intrusioni hanno costituito gli unici elementi di progresso in un campo stagnante o al limite egemonizzato da solerti formiche raccoglitrici o ragni tessitori compulsivi, benvengano le api alla Davidovits.
Incontro con la Venere di Dolni Vestonice, una ceramica geopolimera antica di 25.000 anni.
Brno, capitale della Moravia, Repubblica Ceca, il 17 giugno 2006.
Organizzata nel quadro dei miei incontri con le istituzioni scientifiche della Repubblica Ceca, questa visita al Museo di Antropologia di Brno dovrebbe segnare una data nei miei studi sulle conoscenze tecnologiche degli uomini preistorici. Il Dottor Martin Oliva, paleontologo, mi presenta la collezione di oggetti paleolitici in osso incisi scoperti in Moravia, soprattutto a Dolni Vestonice. Poi, in presenza della giornalista del grande quotidiano locale e di un fotografo dell'Agenzia di Stampa Ceca, il Dottor Oliva estrae dalla scatola la regina della sua collezione, la Venere. Avevo ancora nella mente l'immagine della Venere in calcare giallo esposta al Museo di Vienna, Austria, per essere troppo sorpreso da quest'ultima. Essa non fu lavorata nella pietra tenera, ma costruita in terracotta. Ero dunque in presenza della più antica ceramica realizzata dall'Homo Sapiens 25.000 anni fa.
Venere di Dolni Vestonice
Il dottor Martin Oliva, paleontologo, a sinistra, e Joseph Davidovits mentre esaminano la Venere
Ci insegnano che la ceramica in terracotta non fu inventata che durante il Neolitico, 15.000 anni più tardi. E tuttavia, ero in presenza di un oggetto ottenuto con l'arte del fuoco, in un epoca in cui, logicamente, gli uomini preistorici non padroneggiavano questa tecnica. Come tutte le altre Veneri paleolitiche, non misurava che 11 centimetri di altezza. È di colore bruno-nero, tonalità che mi ricordò immediatamente il nostro studio sulle ceramiche etrusche (vedere più in basso). Sapevo dunque come erano state prodotte: con un fuoco all'aria aperta, ad una temperatura di 300-400°C al massimo, ma con un argilla contenente gli ingredienti chimici naturali, dei sali aolubili alcalini che permettevano una reazione geopolimera, che io chiamavo nel mio gergo tecnico, il L.T.G.S. (in inglese Low Temperature Geopolymeric Setting, vedere sul sito dell'Istituto Geopolimero, la rubrica concernente questa tecnica del LTGS).
Per ottenere questa terra, bisogna che l'argilla contenga naturalmente del sale natron, il carbonato di sodio CO3Na2. Si incontra questo tipo di argilla molto frequentemente nei paesi del Medio Oriente. Doveva dunque essere presente nella regione di Dolni Vestonice, a meno che non sia stato fatto uso di sale Kali, il carbonato di potassio CO3K2,
che si trova nelle ceneri di certe piante, come la felce. Poi, bisogna aggiungere della calce, proveniente verosimilmente da cenere di legno (come la quercia). Grazie a questi ingredienti, l'argilla sarà "cotta" a 300°C, con un semplice fuoco all'aperto, con pezzetti di legno o di erbe secche. È una tecnologia estremamente semplice, ma che non funzione che con questo tipo di argilla e di ingredienti chimici naturali. Si ottiene una terracotta solida, di colore bruno. Il contatto con il fumo di fuoco di legna produrrà le ombre nere, per deposito di carbone nei pori della terracotta.
La tecnica è spiegata in una pubblicazione sicentifica che ho presentato con mio figlio Frédéric alla seconda Conferenza Internazionale sui Geopolimeri, nel 1999. Vedere sul sito dell'Istituto Geopolimero sulla creazione di ceramica bruno-nera nella Preistoria e nell'Antichità
Joseph DAVIDOVITS
[Traduzione di Ario Libert]
LINK al saggio originale:
Rencontre avec la venus de Dolni Vestonice vieille de 25000 ans